Categoria: Editoriali

  • Un pensiero di benedizione

    Un pensiero di benedizione

    stemma-delpiniInvoco la benedizione di Dio su questa nostra terra e su tutte le terre del pianeta.

    In questo momento l’apprensione per sé e per i propri cari, forse persino il panico, si diffondono e contagiano il nostro vivere con maggior rapidità e con più gravi danni del contagio del virus.

    Invoco la benedizione di Dio per tutti:

    la benedizione di Dio non è una assicurazione sulla vita,
    non è una parola magica che mette al riparo dai problemi e dai pericoli.

    La benedizione di Dio è una dichiarazione di alleanza:
    Dio è alleato del bene, è alleato di chi fa il bene.

    Invoco la benedizione di Dio sugli uomini di scienza e sui ricercatori.

    La gente comune non sa molto di quello che succede,
    dei pericoli e dei rimedi di fronte al contagio.
    Il Signore è alleato degli uomini di scienza che cercano il rimedio
    per sconfiggere il virus e il contagio.

    In momenti come questi si deve confermare un giusto apprezzamento
    per i ricercatori e per gli uomini e le donne che si dedicano
    alla ricerca dei rimedi e alla cura dei malati.

    Si può essere indotti a decretare il fallimento della scienza
    e a suggerire il ricorso ad arti magiche e a fantasiosi talismani.

    La scienza non ha fallito: è limitata.

    Siano benedetti coloro che continuano a cercare
    con il desiderio di trovare rimedi, piuttosto che di ricavarne profitti.

    Certo si può anche imparare la lezione che sarebbe più saggio dedicarsi
    alla cura dei poveri e delle condizioni di vita dei poveri,
    piuttosto che a curare solo le malattie dei ricchi
    e di coloro che possono pagare.

    Che siano benedetti gli scienziati, i ricercatori e coloro
    che si dedicano alla cura dei malati e alla prevenzione delle malattie.

    Invoco la benedizione di Dio per tutti coloro che hanno responsabilità nelle istituzioni.

    La benedizione di Dio ispiri la prudenza senza allarmismi,
    il senso del limite senza rassegnazione.

    Il consiglio dei sanitari e delle persone di buon senso
    suggerirà provvedimenti saggi.

    Ogni indicazione che sarà data per la prevenzione
    e per comportamenti prudenti
    sarà accolta con rigore dalle istituzioni ecclesiastiche.

    Invoco la benedizione di Dio su coloro che sono malati o isolati.

    Vi benedico in nome di Dio perché Dio è alleato del desiderio del bene,
    della salute, della vita buona di tutti.

    Chi è costretto a sospendere le attività ordinarie
    troverà occasione per giorni meno frenetici:
    potrà vivere il tempo a disposizione anche per pregare, pensare,
    cercare forme di prossimità con i fratelli e le sorelle.

    Mi permetto di invocare la benedizione del Signore e di invitare tutti i credenti a pregare con me:

    Benedici, Signore, la nostra terra, le nostre famiglie, le nostre attività.
    Infondi nei nostri animi e nei nostri ambienti
    la fiducia e l’impegno per il bene di tutti,
    l’attenzione a chi è solo, povero, malato.

    Benedici, Signore,
    e infondi fortezza e saggezza
    in tutti coloro che si dedicano al servizio del bene comune e a tutti noi:
    le sconfitte non siano motivo di umiliazione o di rassegnazione,
    le emozioni e le paure non siano motivo di confusione,
    per reazioni istintive e spaventate.

    La vocazione alla santità ci aiuti anche in questo momento
    a vincere la mediocrità, a reagire alla banalità, a vivere la carità,
    a dimorare nella pace. Amen.

    ✠ Mario Delpini, Arcivescovo di Milano

  • MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA 53a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE – 1° GENNAIO 2020

    MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA 53a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE – 1° GENNAIO 2020

    colomba-550MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA 53a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE – 1° GENNAIO 2020

    LA PACE COME CAMMINO DI SPERANZA: DIALOGO, RICONCILIAZIONE E CONVERSIONE ECOLOGICA

    1. La pace, cammino di speranza di fronte agli ostacoli e alle prove

    La pace è un bene prezioso, oggetto della nostra speranza, al quale aspira tutta l’umanità. Sperare nella pace è un atteggiamento umano che contiene una tensione esistenziale, per cui anche un presente talvolta faticoso «può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino». 1 In questo modo, la speranza è la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili.

    La nostra comunità umana porta, nella memoria e nella carne, i segni delle guerre e dei conflitti che si sono succeduti, con crescente capacità distruttiva, e che non cessano di colpire specialmente i più poveri e i più deboli. Anche intere nazioni stentano a liberarsi dalle catene dello sfruttamento e della corruzione, che alimentano odi e violenze. Ancora oggi, a tanti uomini e donne, a bambini e anziani, sono negate la dignità, l’integrità fisica, la libertà, compresa quella religiosa, la solidarietà comunitaria, la speranza nel futuro. Tante vittime innocenti si trovano a portare su di sé lo strazio dell’umiliazione e dell’esclusione, del lutto e dell’ingiustizia, se non addirittura i traumi derivanti dall’accanimento sistematico contro il loro popolo e i loro cari.

    (altro…)

  • Avvicendamenti

    Carissimi e carissime,

    nei giorni scorsi abbiamo ricevuto dal Vicario Episcopale mons. Luciano Angaroni la seguente lettera indirizzata ai fedeli della Comunità Pastorale.

    Vi scrivo per comunicarvi che DON GIUSEPPE CORBARI dopo 9 anni di presenza nella vostra Comunità, è stato chiamato dall’Arcivescovo ad un nuovo incarico.

    Con l’inizio di settembre sarà nominato Vicario della Comunità pastorale “S. Paolo” in Giussano.

    Desidero esprimere a don Giuseppe un grande GRAZIE per tutto l’impegno di questi anni spesi per il bene della comunità. GRAZIE per la sua testimonianza di prete innamorato del Signore e della sua gente.

    Con l’inizio di settembre l’Arcivescovo nominerà un nuovo Vicario della vostra Comunità pastorale, che vi sarà comunicato nelle prossime settimane.

    Assicuriamo a don Giuseppe la nostra preghiera e gli auguriamo ogni bene.

    Intanto vi invito alla preghiera per le vocazioni al ministero ordinato e per la santità dei preti.

    Nello stesso tempo la Sorella Maggiore delle Ausiliarie Diocesane ha reso noto che anche l’AUSILIARIA SIMONETTA FUMAGALLI, anche lei dopo 8 anni di servizio nella nostra città, viene destinata a un nuovo incarico e verrà sostituita dalla sua consorella GRAZIANA CALAFÀ, proveniente da Rozzano.

    Desideriamo esprimere anche a lei un sentito GRAZIE per la sua presenza generosa e disponibile accanto ai sacerdoti e alla gente verso la quale ha svolto un ministero discreto ed efficace.

    La Comunità cittadina – e specialmente la Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo – è chiamata ad affrontare un rinnovo importante del personale apostolico e insieme a favorire la partecipazione di tutti alla vita della Chiesa, crescendo nella comunione tra le parrocchie e le persone che la compongono.

    Grati per i doni ricevuti, accompagniamo con la preghiera e un fraterno abbraccio DON GIUSEPPE E SIMONETTA e siamo pronti ad accogliere cordialmente chi sarà inviato a lavorare tra noi per il Regno di Dio.

    don Gianni, i Preti e le Ausiliarie della Comunità Pastorale

    Desio, 15 giugno 2019

     

  • Via crucis con l’Arcivescovo

    vedemmo-la-sua-gloria VIA CRUCIS CON L’ARCIVESCOVO MONS. MARIO DELPINI

    VENERDÌ 12 APRILE ore 20:45 – Chiesa Beata Vergine Immacolata  Binzago (Cesano Maderno)

    Le stazioni della Via Crucis prendono spunto da alcuni versetti dei Salmi con l’intento di fare memoria a un tempo della preghiera di Gesù che, gravato dal peso della Croce, si rivolge al Padre in un filiale abbandono, e della preghiera di tutti gli oppressi della terra che, unendosi a Cristo, ritrovano il coraggio e la forza di un fiducioso ricorso a Dio.

    Le pagine bibliche, tratte dal Nuovo Testamento, illuminano i quadri delle diverse stazioni della Via Crucis, mentre le preghiere di santi e pontefici ci fanno sentire in compagnia di uomini e donne che hanno vissuto l’immedesimazione al Cristo sofferente e glorioso.

  • Te Deum di ringraziamento alla fine dell’anno

    31 dicembre 2018: Te Deum di ringraziamento alla fine dell’anno

    (Nm 6,22-27; Fil 2,5-11; Lc 2,18-21)

    «Inviando in missione i suoi discepoli, Gesù dice loro: “In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa! Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi”. Offrire la pace è al cuore della missione dei discepoli di Cristo». Così inizia il messaggio del Papa per la Giornata mondiale della Pace di domani, 1° gennaio 2019, e così i sacerdoti, le religiose e i laici incaricati hanno salutato le famiglie
    e le case che hanno accolto la visita natalizia: «Pace a questa casa!».

    L’espressione si allarga e diventa augurio e preghiera: «Pace a questa città!». Augurio, perché ciascun cittadino o cittadina è certamente desideroso di pace vera. E preghiera, perché la comunità cristiana annuncia il volto di colui che è la nostra pace: Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo.

    La Chiesa e ogni cristiano – seguendo quanto scrive san Paolo: abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù – si sentono inviati come Gesù a partecipare della vicenda umana. Egli umiliò se stesso, cioè si abbassò per camminare con gli uomini e le donne del suo tempo, per sperimentare relazioni, lavoro, famiglia, per toccare con mano le difficoltà, le sofferenze, le incertezze di tanti suoi contemporanei.

    Quello stile umile contrasta con la mentalità dell’individualismo dove, mentre ci si lamenta impietosamente di ciò che non funziona per sé, si rendono invisibili le povertà più drammatiche del nostro tempo e si trascura una visione di insieme della società stessa. el recente discorso di S. Ambrogio il nostro Arcivescovo ha affermato:

    «La recensione delle problematiche che caratterizzano il momento che viviamo è talora troppo influenzata dal particolare di cronaca che provoca una reazione emotiva e oscura la considerazione complessiva della realtà.

    L’esercizio di una lettura realistica di questo tempo può individuare alcune priorità che, per quello che mi risulta, sono già condivise.

    In una considerazione pensosa delle prospettive del nostro tempo si dovrà evitare di ridurci a cercare un capro espiatorio: talora, per esempio, il fenomeno delle migrazioni e la presenza di migranti, rifugiati, profughi invadono discorsi e fatti di cronaca, fino a dare l’impressione che siano l’unico problema urgente.

    Si devono nominare tra le problematiche emergenti e inevitabili:

    • la crisi demografica che sembra condannare la popolazione italiana a un inesorabile e insostenibile invecchiamento;
    • la povertà di prospettive per i giovani che scoraggia progetti di futuro e induce molti a trasgressioni pericolose e a penose dipendenze;
    • le difficoltà occupazionali nell’età adulta e nell’età giovanile e le problematiche del lavoro;
    • la solitudine il più delle volte disabitata degli anziani».

    Sono valutazioni da meditare in modo non fugace e superficiale, specialmente per quanto concerne la ricerca di capri espiatori, le crisi della demografia e del lavoro, le solitudini degli anziani e il duplice riferimento ai giovani circa la mancanza di lavoro e lo scoraggiamento sul futuro.

    Proprio ai giovani la Chiesa universale ha dedicato nel 2018 un’assemblea del Sinodo dei Vescovi. Vediamo non pochi giovani responsabilmente attivi in ambiti associativi, educativi, culturali, sportivi. Non ci nascondiamo tuttavia che alcuni anche da noi mostrino vuoti preoccupanti di motivazioni e di valori e diano luogo a comportamenti trasgressivi, antisociali, dannosi per se stessi, per gli altri e per le stesse istituzioni – quali ad esempio scuole e oratori – disponibili ad accoglierli.

    Mi sento di aggiungere ai tanti indicati dall’Arcivescovo il tema della casa, dell’abitare, che emerge con urgenza tre le richieste avanzate ai Centri di Ascolto della Caritas, e che appare di difficile soluzione, soprattutto per chi vive con scarso reddito.

    Tra le molte luci della vita cittadina, affiorano dunque zone di ombra, che suscitano la solidarietà di singoli e associazioni. Mi chiedo però se anche tra noi non si diffondano gli atteggiamenti preoccupanti messi in evidenza a livello nazionale dall’autorevole ricerca del CENSIS di fine d’anno, che ha descritto gli italiani «soli, arrabbiati e diffidenti».

    La delusione e il rancore possono condurre alla cattiveria, se per la difesa del proprio spazio personale, familiare, di gruppo, di fazione, non ci si fa scrupolo di penalizzare o rifiutare l’altro, il diverso, il debole. Ma se chi sta in fondo alla scala sociale non è garantito, ben presto nessun livello potrà dirsi al sicuro.

    La crisi globale che ha colpito tutti con durezza ormai dieci anni fa, più che crisi economica si presenta infatti come crisi di fiducia, come osserva Papa Francesco nel suo messaggio: «viviamo in questi tempi in un clima di sfiducia che si radica nella paura dell’altro o dell’estraneo, nell’ansia di perdere i propri vantaggi, e si manifesta purtroppo anche a livello politico, attraverso atteggiamenti di chiusura o nazionalismi che mettono
    in discussione quella fraternità di cui il nostro mondo globalizzato ha tanto bisogno».

    Questo clima crea talora diffidenza non solo verso le fasce marginali della popolazione, ma anche verso chi le soccorre, fino a svalutare enti e associazioni che si muovono nell’ambito della carità, dell’assistenza, dell’accoglienza. Già sfavorite da una mentalità di delega, per cui se si occupano loro dei poveri altri possono disinteressarsene, ora subiscono sospetti circa il loro operato e rischiano anche a livello legislativo e fiscale
    di non vedere apprezzato il loro apporto in settori dove agiscono per il bene comune.

    Il valore delle organizzazioni non a scopo di lucro infatti non sta solo nel servizio volontario che rendono, ma anche nel contributo che offrono alla realizzazione della vita dei cittadini, di quelli di cui si prendono cura direttamente e di quelli che si giovano di una compagine sociale meno conflittuale.

    Nell’anno trascorso le parrocchie, unitamente ad altri soggetti, hanno aderito a due provvedimenti promossi con il Comune di Desio.

    Con il primo si è rinnovata la Convenzione con le Scuole d’Infanzia paritarie, che interessano centinaia di famiglie della nostra città e vogliono offrire un’occasione educativa privilegiata ai più piccoli. Le stesse comunità parrocchiali non sempre conoscono l’impegno professionale, organizzativo ed economico che rappresentano le tre Scuole d’Infanzia parrocchiali, alle quali se ne aggiungono altre tre di ispirazione cristiana e altre ancora presenti sul territorio. La Convenzione rinnovata dà rilievo ai temi dell’inclusione e della mediazione culturale, così da sostenere percorsi di integrazione dei bambini e delle loro famiglie.

    Il secondo consiste nel protocollo Qui Welfare Desio, che intende facilitare l’accesso alle prestazioni sociali e sociosanitarie attive sul territorio attraverso il coordinamento di soggetti che operano in rete tra loro. Il Centro di Ascolto Caritas della Basilica ha aderito con l’intento di essere antenna e canale a nome delle parrocchie cittadine.

    Una parola di gratitudine riservo ai Missionari Saveriani che hanno ricordato i 70 anni di presenza a Desio: ci richiamano a vivere l’universalità della Chiesa e a praticare il dialogo interreligioso.

    Sono pure riconoscente all’associazione Minhaj Ul Quran per il messaggio natalizio che ci ha indirizzato, con la disponibilità a percorrere insieme vie di incontro, dialogo, pacificazione.

    Scrive ancora il Papa: «Celebriamo in questi giorni il settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata all’indomani del secondo conflitto mondiale. Ricordiamo in proposito l’osservazione del Papa San Giovanni XXIII: “Quando negli esseri umani affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri: nei soggetti che ne sono titolari, del dovere di far valere i diritti come esigenza ed espressione della loro dignità; e in tutti gli
    altri esseri umani, del dovere di riconoscere gli stessi diritti e di rispettarli”».

  • I punti cardinali

    Stupore, entusiasmo, ammirazione ed esultanza. Con queste quattro parole il nostro Arcivescovo Mario Delpini ci invita a vivere il tempo dedicato al Sinodo Minore “Chiesa dalle genti” che si sta svolgendo nella Chiesa ambrosiana.

    Lo stupore ci ricorda gli occhi spalancati dei bambini, che, sin da quando vengono al mondo, scoprono ogni istante qualcosa di nuovo. Uno stupore che potremmo definire incontenibile, che nasce da un posto recondito dentro di loro e ha una strada direttissima che lo porta ad esprimersi con ogni muscolo del volto. Il tempo pare aumentare sempre più il traffico su questa strada invisibile, al punto tale che col passare degli anni il nostro sguardo diventa sospettoso, indagatore, incredulo, facendoci dimenticare così la ricchezza dei doni che il Signore ci fa. Chi ha la fortuna di essere padre o madre può sforzarsi di ricordare cos’ha provato la prima volta che ha preso in braccio suo figlio: ecco cos’è lo stupore.

    Nei Vangeli, ogni volta che Gesù compie un miracolo e stravolge le sorti di una storia che appariva già scritta, nelle persone si accende lo stupore: non possiamo pensare di poterne fare esperienza se eliminiamo la possibilità di questo inatteso cambiamento, se non apriamo gli occhi sull’operato di chi guida la storia dell’umanità. Come credenti siamo chiamati a lasciarci condurre tra le pieghe del tempo, senza sapere cosa ci sarà dietro il prossimo tornante, disponibili ad aprire la bocca per pronunciare con gioia: “WOW!”.

    L’entusiasmo comunica quanto crediamo in ciò che stiamo facendo, quanto impegno e passione mettiamo nel vivere appieno la nostra vita. La fede che abbiamo, la comunità a cui apparteniamo, sanno essere abitate dall’entusiasmo? Troppo spesso i gesti che compiamo sono frutto di uno sforzo artificioso, fredda applicazione di un comandamento, fotocopie sbiadite del si è sempre fatto così; in tutto questo non c’è spazio per l’entusiasmo, ma anzi si crea terreno fertile per la delusione, lo sconforto e la stanchezza. Se ci apriamo alla novità, se ci impegniamo per il cambiamento, se accettiamo la sfida dell’incontro, allora la realtà non sarà più grigia e fredda, ma stimolante e piena di colori.

    L’ammirazione è la benzina migliore per vivere ogni incontro. Nella realtà multiculturale e multietnica che abitiamo non si può essere Chiesa chiudendosi nel recinto del già noto: ogni incontro deve diventare occasione di conoscenza e crescita nella relazione con l’altro, rispettando le sue diversità, anche relative alle tradizioni religiose. Lasciamo spazio in noi alla meraviglia insita nell’etimologia della parola ammirazione: questa è il terreno buono nel quale possono fiorire il rispetto, la stima, la simpatia. Una Chiesa dalle genti, è una Chiesa sicura della propria ricchezza, nascosta nelle tante pieghe del tessuto sociale e culturale che la costituisce. Come si è arrivati ad esultare soltanto quando la propria squadra di calcio vince una partita, quando si raggiunge un traguardo scolastico o lavorativo? Educhiamoci a provare e mostrare una grande allegrezza ogni volta che si realizza un gesto d’amore, ogni volta che facciamo esperienza del perdono. Abitiamo un tempo in cui la parola condivisione ha un ruolo essenziale, smettiamo di vivere solo gioie private e iniziamo a raccontare, mostrare, testimoniare la bellezza del progetto di Dio per i suoi figli! Trasformiamo la nostra vita in un frammento di specchio che riflette la luce che lo colpisce: l’amore misericordioso ed incessante di Dio Padre. Illumineremo il mondo.

    Entriamo in questi giorni nella Quaresima, tempo di essenzialità e purificazione, facciamo in modo che stupore, entusiasmo, ammirazione ed esultanza diventino i punti cardinali del nostro cammino di fede.

    don Pietro

  • Hanno bussato alla porta

    Stamattina quando è suonata la sveglia proprio non volevo uscire dal letto, la mamma come al solito è entrata con la sua voce delicata a dirmi che era tardi e che la colazione mi aspettava in cucina. Dopo essermi girato alcune volte tra le coperte calde, mi sono alzato e –non so bene come- sono riuscito ad affrontare l’intera mattinata a scuola, dove abbiamo fatto mille cose interessanti assieme alle maestre.

    Non vedevo l’ora di uscire, oggi mi veniva a prendere mia mamma e prima di andare a casa mi doveva acquistare un piccolo regalo, visto che è il mio compleanno; la festa vera la farò sabato con gli amici, il regalo è solo una piacevole anteprima. Alle 17.00 sono finalmente a casa e posso godermi il nuovo videogioco appena acquistato, almeno per oggi la mamma non mi darà fastidio in continuazione con la solita frase “Smettila di giocare che l’hai già fatto abbastanza”, per oggi parte del regalo è zero disturbi da parte sua.

    Sono preso dalle avventure proiettate sullo schermo della TV, quando qualcuno bussa alla porta. Chi sarà mai, non passa mai nessuno e poi, bussare, chi bussa senza prima aver citofonato, deve essere il vicino che ha bisogno di qualcosa. La mamma mi chiede di andare a vedere chi è, mi avvicino alla porta e chiedo “Chi è?”, dall’altra parte una voce sconosciuta risponde “Sono il prete per la benedizione della casa”. Abbastanza confuso dico alla mamma che è il prete e lei portando la mano destra alla fronte esclama ad alta voce “Cavolo la benedizione, me ne ero proprio dimenticata”, si gira verso l’ingresso e dice “Arrivo subito”, poi volta lo sguardo verso di me “Andrea spegni subito quel coso”. No, scusa? Oggi è il mio compleanno, avevamo fatto un accordo e adesso mi chiedi di spegnere, per chi? Per il prete? Ma il prete non lo devo sopportare solo la domenica a messa? Ora viene anche a casa? Servizio a domicilio? Consegna gratuita?

    Il giovane prete entra in casa bardato come se fossimo in Russia: giubbotto, cappellino, sciarpa. Appena scopre il volto mi guarda sorridente e mi chiede come mi chiamo, rispondo solo per educazione mentre vorrei lamentarmi per aver interrotto la mia partita. Rasserena mia mamma riguardo il presunto disordine della casa, dicendo che non è importante se si era dimenticata della visita, per pregare basta poco e l’ordine perfetto non è richiesto. Mi sorprende per la curiosità che ha nei miei confronti, vuole sapere dove vado a scuola, come mi trovo con i compagni, se vado in oratorio…mamma mia quante domande, a sto punto ne approfitto per dirgli che è il mio compleanno e lui mi stordisce gridando “Tanti auguri!”. Ringrazio, sempre solo per educazione.

    Estrae dalla borsa una piccola immaginetta con un disegno raffigurante una Natività e mi spiega che all’interno ci sono scritte alcune parole del Papa, mentre sul retro una tabella riporta gli orari delle messe. Invita me e la mamma a dire una piccola preghiera, prima di fare un segno di croce con uno strano strumento dal quale fuoriescono alcune gocce d’acqua. Ci fa ancora gli auguri di un felice Natale e mi saluta appoggiando la mano sulla mia testa come faceva il nonno quando ero piccolo, la mamma gli consegna una busta contenente un’offerta, poi esce e sento suonare il campanello del vicino.

    Che strana questa cosa della visita natalizia, devo ammettere che è stato piacevole accogliere il prete a casa mia, anche se sono stato costretto ad spegnere la Playstation. Sento sempre dire che la Chiesa siamo noi, che la Chiesa è vicina, beh oggi ho capito che non sono solo parole. Per la prima volta non sono stato io ad aprire il pesante portone della chiesa, ma mi è bastato aprire la porta di casa mia.

    Guardo il cartoncino che mi ha lasciato il don, c’è scritto “Dio non è lontano, non dobbiamo cercarlo nelle orbite celesti o in qualche mistica idea”, mi viene da dire che a volte è talmente vicino che bussa alla porta, ma non so se il don sarebbe d’accordo, forse esagero.

     

    don Pietro

  • Gli scaffali della farmacia

    Quando ero piccolo rimanevo sempre affascinato dagli scaffali delle farmacie: così alti, bianchi, puliti. Erano fatti di mille cassetti che si aprivano rivelando un ordine perfetto al loro interno: migliaia di scatole di pillole, sciroppi e pastiglie, una a fianco all’altra sempre perfettamente ordinate. Non capitava mai che il farmacista sbagliasse ad aprire un cassetto, sapeva esattamente dove cercare la cura adatta al male del momento. Per ogni problema, una soluzione pronta in una scatola chiusa che chiedeva solo di essere aperta e di venir consumata secondo il giusto dosaggio.

     

    Avrei capito solo molti anni dopo che quelle scatole non contenevano magiche pillole per ogni male e che, in alcuni casi, non c’era scatola capace di curare determinate malattie.

     

    A volte credo che le persone vivano i vari ambiti della propria vita come se fossero una serie di quegli scaffali, ognuno ben separato dagli altri, ognuno contenente un prodotto adatto all’esigenza temporanea. Non si aprono mai più scaffali contemporaneamente né se ne lascia aperto uno, se no il farmacista rischia di sbatterci contro.

     

    C’è lo scaffale del wellness che contiene i prodotti che rilassano la pelle e prevengono il formarsi delle rughe, i cibi chilometro zero che tengono alla larga pesticidi e coloranti, i momenti di svago e il tempo libero passato con gli amici.

    C’è lo scaffale del fitness pieno di piccoli flaconi al cui interno sono concentrate le ore in palestra, le sedute dal massaggiatore, le corse mattutine, i migliori integratori e le bevande energetiche.

    C’è lo scaffale del lavoro con scatole colme di rabbia, stress, orari, scadenze, solo ogni tanto si trova miracolosamente qualche scatola mezza vuota contenete soddisfazioni e promozioni.

    C’è lo scaffale del piacere, la sua anta è la più larga di tutte, ma sempre perfettamente oliata per permetterne la facile apertura; al suo interno si susseguono una dopo l’altra le bottiglie dei migliori vini, delle birre più corpose e dei superalcolici più pesanti, quando siamo di pessimo umore giochiamo a mischiare tutte queste bottiglie, credendo di trovare la formula magica per la perfetta medicina. In questo scaffale ci sono anche grosse scatole contenenti parti di persone ammucchiate l’una sopra l’altra: le natiche di un amica, il decolté di una conoscente, i pettorali di un vicino, il volto di una sconosciuta, le gambe dell’amica di nostra moglie; sono come quei vasetti pieni di piccole caramelle colorate, una diversa dall’altra, che ci divertiamo a gustare puntando di volta in volta su un determinato colore.

    C’è lo scaffale della famiglia le cui scatole sembrano più che altro pacchi dono, per quanto sono tenute bene, decorate e preziose, al loro interno c’è una scorta d’affetto, una manciata di perdono, alcune dosi di delusione, qualche pastiglia di arrabbiatura e tanti confetti d’amore.

    C’è lo scaffale della fede, ci sono momenti in cui pare nessuno abbia oliato i suoi binari dalla fatica che si fa ad aprirlo, tendenzialmente si apre almeno una volta la settimana, la domenica, manco lo avesse prescritto il medico. Al suo interno lo spazio è occupato da scatole di misericordia, alcuni flaconi di sensi di colpa mischiati con rigidi precetti, qua e là è possibile trovare delle pastiglie di gioia e pace del cuore, di alcune scatole ignoriamo il contenuto, abbandonate da troppi anni e ricoperte di polvere.

     

    Davvero crediamo sia possibile vivere così? Aprendo uno scaffale alla volta e chiudendolo ermeticamente subito dopo? Passiamo da uno all’altro come fossero i canali della TV, facciamo continuamente zapping e non ci rendiamo neppure conto dell’anta che abbiamo appena chiuso, né tantomeno siamo realmente interessati a quella che stiamo per aprire.

    Quando impareremo che una pillola influisce sulle altre, che non si può passare da un flacone al successivo senza pensare alle controindicazioni, che alcune medicine hanno bisogno di tempo e attenzioni prima di fare effetto? Forse basterebbe tornare al di là del bancone e smettere di giocare a fare il farmacista, aprire gli occhi e realizzare che non siamo in un Fai-da-te.

     

    don Pietro

  • La piccola bellezza

    10 giorni fa è arrivato il fatidico momento in cui giriamo il foglio del calendario e compare implacabile la scritta settembre, mettiamo via le valigie, riponiamo in un armadietto le creme solari e nella loro scatola gli scarponi da montagna. Si ricomincia!

    Una delle poche cose belle di questo mese sono le feste: abbiamo iniziato con la festa di San Rocco il primo fine settimana, poi la festa patronale di San Pio X, le fiaccoline e le feste dei nostri oratori, che concludono il mese e danno avvio al nuovo anno oratoriano. Come da tradizione la FOM (fondazione oratori milanesi) ci suggerisce un tema per questo anno: “Vedrai che bello”, il riferimento è al capitolo 1 del Vangelo di Giovanni nel quale Gesù alla domanda dei discepoli di Giovanni “Maestro, dove dimori?” risponde “Venite e vedrete”.

    L’invito che fa il Signore ci rivela uno stile che ogni cristiano dovrebbe avere e, secondo il mio modesto parere, rischia di essere dimenticato nel nostro tempo. C’è una bellezza da riscoprire, un bello che dona slancio e senso al fare di ogni giorno, un bello sempre più difficile da vedere perché abbiamo le lenti appannate dall’odio e dai drammi che vengono quotidianamente esaltati sotto la luce accecante dei media. Come si può vivere secondo l’esempio di Cristo se vediamo soltanto i buchi neri dell’umanità? La bellezza è reale e concreta, ma dobbiamo cercarla, svelarla, togliere quei drappi che ci impediscono di goderne. In tutto questo può aiutarci il periodo estivo appena concluso: spesso le vacanze sono quel tempo straordinario nel quale sappiamo ancora far esistere lo stupore nel nostro volto, guardare una frazione di creato e chiamarla piccolo pezzo di paradiso. Torniamo con la mente a questa esperienza per saper riconoscere la bellezza che ci circonda.

    Per vedere tutto ciò Gesù ci dice che è necessario un venire, mettersi in cammino, uscire dalla propria comfort zone, svolgere un ruolo attivo. In questa epoca in cui abitiamo un’infinità di spazi contemporaneamente, grazie agli strumenti che sono diventati ormai un’estensione del nostro corpo, il rischio è quello di essere presenti ovunque ma sempre e solo con una partecipazione passiva che passa attraverso i tasti di una tastiera. Uno tsunami di commenti, like, faccine sorridenti o arrabbiate, attraverso i quali esprimiamo le nostre idee, difendiamo una causa o insultiamo chi la pensa diversamente; tutto questo può portare a vivere la propria appartenenza ad una comunità in modalità remota, restando comodamente in casa, mentre si dimentica di cosa abbia bisogno realmente la comunità: affetto, aiuto, abbracci, servizi.

    “Vedrai che bello” è un invito fatto non solo a chi abita i nostri oratori, ma ad ogni uomo per ricordargli che è ancora possibile stupirsi per tante piccole schegge di bellezza nascoste qua e là nella vita, ma è necessario sporcarsi le mani, aprire la porta di casa ed uscire, compiendo quei passi che permettono si realizzi un vero incontro.

    don Pietro

  • Tutto tranne che: Detto, fatto!

    “Detto, fatto”, chissà quante volte hai usato questa espressione per indicare una cosa semplice e veloce da fare, quasi che il tempo per raccontarla fosse maggiore di quello richiesto per realizzarla.

    Bene, questa stessa espressione è stata scelta come motto per l’oratorio estivo di questo anno. Il passo della Sacra Scrittura a cui fa riferimento sono i giorni della creazione nei quali Dio ha realizzato ogni cosa. Bellissimo tema e pieno di possibili riflessioni da fare con i ragazzi in queste settimane estive, che si fanno sempre più vicine.

     

    La verità è che un oratorio estivo è tutto tranne che “Detto, fatto!”, dietro quelle settimane piene di colore, musica e giochi, c’è tanto lavoro e moltissime persone coinvolte. La prima categoria che mi viene in mente sono gli animatori, di solito ragazzi delle superiori, che si occupano di seguire i più piccoli facendoli giocare e divertire a più non posso; poi ci sono i tanti volontari adulti che svolgono le mansioni più disparate: c’è il bar da gestire, ci sono gli spazi da pulire, c’è la segreteria da seguire con i suoi mille elenchi, ci sono le gite da organizzare, i piatti da servire e -a volte- anche da cucinare. Insomma dietro quei giorni che appaiono sempre felici e, che per uno sguardo distratto, possono far credere che la crisi degli oratori sia lasciata alle spalle, c’è una mole di lavoro mastodontico e che inizia ben prima che la temperatura segnata dal termometro superi i 20 gradi.

     

    A volte ho l’impressione che le persone -non tutte, sia chiaro- si approcciano alla proposta estiva dei nostri oratori secondo la logica del #dettofatto, ok c’è lo sbattimento di dover impazzire il primo giorno delle iscrizioni per non farsi portar via il posto a pranzo, magari non tutte le gite ci aggradano, in alcuni casi ci sono anche degli spiacevoli episodi che coinvolgono i propri figli; ma in fondo si può tirar un gran sospiro sapendo che il proprio figlio non sarà a casa da solo a buttar via giornate intere una volta che la scuola è finita. Questa è una tentazione che bisogna combattere, non si può dare per scontato che anche quest’anno, come ogni anno, ci sarà la macchina Oratorio Estivo ad offrire il servizio migliore al costo minore. Dobbiamo ricordare che dietro ad ogni risposta positiva o negativa circa le varie iniziative in programma c’è un duro impegno da parte di un grande numero di persone per offrire ai più piccoli un tempo di crescita educativo e di fede, NON facciamo e NON vogliamo essere un centro estivo. La logica che sostiene un oratorio estivo non è quella di rispondere a un bisogno, di offrire un servizio, per quello ci sono le proposte del Comune o di associazioni sportive. Cerchiamo di ricordarcelo mentre compiliamo la scheda d’iscrizione dell’oratorio vicino casa; anche se c’è il rischio di rimanere delusi da alcune attività, pensiamo a quante cose vengono fatte, a quanti volontari sono coinvolti e quanti bambini avranno da seguire.

     

    Qui non si offrono soluzioni per i problemi di tutti, ma si cerca di fare le cose con passione, col desiderio di ricordare a tutti che al centro ci deve essere Gesù: nelle parole che diciamo e nello stile che proponiamo. Qui si vuole valorizzare il poco che ognuno può offrire per fare molto assieme. Qui si desidera educare più che animare, rispettare più che vincere, sostenere più che sorprendere.

    Quando passeremo davanti all’ingresso dell’oratorio e vedremo sventolare la bandiera col motto “Detto, fatto” o sentiremo sparato a tutto volume l’inno ballato da tutti i bambini, ricordiamoci che dietro quelle due parole c’è qualcosa di assolutamente lontano dall’essere #dettofatto.

     

    don Pietro