Categoria: Editoriali

  • Commemorazione dei Fedeli Defunti – 2 novembre

    Dove nasce la tradizione di questa commemorazione?

    La tradizione di commemorare in un giorno tutti i morti risale al secolo IX per volere dell’abate benedettino sant’Odilone di Cluny. Il significato è quello di pregare in quel giorno per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti e si sono addormentati nella speranza della resurrezione.

    Significato della ricorrenza

    La commemorazione dei defunti appare per la prima volta nel secolo IX, in seguito all’uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno intero alla preghiera per tutti i defunti.

    Amalario di Metz, vescovo e teologo francese nel secolo IX ricordava la memoria di tutti i defunti successivamente a quelli dei santi. Con l’abate benedettino sant’Odilone di Cluny il giorno del 2 novembre fu dedicato alla commemorazione di tutti i fedeli defunti, usanza già praticata da sant’Agostino che pregava anche al di fuori dei loro anniversari. La Chiesa è stata sempre devota al ricordo dei defunti. L’apostolo Paolo pone la morte-resurrezione di Gesù in una successione non disgiungibile, dove i discepoli sono chiamati alla medesima esperienza e tutta la loro esistenza conduce alle stigmate del mistero pasquale, guidata dallo Spirito del Risorto. Per questo motivo i fedeli pregano per i loro cari defunti e sperano nella loro interces sione. Hanno la speranza con la gloria di Dio di raggiungerli in cielo e di unirsi gli eletti.

    Ricordare i defunti il giorno dopo la solennità di Tutti i Santi

    Nel Credo troviamo: «Credo nella santa Chiesa cattolica, nella comunione dei Santi». Per “comunione dei santi” la Chiesa intende l’insieme di tutti i credenti in Cristo, sia quelli che operano ancora sulla terra sia quelli che vivono nell’altra vita in Paradiso ed in Purgatorio. In questa vita d’assieme la Chiesa auspica il fluire della grazia, lo scambio dell’aiuto reciproco, l’unità della fede e la realizzazione dell’amore. La comunione dei san-
    ti quindi nasce dallo scambio reciproco di libero aiuto tra i credenti in cammino sulla terra e i credenti viventi nell’aldilà, siano essi in Purgatorio o nel Paradiso.

    La scelta del 2 novembre

    L’abate Odilone, un santo e monaco che viveva nel convento di Cluny,era devoto delle anime del Purgatorio, al punto che dedicava tutte le sue preghiere, sofferenze, penitenze e mortificazioni per la loro liberazione. Si racconta che, di ritorno dalla Terra Santa uno dei suoi confratelli, gli raccontò di essere stato scagliato da una tempesta sulla costa della Sicilia, lì s’imbatté in un eremita, il quale gli raccontò che spesso udiva le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro lui. Udite queste parole l’abate Odilone ordinò immediatamente a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 Novembre giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Scoccava l’anno 928 d. C. e da allora ogni anno il giorno dei morti viene ricordato in questo data.

  • Inseparabili

    Nella nostra tradizione, oltre che nel calendario, i giorni dei Santi e dei Defunti sono inseparabili: già il 1° novembre si visitano le tombe nei cimiteri e il 2 novembre è dedicato espressamente – nella dizione liturgica ed ecclesiastica – alla Commemorazione di tutti i fedeli defunti.

    La vicinanza delle due ricorrenze suggerisce di considerare non separatamente i traguardi di ogni essere umano: c’è una fine di carattere storico, terreno, indicato da una data, che chiamiamo morte; e c’è un punto di arrivo, un fine, più alto e più vero, che la parola eternità descrive solo in modo incompleto e che sarebbe meglio definire santità.

    Che in questi giorni si ricordino tutti i santi, senza ulteriori specificazioni, comprendendo tra essi non solo quelli definiti ufficialmente come tali dalla Chiesa perché beatificati o canonizzati, ma anche quelli che papa Francesco chiama santi della porta accanto, tra cui annoverare familiari, amici, conoscenti, libera da una visione retorica e sostanzialmente falsa della santità, per avvicinarla alle vicende di tutti, al modo semplice di essere discepoli di Gesù nella vita quotidiana, alla pratica umile del comandamento dell’amore.

    Una santità che è sì frutto di conquista e di disciplina, ma soprattutto è un dono: Dio è vicino e resta vicino a tutti con la Croce di Gesù, anche nel momento doloroso e supremo della morte. E la santità diventa quel rapporto permanente con Dio con la morte non distrugge e che addirittura rende i nostri defunti inseparabili da noi.

    don Gianni

  • Profumo di Spirito Santo

    Profumo di Spirito Santo

    I primi fine settimana di ottobre nella nostra parrocchia dei Santi Pietro e Paolo si sono celebrate le Cresime.

    In questo periodo particolare anche le celebrazioni dei sacramenti sono cambiate ma oserei dire solo nella forma e non certo nella sostanza.

    Lo Spirito Santo è sceso in dono a più di 50 ragazzi e ragazze divisi in quattro gruppi.

    La celebrazione è stata molto raccolta; certo forse non c’era la solennità che si è soliti vedere in queste occasioni, ma tutto era davvero preparato con cura: i fiori, i canti, i piccoli gesti che i protocolli Covid ci hanno consentito di compiere.

    Ancora, diversamente dal solito, non c’era il Vescovo per il motivo che tutti conosciamo, ma il nostro parroco don Gianni non ci ha fatto rimpiangere la sua assenza. Don Gianni ha saputo coinvolgere tutti in maniera simpatica ma soprattutto ha dialogato con i ragazzi partendo dalla Parola e con i suoi molteplici esempi ha sciolto i timori e le emozioni di tutti.

    Il momento dell’amministrazione della Cresima è stato toccante: i ragazzi sull’altare, i genitori e i pochi parenti presenti hanno riempito con la preghiera e l’intensità della loro partecipazione la nostra chiesa. Direi che questo modo meno formale e forse più denso di significato è stato un regalo gradito considerato il periodo e potrebbe essere di stimolo anche
    per il futuro.

    Io e le mie colleghe catechiste vogliamo ringraziare don Gianni per aver sostenuto e aiutato i nostri ragazzi e ragazze in un momento tanto importante, il diacono Fabrizio e suor Graziana che sono stati nostri compagni di viaggio durante questi mesi, e non ultimo, chi ci ha aiutato con i canti e con la preparazione e l’abbellimento dell’altare e della chiesa.

    Ma soprattutto, e non certo per ultimo, il ringraziamento va ai genitori, che per primi hanno scelto con i loro figli di compiere questo cammino. Infine, proiettati verso il futuro, un grazie agli aiuto catechisti che da ora saranno chiamati a diventare gli educatori dei pre-adolescenti.

    E ai ragazzi e alle ragazze che abbiamo visto crescere nella fede, insieme
    al grazie, volevo dire che la Cresima non è la fine ma l’inizio di un bellissimo percorso di cristiani cresciuti nella fede da vivere nel nostro oratorio che con l’augurio, quando sarà possibile, diventi la loro seconda casa!

    Ilaria Dellepiane

  • “Non abbandonarci alla tentazione…”

    “Non abbandonarci alla tentazione…”

    Da domenica 29 novembre anche nel rito ambrosiano il messale si presenterà con qualche piccola modifica, in linea con il motu proprio firmato da papa Francesco. In tale occasione, infatti, il Santo Padre ha sottolineato la necessità che la liturgia, pur nella sua fermezza, sia in gra do di comunicare al meglio i misteri che celebriamo, adeguando il linguaggio ai tempi. E nella liturgia – dobbiamo ammetterlo – il ruolo più importante è quello del linguaggio, oltre a quello dei segni e degli oggetti. Il linguaggio, tuttavia, non è qualcosa di immutabile, anzi è parte viva del nostro saper comunicare, ed essendo vivo, si evolve, cambia, trasmette gli stessi misteri in un modo nuovo con parole nuove. Ma è in grado di trasmettere cose nuove con parole già conosciute ma distribuite in un modo nuovo, permettendo di essere comprese in maniera corretta.

    Le modifiche al messale che entreranno in vigore con la III domenica d’Avvento ambrosiano (in linea con la I domenica d’avvento del rito romano) vogliono dire proprio questo: molte parole, molti gesti, molti segni inclusi nella liturgia dell’attuale messale hanno bisogno di essere aggiornati, contestualizzati, rimodernati.

    Il primo cambiamento, forse quello più discusso e più importante, è la modifica definitiva alle parole del “Padre Nostro”. In realtà, se prendiamo la versione aggiornata della Bibbia secondo la traduzione della CEI pubblicata nel 2008, troviamo già questa versione aggiornata. Di fatto non sarà quindi una novità, ma l’adeguamento del messale chiede anche a noi di modificare due parole di questa preghiera millenaria che tutti impariamo fin da bambini. Non si dirà più “non indurci in tentazione”, ma “non abbandonarci alla tentazione”. La parola “indurre” è una di quelle che necessita di essere precisata, non rispondendo più, secondo l’uso comune, al significato corretto della preghiera. Il Signore, quindi, non ci porta alla tentazione, non ci tenta, perché non ne ha bisogno. “Dobbiamo escludere
    che sia Dio il protagonista delle tentazioni che incombono sul cammino dell’uomo” ha precisato papa Francesco. Il Signore desidera solo essere amato e rispondere a un figlio che chiede aiuto. Uno di questi aiuti è proprio quello di volgersi verso di Lui nei momenti in cui siamo fragili,
    deboli, come nella tentazione di cedere al peccato. In quel momento abbiamo bisogno di essere sostenuti, amati, consolati dal Signore, a cui chiediamo aiuto nella nostra lotta contro il male e il peccato. Sempre nel Padre Nostro, inoltre, troveremo il cambiamento da “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” in “rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

    Un altro adeguamento lessicale è quello che risponde alla necessità di aprire le orazioni verso tutti i fedeli, estendendo alcuni sostantivi che finora richiamavano solo la parte maschile per includere anche la presenza preziosa e necessaria della parte femminile dei fedeli. Troveremo quindi le invocazioni non più dirette ai “fratelli” ma a “fratelli e sorelle”, come nel caso della preghiera del “Confesso a Dio e a voi fratelli e sorelle”.

    Altre piccole modifiche riguardano il “Gloria” come lo recitiamo durante la santa messa. “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà” diventerà “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini, amati dal Signore”.

    Un’ultima modifica riguarda le preghiere eucaristiche in cui la preghiera di intercessione per tutto “l’ordine sacerdotale” sarà ampliata nei tre gradi del ministero ecclesiastico: “con l’ordine episcopale, i presbiteri e i diaconi”

    Diac. Fabrizio Santantonio

  • Pensare oltre

    Nel vortice della pandemia (e della seconda ondata), ci chiediamo ancora cosa stiamo imparando su noi, sulla vita, sull’umanità. Tra i primi dieci paesi contagiati (l’Italia è per ora 15a), sei appartengono ai “paesi di missione” (dove operano anche missionari italiani): India, Brasile, Argentina, Colombia, Peru, Messico. Nella statistica delle vittime (dove l’Italia è purtroppo 6a), tra i primi cinque risultano Brasile, India, Messico (dati del 21 ottobre). I dati africani, a detta di molti, sono poco leggibili a causa delle fragili strutture sanitarie del continente.

    La Chiesa italiana propone di celebrare in questo mese la giornata missionaria con il tema Tessitori di fraternità. Si tratta come sempre di pregare perché l’evangelizzazione abbia successo, non tanto come ampliamento della forza del cattolicesimo, ma come accoglienza dell’annuncio a essere tutti discepoli di Gesù; e perché missionari e missionarie – sacerdoti, religiosi e religiosi laici e famiglie – siano perseveranti in quest’opera. Si tratta di non far mancare una solidarietà concreta, fatta anche di un’offerta in denaro, per sostenere l’annuncio del vangelo in tutti i paesi del mondo, specialmente tra i popoli più poveri.

    Si tratta anche di “pensare oltre”: cattolico – a dispetto di chi ritiene il contrario – non significa settario o separato, ma universale. Anche se dotato di storie e culture con forte identità, ogni cattolico è aperto al mondo, pensa e prega oltre i propri confini, si sente parte di una Comunità ampia, desiderosa che nessuno sia escluso dalla salvezza, e diventa tessitore di fraternità.

    don Gianni

  • Un pensiero di benedizione

    Un pensiero di benedizione

    stemma-delpiniInvoco la benedizione di Dio su questa nostra terra e su tutte le terre del pianeta.

    In questo momento l’apprensione per sé e per i propri cari, forse persino il panico, si diffondono e contagiano il nostro vivere con maggior rapidità e con più gravi danni del contagio del virus.

    Invoco la benedizione di Dio per tutti:

    la benedizione di Dio non è una assicurazione sulla vita,
    non è una parola magica che mette al riparo dai problemi e dai pericoli.

    La benedizione di Dio è una dichiarazione di alleanza:
    Dio è alleato del bene, è alleato di chi fa il bene.

    Invoco la benedizione di Dio sugli uomini di scienza e sui ricercatori.

    La gente comune non sa molto di quello che succede,
    dei pericoli e dei rimedi di fronte al contagio.
    Il Signore è alleato degli uomini di scienza che cercano il rimedio
    per sconfiggere il virus e il contagio.

    In momenti come questi si deve confermare un giusto apprezzamento
    per i ricercatori e per gli uomini e le donne che si dedicano
    alla ricerca dei rimedi e alla cura dei malati.

    Si può essere indotti a decretare il fallimento della scienza
    e a suggerire il ricorso ad arti magiche e a fantasiosi talismani.

    La scienza non ha fallito: è limitata.

    Siano benedetti coloro che continuano a cercare
    con il desiderio di trovare rimedi, piuttosto che di ricavarne profitti.

    Certo si può anche imparare la lezione che sarebbe più saggio dedicarsi
    alla cura dei poveri e delle condizioni di vita dei poveri,
    piuttosto che a curare solo le malattie dei ricchi
    e di coloro che possono pagare.

    Che siano benedetti gli scienziati, i ricercatori e coloro
    che si dedicano alla cura dei malati e alla prevenzione delle malattie.

    Invoco la benedizione di Dio per tutti coloro che hanno responsabilità nelle istituzioni.

    La benedizione di Dio ispiri la prudenza senza allarmismi,
    il senso del limite senza rassegnazione.

    Il consiglio dei sanitari e delle persone di buon senso
    suggerirà provvedimenti saggi.

    Ogni indicazione che sarà data per la prevenzione
    e per comportamenti prudenti
    sarà accolta con rigore dalle istituzioni ecclesiastiche.

    Invoco la benedizione di Dio su coloro che sono malati o isolati.

    Vi benedico in nome di Dio perché Dio è alleato del desiderio del bene,
    della salute, della vita buona di tutti.

    Chi è costretto a sospendere le attività ordinarie
    troverà occasione per giorni meno frenetici:
    potrà vivere il tempo a disposizione anche per pregare, pensare,
    cercare forme di prossimità con i fratelli e le sorelle.

    Mi permetto di invocare la benedizione del Signore e di invitare tutti i credenti a pregare con me:

    Benedici, Signore, la nostra terra, le nostre famiglie, le nostre attività.
    Infondi nei nostri animi e nei nostri ambienti
    la fiducia e l’impegno per il bene di tutti,
    l’attenzione a chi è solo, povero, malato.

    Benedici, Signore,
    e infondi fortezza e saggezza
    in tutti coloro che si dedicano al servizio del bene comune e a tutti noi:
    le sconfitte non siano motivo di umiliazione o di rassegnazione,
    le emozioni e le paure non siano motivo di confusione,
    per reazioni istintive e spaventate.

    La vocazione alla santità ci aiuti anche in questo momento
    a vincere la mediocrità, a reagire alla banalità, a vivere la carità,
    a dimorare nella pace. Amen.

    ✠ Mario Delpini, Arcivescovo di Milano

  • MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA 53a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE – 1° GENNAIO 2020

    MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA 53a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE – 1° GENNAIO 2020

    colomba-550MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA 53a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE – 1° GENNAIO 2020

    LA PACE COME CAMMINO DI SPERANZA: DIALOGO, RICONCILIAZIONE E CONVERSIONE ECOLOGICA

    1. La pace, cammino di speranza di fronte agli ostacoli e alle prove

    La pace è un bene prezioso, oggetto della nostra speranza, al quale aspira tutta l’umanità. Sperare nella pace è un atteggiamento umano che contiene una tensione esistenziale, per cui anche un presente talvolta faticoso «può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino». 1 In questo modo, la speranza è la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili.

    La nostra comunità umana porta, nella memoria e nella carne, i segni delle guerre e dei conflitti che si sono succeduti, con crescente capacità distruttiva, e che non cessano di colpire specialmente i più poveri e i più deboli. Anche intere nazioni stentano a liberarsi dalle catene dello sfruttamento e della corruzione, che alimentano odi e violenze. Ancora oggi, a tanti uomini e donne, a bambini e anziani, sono negate la dignità, l’integrità fisica, la libertà, compresa quella religiosa, la solidarietà comunitaria, la speranza nel futuro. Tante vittime innocenti si trovano a portare su di sé lo strazio dell’umiliazione e dell’esclusione, del lutto e dell’ingiustizia, se non addirittura i traumi derivanti dall’accanimento sistematico contro il loro popolo e i loro cari.

    (altro…)

  • Avvicendamenti

    Carissimi e carissime,

    nei giorni scorsi abbiamo ricevuto dal Vicario Episcopale mons. Luciano Angaroni la seguente lettera indirizzata ai fedeli della Comunità Pastorale.

    Vi scrivo per comunicarvi che DON GIUSEPPE CORBARI dopo 9 anni di presenza nella vostra Comunità, è stato chiamato dall’Arcivescovo ad un nuovo incarico.

    Con l’inizio di settembre sarà nominato Vicario della Comunità pastorale “S. Paolo” in Giussano.

    Desidero esprimere a don Giuseppe un grande GRAZIE per tutto l’impegno di questi anni spesi per il bene della comunità. GRAZIE per la sua testimonianza di prete innamorato del Signore e della sua gente.

    Con l’inizio di settembre l’Arcivescovo nominerà un nuovo Vicario della vostra Comunità pastorale, che vi sarà comunicato nelle prossime settimane.

    Assicuriamo a don Giuseppe la nostra preghiera e gli auguriamo ogni bene.

    Intanto vi invito alla preghiera per le vocazioni al ministero ordinato e per la santità dei preti.

    Nello stesso tempo la Sorella Maggiore delle Ausiliarie Diocesane ha reso noto che anche l’AUSILIARIA SIMONETTA FUMAGALLI, anche lei dopo 8 anni di servizio nella nostra città, viene destinata a un nuovo incarico e verrà sostituita dalla sua consorella GRAZIANA CALAFÀ, proveniente da Rozzano.

    Desideriamo esprimere anche a lei un sentito GRAZIE per la sua presenza generosa e disponibile accanto ai sacerdoti e alla gente verso la quale ha svolto un ministero discreto ed efficace.

    La Comunità cittadina – e specialmente la Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo – è chiamata ad affrontare un rinnovo importante del personale apostolico e insieme a favorire la partecipazione di tutti alla vita della Chiesa, crescendo nella comunione tra le parrocchie e le persone che la compongono.

    Grati per i doni ricevuti, accompagniamo con la preghiera e un fraterno abbraccio DON GIUSEPPE E SIMONETTA e siamo pronti ad accogliere cordialmente chi sarà inviato a lavorare tra noi per il Regno di Dio.

    don Gianni, i Preti e le Ausiliarie della Comunità Pastorale

    Desio, 15 giugno 2019

     

  • Via crucis con l’Arcivescovo

    vedemmo-la-sua-gloria VIA CRUCIS CON L’ARCIVESCOVO MONS. MARIO DELPINI

    VENERDÌ 12 APRILE ore 20:45 – Chiesa Beata Vergine Immacolata  Binzago (Cesano Maderno)

    Le stazioni della Via Crucis prendono spunto da alcuni versetti dei Salmi con l’intento di fare memoria a un tempo della preghiera di Gesù che, gravato dal peso della Croce, si rivolge al Padre in un filiale abbandono, e della preghiera di tutti gli oppressi della terra che, unendosi a Cristo, ritrovano il coraggio e la forza di un fiducioso ricorso a Dio.

    Le pagine bibliche, tratte dal Nuovo Testamento, illuminano i quadri delle diverse stazioni della Via Crucis, mentre le preghiere di santi e pontefici ci fanno sentire in compagnia di uomini e donne che hanno vissuto l’immedesimazione al Cristo sofferente e glorioso.

  • Te Deum di ringraziamento alla fine dell’anno

    31 dicembre 2018: Te Deum di ringraziamento alla fine dell’anno

    (Nm 6,22-27; Fil 2,5-11; Lc 2,18-21)

    «Inviando in missione i suoi discepoli, Gesù dice loro: “In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa! Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi”. Offrire la pace è al cuore della missione dei discepoli di Cristo». Così inizia il messaggio del Papa per la Giornata mondiale della Pace di domani, 1° gennaio 2019, e così i sacerdoti, le religiose e i laici incaricati hanno salutato le famiglie
    e le case che hanno accolto la visita natalizia: «Pace a questa casa!».

    L’espressione si allarga e diventa augurio e preghiera: «Pace a questa città!». Augurio, perché ciascun cittadino o cittadina è certamente desideroso di pace vera. E preghiera, perché la comunità cristiana annuncia il volto di colui che è la nostra pace: Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo.

    La Chiesa e ogni cristiano – seguendo quanto scrive san Paolo: abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù – si sentono inviati come Gesù a partecipare della vicenda umana. Egli umiliò se stesso, cioè si abbassò per camminare con gli uomini e le donne del suo tempo, per sperimentare relazioni, lavoro, famiglia, per toccare con mano le difficoltà, le sofferenze, le incertezze di tanti suoi contemporanei.

    Quello stile umile contrasta con la mentalità dell’individualismo dove, mentre ci si lamenta impietosamente di ciò che non funziona per sé, si rendono invisibili le povertà più drammatiche del nostro tempo e si trascura una visione di insieme della società stessa. el recente discorso di S. Ambrogio il nostro Arcivescovo ha affermato:

    «La recensione delle problematiche che caratterizzano il momento che viviamo è talora troppo influenzata dal particolare di cronaca che provoca una reazione emotiva e oscura la considerazione complessiva della realtà.

    L’esercizio di una lettura realistica di questo tempo può individuare alcune priorità che, per quello che mi risulta, sono già condivise.

    In una considerazione pensosa delle prospettive del nostro tempo si dovrà evitare di ridurci a cercare un capro espiatorio: talora, per esempio, il fenomeno delle migrazioni e la presenza di migranti, rifugiati, profughi invadono discorsi e fatti di cronaca, fino a dare l’impressione che siano l’unico problema urgente.

    Si devono nominare tra le problematiche emergenti e inevitabili:

    • la crisi demografica che sembra condannare la popolazione italiana a un inesorabile e insostenibile invecchiamento;
    • la povertà di prospettive per i giovani che scoraggia progetti di futuro e induce molti a trasgressioni pericolose e a penose dipendenze;
    • le difficoltà occupazionali nell’età adulta e nell’età giovanile e le problematiche del lavoro;
    • la solitudine il più delle volte disabitata degli anziani».

    Sono valutazioni da meditare in modo non fugace e superficiale, specialmente per quanto concerne la ricerca di capri espiatori, le crisi della demografia e del lavoro, le solitudini degli anziani e il duplice riferimento ai giovani circa la mancanza di lavoro e lo scoraggiamento sul futuro.

    Proprio ai giovani la Chiesa universale ha dedicato nel 2018 un’assemblea del Sinodo dei Vescovi. Vediamo non pochi giovani responsabilmente attivi in ambiti associativi, educativi, culturali, sportivi. Non ci nascondiamo tuttavia che alcuni anche da noi mostrino vuoti preoccupanti di motivazioni e di valori e diano luogo a comportamenti trasgressivi, antisociali, dannosi per se stessi, per gli altri e per le stesse istituzioni – quali ad esempio scuole e oratori – disponibili ad accoglierli.

    Mi sento di aggiungere ai tanti indicati dall’Arcivescovo il tema della casa, dell’abitare, che emerge con urgenza tre le richieste avanzate ai Centri di Ascolto della Caritas, e che appare di difficile soluzione, soprattutto per chi vive con scarso reddito.

    Tra le molte luci della vita cittadina, affiorano dunque zone di ombra, che suscitano la solidarietà di singoli e associazioni. Mi chiedo però se anche tra noi non si diffondano gli atteggiamenti preoccupanti messi in evidenza a livello nazionale dall’autorevole ricerca del CENSIS di fine d’anno, che ha descritto gli italiani «soli, arrabbiati e diffidenti».

    La delusione e il rancore possono condurre alla cattiveria, se per la difesa del proprio spazio personale, familiare, di gruppo, di fazione, non ci si fa scrupolo di penalizzare o rifiutare l’altro, il diverso, il debole. Ma se chi sta in fondo alla scala sociale non è garantito, ben presto nessun livello potrà dirsi al sicuro.

    La crisi globale che ha colpito tutti con durezza ormai dieci anni fa, più che crisi economica si presenta infatti come crisi di fiducia, come osserva Papa Francesco nel suo messaggio: «viviamo in questi tempi in un clima di sfiducia che si radica nella paura dell’altro o dell’estraneo, nell’ansia di perdere i propri vantaggi, e si manifesta purtroppo anche a livello politico, attraverso atteggiamenti di chiusura o nazionalismi che mettono
    in discussione quella fraternità di cui il nostro mondo globalizzato ha tanto bisogno».

    Questo clima crea talora diffidenza non solo verso le fasce marginali della popolazione, ma anche verso chi le soccorre, fino a svalutare enti e associazioni che si muovono nell’ambito della carità, dell’assistenza, dell’accoglienza. Già sfavorite da una mentalità di delega, per cui se si occupano loro dei poveri altri possono disinteressarsene, ora subiscono sospetti circa il loro operato e rischiano anche a livello legislativo e fiscale
    di non vedere apprezzato il loro apporto in settori dove agiscono per il bene comune.

    Il valore delle organizzazioni non a scopo di lucro infatti non sta solo nel servizio volontario che rendono, ma anche nel contributo che offrono alla realizzazione della vita dei cittadini, di quelli di cui si prendono cura direttamente e di quelli che si giovano di una compagine sociale meno conflittuale.

    Nell’anno trascorso le parrocchie, unitamente ad altri soggetti, hanno aderito a due provvedimenti promossi con il Comune di Desio.

    Con il primo si è rinnovata la Convenzione con le Scuole d’Infanzia paritarie, che interessano centinaia di famiglie della nostra città e vogliono offrire un’occasione educativa privilegiata ai più piccoli. Le stesse comunità parrocchiali non sempre conoscono l’impegno professionale, organizzativo ed economico che rappresentano le tre Scuole d’Infanzia parrocchiali, alle quali se ne aggiungono altre tre di ispirazione cristiana e altre ancora presenti sul territorio. La Convenzione rinnovata dà rilievo ai temi dell’inclusione e della mediazione culturale, così da sostenere percorsi di integrazione dei bambini e delle loro famiglie.

    Il secondo consiste nel protocollo Qui Welfare Desio, che intende facilitare l’accesso alle prestazioni sociali e sociosanitarie attive sul territorio attraverso il coordinamento di soggetti che operano in rete tra loro. Il Centro di Ascolto Caritas della Basilica ha aderito con l’intento di essere antenna e canale a nome delle parrocchie cittadine.

    Una parola di gratitudine riservo ai Missionari Saveriani che hanno ricordato i 70 anni di presenza a Desio: ci richiamano a vivere l’universalità della Chiesa e a praticare il dialogo interreligioso.

    Sono pure riconoscente all’associazione Minhaj Ul Quran per il messaggio natalizio che ci ha indirizzato, con la disponibilità a percorrere insieme vie di incontro, dialogo, pacificazione.

    Scrive ancora il Papa: «Celebriamo in questi giorni il settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata all’indomani del secondo conflitto mondiale. Ricordiamo in proposito l’osservazione del Papa San Giovanni XXIII: “Quando negli esseri umani affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri: nei soggetti che ne sono titolari, del dovere di far valere i diritti come esigenza ed espressione della loro dignità; e in tutti gli
    altri esseri umani, del dovere di riconoscere gli stessi diritti e di rispettarli”».