Categoria: Editoriali

  • Facciamo un gioco?

    Questa sera a cena, quando siete tutti seduti allo stesso tavolo, prima di alzarvi provate a fare questo gioco: ognuno tira fuori il proprio smartphone, si va in impostazioni, quindi nella sezione dedicata alla batteria e si controlla il tempo di utilizzo dall’ultima ricarica completa (se avete uno smartphone android basta verificare il tempo di attività dello schermo). Se avete figli preadolescenti o adolescenti potreste avere spiacevoli sorprese.

     

    Uno studio dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza che ha coinvolto 8000 adolescenti di 18 regioni italiane, di età compresa tra gli 11 e i 19 anni, mostra come il 50% degli adolescenti trascorre dalle 3 alle 6 ore extrascolastiche con lo smartphone in mano, il 16% dalle 7 alle 10 ore, per poi arrivare ad un 10 % che supera abbondantemente le 10 ore. I nostri ragazzi sono sempre più iperconnessi e ormai l’impatto dell’essere always online ha un peso sempre maggiore sulla propria vita. Ma cosa fanno essenzialmente i più giovani quando sono sulla rete? Un ruolo fondamentale lo svolgono i social network e le applicazioni di istant messaging (il tanto amato o odiato Whatsapp). Il 95% degli adolescenti ha almeno un profilo personale sui social, ma la cosa che più spaventa è che il 14% ha anche un profilo finto, che pochi conoscono e col quale è facile vivere i peggiori atteggiamenti di cyberbullismo o frequentare gruppi decisamente non adatti alla propria età.

     

    Alcuni atteggiamenti dei cittadini più giovani della rete sono davvero deleteri: il vamping, l’essere sui social durante le ore notturne; la likemania, l’ossessione di raggiungere sempre più like coi propri post; le challenge, sfide simil catene di sant’Antonio nella quali si è nominati tramite un tag col proprio nome e si è chiamati a postare un video o una foto che ci ritragga intenti in un’azione più o meno sconsiderata. Spesso le sfide sono legate al consumo di alcool o di droghe leggere o no. Tutte queste devianze si legano sempre più alla nomofobia, la paura di rimanere senza smartphone o connessione dati.

     

    Scrivo tutto questo non per creare allarmismo ne tantomeno per accendere chissà quale stupida ed inutile battaglia contro l’utilizzo degli smartphone o i social network; studio linguaggi dei media, sono appassionato di new media e credo fermamente che la rete rappresenti uno spazio pieno di possibilità. Di sicuro, come ogni ambiente, va abitato in maniera responsabile e tutti siamo chiamati ad impegnarci per far si che venga rispettata la netiquette, il complesso di regole volto a favorire il reciproco rispetto tra gli utenti della rete. Come adulti abbiamo un compito in più, quello di vigilare ed accompagnare i nuovi abitanti di questo sterminato ambiente digitale, per limitare al minimo le devianze ed evitare che qualcuno si ferisca o ferisca il prossimo.

     

    La prossima volta che ci capiterà di regalare il tanto atteso smartphone a nostro figlio o a nostro nipote, facciamolo, ma coscienti delle possibilità in esso racchiuse e desiderosi di crescere assieme come cittadini responsabili.

     

    don Pietro

  • Trarre fuori

    Ogni tesoro è custodito in un luogo segreto,
    per raggiungere le gemme più preziose si deve scavare a lungo,
    avere pazienza, impegnarsi in un’incessante discesa
    per portare alla luce ciò che mai ha visto la luce.

     

    Trarre fuori (educĕre): questa l’etimologia di educare.

    Mi domando se crediamo sia ancora possibile educare le nuove generazioni o forse lo reputiamo un’utopia perché abbiamo smesso di credere che esse custodiscano qualcosa dentro di loro che va tirato fuori. Forse dobbiamo pulire le lenti con le quali guardiamo ai più giovani, talmente annerite dalle delusioni e dalle arrabbiature che non ci permettono di andare oltre quella corazza che ognuno di noi ha indossato negli anni duri della crescita.

     

    Nella sfida educativa non bisogna mai arrendersi perché volente o nolente il futuro appartiene a loro, a quei ragazzi che a volte paiono persi tra la noia e l’apatia, a quei bambini che troppo spesso vengono lasciati a giocare, per ore in qualsiasi contesto, con lo smartphone di mamma e papà purché stiano tranquilli. Queste generazioni hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a capire come può essere la loro vita nel momento in cui si inizia ad essere protagonisti, quando si realizza chi possono essere, quando si scoprono le proprie potenzialità.

     

    Proviamo a pensare all’emozione provata quando siamo stati capaci di realizzare qualcosa, quando abbiamo superato una prova nel nostro iter scolastico o lavorativo; in ognuna di queste occasioni abbiamo scoperto di custodire in noi qualcosa che ci ha permesso di raggiungere quella meta. Qualcuno ci aveva educato e senza rendercene conto era proprio grazie a quel trarre fuori che stavamo gustando una grande gioia.

     

    Come dice lo stesso nome, la sfida educativa è tutt’altro che facile, implica una lotta, uno scontro che porta con sé battaglie vinte e battaglie perse, una fatica che non siamo sempre pronti a sostenere. Considerando anche questi aspetti è utile sostenersi a vicenda in quanto educatori/genitori/guide per riaccendere ogni giorno in noi la forza richiesta per non tradire il nostro ruolo e non abbandonare il futuro.

     

    don Pietro

     

    Dal 21 al 31 gennaio vivremo la settimana dell’educazione, proprio per questa ricorrenza la Comunità Pastorale offrirà due importanti occasioni di formazione per tutti i genitori e gli educatori. La prima sarà domenica 29 gennaio alle ore 15.30 presso il teatro Il Centro, nella quale la dottoressa Chiara Biader ci parlerà di relazioni, affetti e sessualità nella complessa società contemporanea nell’incontro dal titolo “Le nuove teorie educative e la proposta cristiana”. La seconda occasione sarà giovedì 9 febbraio alle ore 21.00 sempre presso il teatro Il Centro, quando il dottor Pier Cesare Rivoltella ci parlerà di Cyberbullismo: conoscere, prevenire e intervenire.

    Non lasciamoci sfuggire questi momenti per riportare alla luce in noi la bellezza dell’educare.

  • POVERI NOI

    Il 17 ottobre è stato presentato il rapporto Caritas 2016 su povertà ed esclusione sociale dal titolo “Vasi comunicanti”, in passato non mi ero mai soffermato attentamente su questo genere di indagine, ma questa volta un dato allarmante ha attirato la mia attenzione. In Italia oggi la povertà assoluta risulta inversamente proporzionale all’età, diminuisce all’aumentare di quest’ultima: tocca la drammatica vetta del 10,2% nella fascia 18-34 anni, per poi decrescere costantemente fino al dato minimo del 4% relativo agli over 65. Un giovane come me non può restare indifferente di fronte a questi numeri: pensare al grado di povertà nel quale versano coetanei è qualcosa che mi spinge a chiedermi quali siano le cause di una tale situazione e, forse ancora più gravi, le conseguenze.

     

    Se la causa maggiore è la persistente crisi del lavoro, che pare proseguire nonostante gli spiragli di luce che si intravedono nelle statistiche riportate dai telegiornali, sono sicuramente più preoccupanti le conseguenze delle difficoltà che colpiscono i giovani italiani. Papa Francesco riflettendo su questo tema ha detto: “Quando non c’è lavoro a rischiare è la dignità, perché la mancanza di lavoro non solo non ti permette di portare il pane a casa, ma non ti fa sentire degno di guadagnarti la vita! Oggi i giovani sono vittime di questo”. Parole chiare ed esplicite che ci permettono di capire quanto in profondità si protragga l’ombra creata dall’instabilità che viviamo.

     

    In passato il delicato momento dell’immissione nel mondo del lavoro costringeva i giovani a fare alcuni sforzi e sacrifici, ma permetteva di raggiungere l’indipendenza economica e di provare la gioia di nuove soddisfazioni; ora si è portati a vedere un impiego come qualcosa di elitario, per pochi fortunati, si è disposti ad accettare occupazioni occasionali senza la minima previdenza sociale, si è incapaci di progettualità, di fiducia nel futuro. Fortunatamente questa non è la situazione generale dei giovani in Italia, ma il dato evidenziato dal rapporto Caritas ci fa capire che è lo stato in cui vivono troppi di essi.

     

    Quando è in gioco la dignità della persona, ogni aspetto della sua vita rimane coinvolto: il futuro non rappresenta più una possibilità da scoprire, ma una lotta da affrontare; il matrimonio non è più un SI carico di responsabilità e di gioia, ma un di più non necessario; una nascita non è più un dono da accogliere, ma qualcosa da rimandare a tempi migliori.

    Ora più che mai c’è bisogno di politiche capaci di cambiare le carte in tavola, favorire condizioni che possano far diminuire la povertà giovanile, non perché questa sia più importante dello stato di salute degli adulti, ma perché i giovani tornino ad essere il carburante che alimenta l’industria del Paese, la lente che permette di vedere le possibilità nascoste nel domani.

     

    Avere fede non è indifferente per affrontare le difficoltà dell’oggi. Chi crede riesce più facilmente a tornare ad avere fiducia in sé, perché è sicuro di essere innanzitutto destinatario della fiducia di Dio.

    don Pietro

  • Il vero cemento

    24 agosto 2016, 3:36:32, nel cuore di una notte estiva come tante, un rumore assordante, pietre che precipitano come pioggia, una marea asfissiante di polvere, poi le urla.

     

    Così il nostro Paese viene sconvolto dalla tragedia di un terremoto che porta via con sé paesi, case e quasi 300 vite umane. Il tempo per alcune persone si blocca in quei drammatici momenti e sembra non ci sia modo di farlo ripartire. Lo sguardo del mondo si volge verso il cuore dell’Italia e inizia ad attivarsi la catena d’aiuti, donazioni e iniziative volte a permettere un ritorno più rapido possibile alla vita.

     

    Come ha detto il Vescovo di Rieti, Domenico Pompili, occorrerà molto tempo per la ricostruzione, ricostruzione che significa far rivivere una bellezza della quale siamo custodi. Occorre trovare il cemento giusto per attuare questa riedificazione, non basterà rafforzare lo spazio tra un mattone e l’altro, non sarà sufficiente rendere agibili case ed edifici, serve permettere alla vita di tornare ad abitare i luoghi devastati. Chi è stato colpito personalmente dal sisma, chi si è visto andare in frantumi davanti agli occhi tutto quello che aveva, chi ha vissuto il dramma di rimanere con la vita imprigionata per interminabili minuti al buio sotto un cumolo di macerie; com’è possibile ripartire? La prima tentazione è quella di utilizzare Dio come capro espiatorio, addossargli le motivazioni più assurde per ciò che è accaduto. Poi c’è la rabbia cieca che incendia e fa puntare il dito contro tanti possibili responsabili, ma non permette di fare nulla. Ancora più drammatico chi, insensibile, sfrutta le disgrazie per facili guadagni e non è toccato dalle lacrime altrui pur di arricchirsi.

     

    Tragedie come questa toccano il cuore di una nazione intera e possono essere la dolorosa occasione per riscoprire valori che comunemente fatichiamo a vivere, come l’umiltà: la capacità di fare quanto ci è possibile senza avere la necessità di un ringraziamento pubblico, senza essere al centro dell’attenzione, perché abbiamo riconosciuto che al centro della storia c’è Qualcun altro. Incontriamo l’umiltà nel volto dei tanti soccorritori, nelle mani sporche dei volontari, nei cuori agitati di chi ha donato qualcosa attraverso i tanti canali attivi o lo farà nelle varie collette.

    Riemerge il valore della comunità, una comunità ampia che racchiude gli abitanti di una nazione, un popolo che ha bisogno di stringersi ed abbattere le fragili barriere al suo interno per poter sostenersi, per tornare a camminare. Di fronte al bisogno ci si riconosce fratelli, magari non lo si esprime alla stessa maniera, ma tutti siamo più simili, perché tutti fragili di fronte a forze più grandi di noi.

    Proprio per questa fragilità creaturale il cuore dell’uomo ha sete di Dio, ha bisogno di fede, di incontrare nuovamente Colui che può ristorare la nostra vita, di abbracciare Colui che accoglie i nostri cari, di aggrapparsi a quell’unica roccia che nessun terremoto o catastrofe naturale potrà mai frantumare. Ascoltiamo questa sete che è dentro ogni uomo, smettiamola di tentare di sanarla con ciò che non disseta, non continuiamo a fissarci allo specchio sicuri che basterà impegnarsi al massimo per superare ogni problema grazie alle nostre forze, non cerchiamo di dimenticarcene voltando lo sguardo lontano ancora una volta.

     

    Sì la terra tremerà nuovamente prima o poi, ma adesso è il momento di scegliere il cemento col quale edificare la nostra vita.

    don Pietro

  • Per di qua, ma dove?

    C’è un periodo dell’anno in cui pare che le lancette dell’orologio tornino indietro, non solo di qualche ora, ma di diversi anni addietro. Alcune magiche settimane nelle quali gli oratori tornano a ripopolarsi e il vociare di allegri bambini riempie i cortili e le sale dalla mattina alla sera. I luoghi che spesso vengono associati alle parole abbandono o svuotamento, tornano ad essere i poli aggregativi del tempo in cui erano piccoli i nostri nonni e gli spazi, che fino a qualche settimana prima sembravano sovradimensionati, ora pare non bastino mai per accogliere i numerosi piccoli.

     

    Per i pochi che si stanno domandando quando siano queste fatidiche settimane, la risposta è semplice: il periodo dell’oratorio estivo! Ormai siamo alle porte della proposta di questo anno e tra poche ore l’illusione di essere tornati ai tempi d’oro degli oratori si realizzerà. Ancora una volta piccoli e grandi, bambini e adolescenti, genitori e nonni, daranno il loro prezioso contributo alla proposta estiva con la presenza, l’attenzione, la cura degli spazi, l’animazione e tanto altro ancora.

     

    Il tema dell’oratorio estivo 2016 porta il titolo “X di QUA – si misero in cammino” e vede al centro dell’attenzione parole quali viaggio, strada, meta, esodo; in queste quattro settimane tutti gli iscritti cammineranno accompagnati dai loro educatori e responsabili per riscoprire la bellezza dello stare assieme, l’importanza di pregare, la passione dei ragazzi per i bambini e la gioia del sano divertimento.

     

    L’oratorio estivo è la prova che tanti fedeli credono valga ancora la pena rimboccarsi le maniche per aiutare la propria comunità con diversi gesti di volontariato, svegliandosi presto la mattina, tornando a casa stanchi la sera; tutto ciò è qualcosa di toccante e straordinario, ma è necessario compiere qualche passo in più. Occorre che le famiglie smettano di vedere l’oratorio nel periodo estivo come semplicemente l’erogatore di un servizio col miglior rapporto qualità-prezzo, occorre interessarsi realmente alla proposta formativa e spirituale, occorre lasciarsi interpellare dalla gioia dei più piccoli durante queste settimane quando tornano a casa e fare in modo che possano abitare gli spazi oratoriani anche durante il resto dell’anno.

     

    Sogno un futuro in cui le famiglie siano realmente libere di decidere se mandare i propri figli all’oratorio feriale o al campo estivo comunale, perché tra le due proposte non c’è un eccessivo divario di costi; sogno un futuro in la carica, la voglia di fare e di stare assieme degli animatori non si esaurisce dopo 25 giorni; sogno un futuro in cui non c’è alcuna illusione di inizio estate, nessun trucco che porti indietro il tempo, ma semplicemente si è diventati fedeli appassionati dell’oggi.

     

    don Pietro

  • Dall’incontro alla comunità

    Martedì 26 aprile il cine teatro La Campanella di Bovisio Masciago era pieno, nessun posto libero per l’incontro del nostro Arcivescovo Angelo Scola coi fedeli del decanato di Desio. Diverse persone provenienti dalla nostra città, da Bovisio Masciago, da Nova Milanese e da Muggiò si sono radunate per ascoltare le parole del proprio pastore in Visita Pastorale.

    E’ stata una serata intensa nella quale il Cardinale si è lasciato guidare da quattro domande che spaziavano dal grande tema educativo alla capacità degli adulti di sentirsi comunità, dai nuovi media al fenomeno migratorio. Le parole edificanti che abbiamo ascoltato ci hanno permesso di ricordare la bellezza di essere comunità, anzi, comunità cristiana! Il nostro incontrarci è il modo nel quale si rende presente la Ss. Trinità in mezzo a noi; soltanto mostrando quanto sia arricchente l’incontro con Cristo riusciremo ad allontanare le parole pronunciate da Paolo VI “La cultura italiana ha già messo da parte Gesù Cristo”.

     

    La decisione di incontrare i fedeli in una sera come tante all’interno della settimana lavorativa mostra il carattere feriale di questa Visita Pastorale, che desidera ridurre il fossato che allontana Cristo dall’uomo contemporaneo. Un uomo che deve riscoprire la vicinanza di Gesù negli affetti, nel lavoro e nel tempo del riposo, allora saremo capaci di mostrare come il Signore alimenta la nostra vita, riscopriremo il “per chi” del nostro costruire, ormai perso schiacciato dal “fare”. I Vangeli ci mostrano che Gesù partiva dal bisogno delle persone che incontrava sul suo cammino per dilatarlo in desiderio: nel desiderio di una pienezza di vita. Vivere la nostra fede ci permette di restare assetati di questa pienezza, senza accontentarci della mediocrità, del “si è sempre fatto così”, che non costruisce nulla ma fossilizza e raffredda la gioia del credere.

    Come comunicare tutto questo? Sentendo Gesù come un TU, come una presenza reale che ci spinge a raccontare il nostro essere cristiani e il Suo accompagnarci quotidianamente. Se ci impegniamo ad avere lo stesso pensiero di Cristo, capiremo che la verità è la comunicazione adeguata alla realtà, è il contenuto dell’esperienza umana del cristianesimo, questo è ciò che dobbiamo far conoscere.

     

    Prima di concludere l’assemblea abbiamo ascoltato parole rincuoranti anche sul drammatico fenomeno migratorio: ci è stato ricordato che questo è una provocazione positiva che ci obbliga a non dimenticare che Dio ha voluto ogni uomo libero. La storia, allora, è luogo di incontro e scontro della libertà e dobbiamo essere certi che sia Dio a guidarla. Come cristiani abbiamo il dovere di farci prossimi e fornire una prima accoglienza, senza sostituirci alle istituzioni.

     

    Grazie è la parola che vorrei rivolgere al nostro Cardinale per ciò che ci ha donato la sera della sua visita.

    Grazie perché ha ricordato a giovani e adulti l’essenziale di vivere un’esperienza di reale comunità, unico luogo in cui si realizza il “per sempre”.

    Grazie perché ha riportato al centro del nostro vivere la bellezza dell’incontro col Signore, che dona senso e sostiene ogni nostro passo.

     

    don Pietro

     

    A questo indirizzo è possibile vedere l’intero video dell’incontro: https://youtu.be/hj-jj41Eh3c

  • In attesa del pastore

    Ci prepariamo all’incontro con il Card. Scola a Bovisio e con il Vicario Episcopale nel mese di maggio

     A due settimane circa dall’incontro che il nostro Arcivescovo, il Card. Angelo Scola, ha fissato con i fedeli (una rappresentanza) del nostro Decanato la sera del 26 aprile prossimo, penso sia opportuno cogliere questa occasione per fare mente locale sulla figura del Vescovo e sul suo ministero. Qualcuno potrebbe ritenerlo un discorso scontato, ma solitamente le cose scontate le lasciamo dietro le spalle. Vogliamo invece questa volta portarle davanti ai nostri occhi  (quelli della fede).

    La prima cosa che vien messa in evidenza anche dai documenti della Santa Sede è che – prima di pensare direttamente al Vescovo – è necessario tener fisso lo sguardo sul mistero di Cristo. E’ lui infatti, secondo la I lettera di Pietro (2,25), il “Pastore e Vescovo delle nostre anime”, oppure, secondo quella agli Ebrei (13,20), “il Pastore grande delle pecore”. Solo in questa luce si può cogliere la vera identità del Vescovo, che è successore degli Apostoli e vicario dell’amore di Cristo nella sua Chiesa particolare.

    Tra le varie immagini del Vescovo tratte dalla Scrittura, è particolarmente eloquente proprio quella del Pastore. Nel Direttorio sul ministero dei Vescovi, si dice testualmente: “Nella contemplazione dell’icona evangelica del Buon Pastore, il Vescovo trova il senso del continuo dono di sé, ricordando che il Buon Pastore ha offerto la vita per il gregge ed è venuto per servire e non per essere servito; inoltre vi trova la fonte del ministero pastorale per cui le tre funzioni di insegnare, santificare e governare devono essere esercitate con i tratti caratteristici (diciamo ‘lo stile’) del Buon Pastore.

    Nell’ambito poi della realtà della Chiesa, corpo mistico di Cristo e Popolo di Dio, il Vescovo è il principio e fondamento visibile di unità nella sua Diocesi e – attraverso la comunione con il Successore di Pietro (il Papa) e con il collegio dei Vescovi – garantisce anche l’inserimento vitale della sua Chiesa locale con l’intero corpo della Chiesa universale.

    Queste linee di fondo del ministero del Vescovo – che possono sembrare solo teoriche – hanno invece delle conseguenze molto pratiche nel modo in cui il Vescovo esercita di fatto il suo servizio pastorale. Deve, ad esempio, coordinare i vari doni (carismi) e servizi (ministeri) perché concorrano concretamente e fruttuosamente a costruire una comunità diocesana equilibrata e armonica. Solo così infatti può essere efficace nel contribuire alla crescita dei credenti, alla diffusione del Vangelo e anche a consolidare la comunità degli uomini secondo il progetto e la Parola di Dio.

    L’aspetto comunque che più ci interessa da vicino in questa occasione è che il Vescovo, per esercitare concretamente la sua funzione di guida, deve poter raccogliere informazioni precise sulla situazione della sua diocesi (e di ogni sua parte), sulle condizioni dei fedeli, sul modo di pensare e di agire dei cristiani nel mondo attuale.  A questo è orientata precisamente la VISITA PASTORALE, che è considerata un obbligo morale imprescindibile per ogni Vescovo. Di fatto l’esercizio concreto di questo dovere episcopale non è semplice nella Diocesi di Milano, soprattutto per la sua vastità: 5 milioni e mezzo di abitanti e più di 1000 parrocchie. A ciò si aggiunge il fatto che gli ultimi due episcopati avevano già una previsione di tempo piuttosto ridotta.  Ecco perché l’incontro diretto con il Card. Scola si limiterà alla serata di martedì 26 aprile, presso l’auditorium “La Campanella” di Bovisio. Lì il Pastore della nostra diocesi ci indicherà le linee-guida sulle quali intende orientare il cammino della Chiesa ambrosiana.

    In seguito sarà il suo diretto rappresentante, Il VICARIO EPISCOPALE, Mons. Patrizio Garascia, che dedicherà nel mese di maggio una settimana intera per ognuna delle quattro Comunità Pastorali del nostro Decanato, così da poter incontrare concretamente le varie componenti delle singole comunità, con una visita anche a ciascuna parrocchia e a varie realtà locali. Alla nostra Comunità Pastorale di Desio Mons. Garascia dedicherà la settimana dal 16al 21 maggio, con vari incontri, di cui sarà diffuso per tempo il calendario. Al termine della settimana, il Vicario presiederà la solenne Eucaristia conclusiva di Sabato 21 maggio alle ore 18.30 in Basilica.  Confidando che ogni cristiano, consapevole della propria appartenenza alla Diocesi ambrosiana, voglia fare il possibile per vivere questo significativo passaggio del cammino di fede della nostra Comunità, invito ciascuno a partecipare ai vari incontri (specialmente a quelli che lo interessano più da vicino) e saluto tutti nella fraternità del Signore.

    Mons. Elio Burlon

  • BOH

    Tre semplici lettere: B O H. L’unione di queste tre letterine ha il sapore dell’indefinito, del non conosciuto e della non voglia. Se ci è mai capitato di utilizzare l’espressione BOH lo abbiamo fatto per questioni sulle quali eravamo ignoranti o che reputavamo di poco conto, ma siamo in un’epoca in cui spesso sono gli adolescenti e i giovani a giocare la carta jolly BOH in sempre più occasioni. Potremmo quindi parlare di “generazione BOH”, rubando l’espressione al noto rapper Fedez che ha intitolato così il suo ultimo LP. Dopo la “generazione X” che ha raccolto i nati dalla metà degli anni ’60 agli anni ’80, una generazione priva di un’identità sociale stabilita che ha tanto influenzato la cultura pop ed il marketing, e la nascita della successiva “generazione Y”, media addicted e divoratori di tecnologie, pare ora essere giunta la fase del grande e onnipresente BOH.

     

    Il peso drammatico della crisi degli ultimi anni e le incertezze ad essa dovute hanno fatto si che la parola BOH abitasse sempre più la bocca dei giovanissimi, come se fosse un chewing gum che non perde mai il sapore. Il lavoro si è spostato dal campo delle sicurezze da conquistare a quello dei sogni lontani; i legami familiari e affettivi sembrano aver imparato proprio dall’ambito lavorativo a diventare temporanei; le certezze -anche se- fastidiose della fede sono state abbandonate lasciando spazio al dio Sport o alla divinità Sballo. I problemi sono diventati così frequenti che pare essersi arresi nel faticare per risolverli, in un certo senso si è già andati oltre la provocazione portata a Sanremo da Francesco Gabbani che canta “elaboriamo il lutto con un amen […] dimentichiamo tutto con un amen”, dovremmo sostituire il caro vecchio AMEN con il nuovo e brillante BOH.

     

    Non fraintendetemi, non credo che i giovani attuali siano senza speranza, ma che facciano molta fatica sì. Proprio per le difficoltà evidenziate bisogna stargli accanto e accompagnarli nel loro pellegrinaggio quotidiano, per superare i momenti di stallo e le delusioni che non mancano ogni dove. Credere in loro per far riaccendere la fiducia in sé stessi e scoprire le proprie capacità, far tesoro delle potenzialità nascoste in ognuno di noi per sfruttarle al massimo. Servono promotori di speranza, che fortifichino i ragazzi nella lotta contro la noia e l’apatia, che gettino nuova luce sul domani oscurato dall’ombra dell’incertezza. Avendo difronte i testimoni giusti, allora sarà possibile rafforzare la fiducia in quei valori che alimentano la vita di ogni uomo: la giustizia, l’impegno, l’Amore (quello con la A maiuscola che crede nella fedeltà).

     

    Fortunatamente non mancano diversi progetti a livello territoriale che hanno come fine il sostegno e l’affermarsi dei giovani. Mi permetto di citarne solo due: il primo è “GO! Giovani Opportunità” che vede coinvolti il Comune di Desio e quelli limitrofi; il secondo porta proprio il nome “Generazione BOH!” ed è stato pensato e curato dalla Pastorale Giovanile del nostro decanato. Un ciclo di tre film su diversi aspetti del disagio giovanile [2-16 marzo e 6 aprile presso il teatro La Campanella di Bovisio M.] e un concerto-testimonianza della rock band The SUN, che ha riscoperto la bellezza e l’importanza della fede.

     

    A volte bastano piccoli gesti e semplici esperienze per riaccendere dentro di sé la voglia di dare il massimo e sputare via la logorata gomma da masticare marchiata BOH.

     

    don Pietro

  • F.A.M.I.G.L.I.A.

    Figli: ebbene sì, volenti o nolenti siamo tutti figli di un padre e una madre, possono essere assieme o separati, possiamo aver passato l’infanzia in una famiglia modello Mulino Bianco o in una serra di litigate, ma la realtà non cambia: siamo figli. Ci ricordiamo di non essere frutto dei nostri sforzi e dei nostri successi? Bah, a me pare che ogni tanto ce lo dimentichiamo del tutto. Un grazie dovremmo sentirci in dovere di dirlo ed è quello nei confronti dei nostri genitori, non per come ci hanno accompagnato negli anni ma solo per il fatto di essere qui.

     

    Apertura: alla vita, al prossimo, agli amici; la famiglia è sempre inclusiva e mai esclusiva, con le porte del cuore aperte e le braccia spalancate pronte ad accogliere, consolare ed ascoltare. Quest’apertura permette di non sentirsi mai soli, permette a chi perde le persone care di non affrontare il futuro senza nessuno accanto, permette ad un giovane prete di avere un posto a tavola quando il frigo è vuoto. [Grazie! nda]

     

    Misericordia: non basta l’anno giubilare straordinario per viverla, eppure è necessaria perché la parola “indissolubile” non sia un sogno impossibile ma una strada percorribile. E’ grazie ad essa se la fragilità umana non è la parola che regola una relazione tra due persone che si vogliono bene, se gli sbagli della gioventù non chiudono la porta in faccia ad un figlio, se l’aiuto negato in un periodo difficile non equivale ad aver bruciato tutti i ponti attorno a sé.

     

    Incoraggiamento: ce lo insegnano i primi anni di vita che “Da soli non ce la si può fare”, l’uomo ha bisogno di cure per poter camminare sulle proprie gambe. Nella maggior parte delle volte saper camminare non basta, sappiamo quanto sia facile cadere tra le pieghe dei problemi, allora si alza lo sguardo al cielo e prima di incontrare gli occhi di Dio si spera di intercettare volti amici pronti ad offrirci una mano per rialzarci, ricordandoci che le ferite guariscono.

     

    Gioia: “Se stiamo assieme ci sarà un perché…” cantava Riccardo Cocciante e la gioia di sicuro è più facile viverla e testimoniarla quando non si è soli. Volete mettere finire un’estenuante giornata lavorativa, entrare in casa e vedere vostro figlio che vi corre incontro per salutarvi, rispetto ad una pesante porta che si apre sul vuoto e sul silenzio? La famiglia è il miglior antidepressivo in commercio, non promette miracoli…ma quelli non li assicurano neppure le pillole.

     

    Libertà: che non vuol dire fare quello che si vuole, ma educarsi a capire che libertà è scegliere, dire un unico SI’ che implica diversi NO. Forse abbiamo passato l’intera adolescenza a litigare coi genitori per la nostra libertà, ma poi il tempo ci ha insegnato che siamo diventati esattamente come loro, perché quando non si hanno barriere siamo bravi da soli a rischiare l’autodistruzione.

     

    Identità: la famiglia ne possiede una sua propria: un uomo e una donna che si impegnano ad amarsi senza scadenza, evitando di aggiungere legami secondari, e disposti ad accogliere la vita che il Signore vorrà donargli. La famiglia è anche il luogo nel quale ogni uomo scopre la propria identità e si sente ben voluto qualunque essa sia.

     

    Amore: “se i figli possono nascere lo stesso anche da due che si odiano dimmi allora a che cosa serve l’amore”, caro Luca [Carboni] l’amore serve a far crescere nella maniera migliore quei figli, l’amore serve ad avere la forza per compiere quei gesti che non dimentichiamo per tutta la vita, l’amore serve per trovare un senso nella vita e credere che il domani possa essere migliore dell’oggi. L’amore serve per poter raccontare ancora tra 50 anni quanto sia bello amare.

     

    don Pietro

  • Mentre tutto scorre

    Pánta rêi (tutto scorre) -diceva Eraclito-  ed ecco che siamo già arrivati all’inizio di un nuovo anno e ne salutiamo uno appena finito. Questi sono i giorni delle classifiche e dei bilanci: i servizi al telegiornale ci ricordano tutte le statistiche più o meno interessanti dell’anno che si sta per concludere, le copertine delle riviste ci mostrano il meglio e il peggio dei dodici mesi appena trascorsi, i social si riempiono di post con le previsioni di magici oroscopi che pretendono di rassicurarci sull’anno a venire.

     

    Un nuovo anno che fa capolino all’orizzonte è un’occasione importante per fermarsi e fare il bilancio sull’andamento della nostra vita, le nostre scelte, i successi e gli scivoloni che abbiamo vissuto; è un momento opportuno per mettere nero su bianco i buoni propositi che intendiamo rispettare. Mi permetto di suggerirne uno a ciascuno di voi: STOP all’indifferenza!

     

    In parte è colpa del tempo che stiamo vivendo, l’epoca del tutto e subito, dell’informazione continua che stordisce e disorienta la nostra vita; fatto sta che sempre più spesso siamo diventati dei campioni nel passare dalla gioia al dolore, dalla depressione all’euforia. Incapaci di sostenere il peso di tutte le stimolazioni che ci vengono ininterrottamente fornite, abbiamo costruito una particolare armatura attorno a noi che ci permette di entrare in contatto con tutto e tutti senza rimanere contaminati da nulla. Se da un lato questo comportamento ci preserva da una pericolosa instabilità che non ci permetterebbe di affrontare le sfide di ogni giorno, dall’altro conduce inevitabilmente ad essere affetti dal morbo dell’indifferenza.

     

    La paura di soffrire nella vita ci rende così incapaci ad amare, pronti a voltarci di fronte al dramma del prossimo che il Signore ci pone sul cammino con la stessa velocità con la quale cambiamo canale sulla TV, manco fosse uno scroll sul display dello smartphone.

     

    Finché restiamo contagiati da questo virus del nostro tempo, non avremo realmente accolto quel Bambino festeggiato la notte del 24 dicembre, saremo bloccati di fronte la mangiatoia senza riuscire a gioire nel nostro cuore, senza saperci inginocchiare per adorarlo, né tantomeno aver la capacità di lasciarci abbracciare. La nostra fede ci interpella e ci chiede di lottare l’indifferenza anche a costo di dover affrontare delusioni e fatiche; in fondo è l’unica via possibile per voler bene, per far in modo che la partita della nostra vita non sia una partita al solitario.

     

    Pánta rêi (tutto scorre), non  lasciamo che il famoso aforisma si tramuti in Olísthima rêi (tutto scivola), non permettiamo l’indifferenza ci renda insensibili a ciò che accade attorno a noi e soprattutto a chi ci accompagna o semplicemente si imbatte in noi nel pellegrinare dei giorni.

    Ognuno di voi avrà già stilato la lista dei buoni propositi per il nuovo anno, ma sono sicuro che è rimasto lo spazio per aggiungerne un ultimo, magari sarà proprio questo a rendere indimenticabile l’anno che inizia.

    Buon 2016!

    don Pietro