Categoria: Editoriali

  • Per di qua, ma dove?

    C’è un periodo dell’anno in cui pare che le lancette dell’orologio tornino indietro, non solo di qualche ora, ma di diversi anni addietro. Alcune magiche settimane nelle quali gli oratori tornano a ripopolarsi e il vociare di allegri bambini riempie i cortili e le sale dalla mattina alla sera. I luoghi che spesso vengono associati alle parole abbandono o svuotamento, tornano ad essere i poli aggregativi del tempo in cui erano piccoli i nostri nonni e gli spazi, che fino a qualche settimana prima sembravano sovradimensionati, ora pare non bastino mai per accogliere i numerosi piccoli.

     

    Per i pochi che si stanno domandando quando siano queste fatidiche settimane, la risposta è semplice: il periodo dell’oratorio estivo! Ormai siamo alle porte della proposta di questo anno e tra poche ore l’illusione di essere tornati ai tempi d’oro degli oratori si realizzerà. Ancora una volta piccoli e grandi, bambini e adolescenti, genitori e nonni, daranno il loro prezioso contributo alla proposta estiva con la presenza, l’attenzione, la cura degli spazi, l’animazione e tanto altro ancora.

     

    Il tema dell’oratorio estivo 2016 porta il titolo “X di QUA – si misero in cammino” e vede al centro dell’attenzione parole quali viaggio, strada, meta, esodo; in queste quattro settimane tutti gli iscritti cammineranno accompagnati dai loro educatori e responsabili per riscoprire la bellezza dello stare assieme, l’importanza di pregare, la passione dei ragazzi per i bambini e la gioia del sano divertimento.

     

    L’oratorio estivo è la prova che tanti fedeli credono valga ancora la pena rimboccarsi le maniche per aiutare la propria comunità con diversi gesti di volontariato, svegliandosi presto la mattina, tornando a casa stanchi la sera; tutto ciò è qualcosa di toccante e straordinario, ma è necessario compiere qualche passo in più. Occorre che le famiglie smettano di vedere l’oratorio nel periodo estivo come semplicemente l’erogatore di un servizio col miglior rapporto qualità-prezzo, occorre interessarsi realmente alla proposta formativa e spirituale, occorre lasciarsi interpellare dalla gioia dei più piccoli durante queste settimane quando tornano a casa e fare in modo che possano abitare gli spazi oratoriani anche durante il resto dell’anno.

     

    Sogno un futuro in cui le famiglie siano realmente libere di decidere se mandare i propri figli all’oratorio feriale o al campo estivo comunale, perché tra le due proposte non c’è un eccessivo divario di costi; sogno un futuro in la carica, la voglia di fare e di stare assieme degli animatori non si esaurisce dopo 25 giorni; sogno un futuro in cui non c’è alcuna illusione di inizio estate, nessun trucco che porti indietro il tempo, ma semplicemente si è diventati fedeli appassionati dell’oggi.

     

    don Pietro

  • Dall’incontro alla comunità

    Martedì 26 aprile il cine teatro La Campanella di Bovisio Masciago era pieno, nessun posto libero per l’incontro del nostro Arcivescovo Angelo Scola coi fedeli del decanato di Desio. Diverse persone provenienti dalla nostra città, da Bovisio Masciago, da Nova Milanese e da Muggiò si sono radunate per ascoltare le parole del proprio pastore in Visita Pastorale.

    E’ stata una serata intensa nella quale il Cardinale si è lasciato guidare da quattro domande che spaziavano dal grande tema educativo alla capacità degli adulti di sentirsi comunità, dai nuovi media al fenomeno migratorio. Le parole edificanti che abbiamo ascoltato ci hanno permesso di ricordare la bellezza di essere comunità, anzi, comunità cristiana! Il nostro incontrarci è il modo nel quale si rende presente la Ss. Trinità in mezzo a noi; soltanto mostrando quanto sia arricchente l’incontro con Cristo riusciremo ad allontanare le parole pronunciate da Paolo VI “La cultura italiana ha già messo da parte Gesù Cristo”.

     

    La decisione di incontrare i fedeli in una sera come tante all’interno della settimana lavorativa mostra il carattere feriale di questa Visita Pastorale, che desidera ridurre il fossato che allontana Cristo dall’uomo contemporaneo. Un uomo che deve riscoprire la vicinanza di Gesù negli affetti, nel lavoro e nel tempo del riposo, allora saremo capaci di mostrare come il Signore alimenta la nostra vita, riscopriremo il “per chi” del nostro costruire, ormai perso schiacciato dal “fare”. I Vangeli ci mostrano che Gesù partiva dal bisogno delle persone che incontrava sul suo cammino per dilatarlo in desiderio: nel desiderio di una pienezza di vita. Vivere la nostra fede ci permette di restare assetati di questa pienezza, senza accontentarci della mediocrità, del “si è sempre fatto così”, che non costruisce nulla ma fossilizza e raffredda la gioia del credere.

    Come comunicare tutto questo? Sentendo Gesù come un TU, come una presenza reale che ci spinge a raccontare il nostro essere cristiani e il Suo accompagnarci quotidianamente. Se ci impegniamo ad avere lo stesso pensiero di Cristo, capiremo che la verità è la comunicazione adeguata alla realtà, è il contenuto dell’esperienza umana del cristianesimo, questo è ciò che dobbiamo far conoscere.

     

    Prima di concludere l’assemblea abbiamo ascoltato parole rincuoranti anche sul drammatico fenomeno migratorio: ci è stato ricordato che questo è una provocazione positiva che ci obbliga a non dimenticare che Dio ha voluto ogni uomo libero. La storia, allora, è luogo di incontro e scontro della libertà e dobbiamo essere certi che sia Dio a guidarla. Come cristiani abbiamo il dovere di farci prossimi e fornire una prima accoglienza, senza sostituirci alle istituzioni.

     

    Grazie è la parola che vorrei rivolgere al nostro Cardinale per ciò che ci ha donato la sera della sua visita.

    Grazie perché ha ricordato a giovani e adulti l’essenziale di vivere un’esperienza di reale comunità, unico luogo in cui si realizza il “per sempre”.

    Grazie perché ha riportato al centro del nostro vivere la bellezza dell’incontro col Signore, che dona senso e sostiene ogni nostro passo.

     

    don Pietro

     

    A questo indirizzo è possibile vedere l’intero video dell’incontro: https://youtu.be/hj-jj41Eh3c

  • In attesa del pastore

    Ci prepariamo all’incontro con il Card. Scola a Bovisio e con il Vicario Episcopale nel mese di maggio

     A due settimane circa dall’incontro che il nostro Arcivescovo, il Card. Angelo Scola, ha fissato con i fedeli (una rappresentanza) del nostro Decanato la sera del 26 aprile prossimo, penso sia opportuno cogliere questa occasione per fare mente locale sulla figura del Vescovo e sul suo ministero. Qualcuno potrebbe ritenerlo un discorso scontato, ma solitamente le cose scontate le lasciamo dietro le spalle. Vogliamo invece questa volta portarle davanti ai nostri occhi  (quelli della fede).

    La prima cosa che vien messa in evidenza anche dai documenti della Santa Sede è che – prima di pensare direttamente al Vescovo – è necessario tener fisso lo sguardo sul mistero di Cristo. E’ lui infatti, secondo la I lettera di Pietro (2,25), il “Pastore e Vescovo delle nostre anime”, oppure, secondo quella agli Ebrei (13,20), “il Pastore grande delle pecore”. Solo in questa luce si può cogliere la vera identità del Vescovo, che è successore degli Apostoli e vicario dell’amore di Cristo nella sua Chiesa particolare.

    Tra le varie immagini del Vescovo tratte dalla Scrittura, è particolarmente eloquente proprio quella del Pastore. Nel Direttorio sul ministero dei Vescovi, si dice testualmente: “Nella contemplazione dell’icona evangelica del Buon Pastore, il Vescovo trova il senso del continuo dono di sé, ricordando che il Buon Pastore ha offerto la vita per il gregge ed è venuto per servire e non per essere servito; inoltre vi trova la fonte del ministero pastorale per cui le tre funzioni di insegnare, santificare e governare devono essere esercitate con i tratti caratteristici (diciamo ‘lo stile’) del Buon Pastore.

    Nell’ambito poi della realtà della Chiesa, corpo mistico di Cristo e Popolo di Dio, il Vescovo è il principio e fondamento visibile di unità nella sua Diocesi e – attraverso la comunione con il Successore di Pietro (il Papa) e con il collegio dei Vescovi – garantisce anche l’inserimento vitale della sua Chiesa locale con l’intero corpo della Chiesa universale.

    Queste linee di fondo del ministero del Vescovo – che possono sembrare solo teoriche – hanno invece delle conseguenze molto pratiche nel modo in cui il Vescovo esercita di fatto il suo servizio pastorale. Deve, ad esempio, coordinare i vari doni (carismi) e servizi (ministeri) perché concorrano concretamente e fruttuosamente a costruire una comunità diocesana equilibrata e armonica. Solo così infatti può essere efficace nel contribuire alla crescita dei credenti, alla diffusione del Vangelo e anche a consolidare la comunità degli uomini secondo il progetto e la Parola di Dio.

    L’aspetto comunque che più ci interessa da vicino in questa occasione è che il Vescovo, per esercitare concretamente la sua funzione di guida, deve poter raccogliere informazioni precise sulla situazione della sua diocesi (e di ogni sua parte), sulle condizioni dei fedeli, sul modo di pensare e di agire dei cristiani nel mondo attuale.  A questo è orientata precisamente la VISITA PASTORALE, che è considerata un obbligo morale imprescindibile per ogni Vescovo. Di fatto l’esercizio concreto di questo dovere episcopale non è semplice nella Diocesi di Milano, soprattutto per la sua vastità: 5 milioni e mezzo di abitanti e più di 1000 parrocchie. A ciò si aggiunge il fatto che gli ultimi due episcopati avevano già una previsione di tempo piuttosto ridotta.  Ecco perché l’incontro diretto con il Card. Scola si limiterà alla serata di martedì 26 aprile, presso l’auditorium “La Campanella” di Bovisio. Lì il Pastore della nostra diocesi ci indicherà le linee-guida sulle quali intende orientare il cammino della Chiesa ambrosiana.

    In seguito sarà il suo diretto rappresentante, Il VICARIO EPISCOPALE, Mons. Patrizio Garascia, che dedicherà nel mese di maggio una settimana intera per ognuna delle quattro Comunità Pastorali del nostro Decanato, così da poter incontrare concretamente le varie componenti delle singole comunità, con una visita anche a ciascuna parrocchia e a varie realtà locali. Alla nostra Comunità Pastorale di Desio Mons. Garascia dedicherà la settimana dal 16al 21 maggio, con vari incontri, di cui sarà diffuso per tempo il calendario. Al termine della settimana, il Vicario presiederà la solenne Eucaristia conclusiva di Sabato 21 maggio alle ore 18.30 in Basilica.  Confidando che ogni cristiano, consapevole della propria appartenenza alla Diocesi ambrosiana, voglia fare il possibile per vivere questo significativo passaggio del cammino di fede della nostra Comunità, invito ciascuno a partecipare ai vari incontri (specialmente a quelli che lo interessano più da vicino) e saluto tutti nella fraternità del Signore.

    Mons. Elio Burlon

  • BOH

    Tre semplici lettere: B O H. L’unione di queste tre letterine ha il sapore dell’indefinito, del non conosciuto e della non voglia. Se ci è mai capitato di utilizzare l’espressione BOH lo abbiamo fatto per questioni sulle quali eravamo ignoranti o che reputavamo di poco conto, ma siamo in un’epoca in cui spesso sono gli adolescenti e i giovani a giocare la carta jolly BOH in sempre più occasioni. Potremmo quindi parlare di “generazione BOH”, rubando l’espressione al noto rapper Fedez che ha intitolato così il suo ultimo LP. Dopo la “generazione X” che ha raccolto i nati dalla metà degli anni ’60 agli anni ’80, una generazione priva di un’identità sociale stabilita che ha tanto influenzato la cultura pop ed il marketing, e la nascita della successiva “generazione Y”, media addicted e divoratori di tecnologie, pare ora essere giunta la fase del grande e onnipresente BOH.

     

    Il peso drammatico della crisi degli ultimi anni e le incertezze ad essa dovute hanno fatto si che la parola BOH abitasse sempre più la bocca dei giovanissimi, come se fosse un chewing gum che non perde mai il sapore. Il lavoro si è spostato dal campo delle sicurezze da conquistare a quello dei sogni lontani; i legami familiari e affettivi sembrano aver imparato proprio dall’ambito lavorativo a diventare temporanei; le certezze -anche se- fastidiose della fede sono state abbandonate lasciando spazio al dio Sport o alla divinità Sballo. I problemi sono diventati così frequenti che pare essersi arresi nel faticare per risolverli, in un certo senso si è già andati oltre la provocazione portata a Sanremo da Francesco Gabbani che canta “elaboriamo il lutto con un amen […] dimentichiamo tutto con un amen”, dovremmo sostituire il caro vecchio AMEN con il nuovo e brillante BOH.

     

    Non fraintendetemi, non credo che i giovani attuali siano senza speranza, ma che facciano molta fatica sì. Proprio per le difficoltà evidenziate bisogna stargli accanto e accompagnarli nel loro pellegrinaggio quotidiano, per superare i momenti di stallo e le delusioni che non mancano ogni dove. Credere in loro per far riaccendere la fiducia in sé stessi e scoprire le proprie capacità, far tesoro delle potenzialità nascoste in ognuno di noi per sfruttarle al massimo. Servono promotori di speranza, che fortifichino i ragazzi nella lotta contro la noia e l’apatia, che gettino nuova luce sul domani oscurato dall’ombra dell’incertezza. Avendo difronte i testimoni giusti, allora sarà possibile rafforzare la fiducia in quei valori che alimentano la vita di ogni uomo: la giustizia, l’impegno, l’Amore (quello con la A maiuscola che crede nella fedeltà).

     

    Fortunatamente non mancano diversi progetti a livello territoriale che hanno come fine il sostegno e l’affermarsi dei giovani. Mi permetto di citarne solo due: il primo è “GO! Giovani Opportunità” che vede coinvolti il Comune di Desio e quelli limitrofi; il secondo porta proprio il nome “Generazione BOH!” ed è stato pensato e curato dalla Pastorale Giovanile del nostro decanato. Un ciclo di tre film su diversi aspetti del disagio giovanile [2-16 marzo e 6 aprile presso il teatro La Campanella di Bovisio M.] e un concerto-testimonianza della rock band The SUN, che ha riscoperto la bellezza e l’importanza della fede.

     

    A volte bastano piccoli gesti e semplici esperienze per riaccendere dentro di sé la voglia di dare il massimo e sputare via la logorata gomma da masticare marchiata BOH.

     

    don Pietro

  • F.A.M.I.G.L.I.A.

    Figli: ebbene sì, volenti o nolenti siamo tutti figli di un padre e una madre, possono essere assieme o separati, possiamo aver passato l’infanzia in una famiglia modello Mulino Bianco o in una serra di litigate, ma la realtà non cambia: siamo figli. Ci ricordiamo di non essere frutto dei nostri sforzi e dei nostri successi? Bah, a me pare che ogni tanto ce lo dimentichiamo del tutto. Un grazie dovremmo sentirci in dovere di dirlo ed è quello nei confronti dei nostri genitori, non per come ci hanno accompagnato negli anni ma solo per il fatto di essere qui.

     

    Apertura: alla vita, al prossimo, agli amici; la famiglia è sempre inclusiva e mai esclusiva, con le porte del cuore aperte e le braccia spalancate pronte ad accogliere, consolare ed ascoltare. Quest’apertura permette di non sentirsi mai soli, permette a chi perde le persone care di non affrontare il futuro senza nessuno accanto, permette ad un giovane prete di avere un posto a tavola quando il frigo è vuoto. [Grazie! nda]

     

    Misericordia: non basta l’anno giubilare straordinario per viverla, eppure è necessaria perché la parola “indissolubile” non sia un sogno impossibile ma una strada percorribile. E’ grazie ad essa se la fragilità umana non è la parola che regola una relazione tra due persone che si vogliono bene, se gli sbagli della gioventù non chiudono la porta in faccia ad un figlio, se l’aiuto negato in un periodo difficile non equivale ad aver bruciato tutti i ponti attorno a sé.

     

    Incoraggiamento: ce lo insegnano i primi anni di vita che “Da soli non ce la si può fare”, l’uomo ha bisogno di cure per poter camminare sulle proprie gambe. Nella maggior parte delle volte saper camminare non basta, sappiamo quanto sia facile cadere tra le pieghe dei problemi, allora si alza lo sguardo al cielo e prima di incontrare gli occhi di Dio si spera di intercettare volti amici pronti ad offrirci una mano per rialzarci, ricordandoci che le ferite guariscono.

     

    Gioia: “Se stiamo assieme ci sarà un perché…” cantava Riccardo Cocciante e la gioia di sicuro è più facile viverla e testimoniarla quando non si è soli. Volete mettere finire un’estenuante giornata lavorativa, entrare in casa e vedere vostro figlio che vi corre incontro per salutarvi, rispetto ad una pesante porta che si apre sul vuoto e sul silenzio? La famiglia è il miglior antidepressivo in commercio, non promette miracoli…ma quelli non li assicurano neppure le pillole.

     

    Libertà: che non vuol dire fare quello che si vuole, ma educarsi a capire che libertà è scegliere, dire un unico SI’ che implica diversi NO. Forse abbiamo passato l’intera adolescenza a litigare coi genitori per la nostra libertà, ma poi il tempo ci ha insegnato che siamo diventati esattamente come loro, perché quando non si hanno barriere siamo bravi da soli a rischiare l’autodistruzione.

     

    Identità: la famiglia ne possiede una sua propria: un uomo e una donna che si impegnano ad amarsi senza scadenza, evitando di aggiungere legami secondari, e disposti ad accogliere la vita che il Signore vorrà donargli. La famiglia è anche il luogo nel quale ogni uomo scopre la propria identità e si sente ben voluto qualunque essa sia.

     

    Amore: “se i figli possono nascere lo stesso anche da due che si odiano dimmi allora a che cosa serve l’amore”, caro Luca [Carboni] l’amore serve a far crescere nella maniera migliore quei figli, l’amore serve ad avere la forza per compiere quei gesti che non dimentichiamo per tutta la vita, l’amore serve per trovare un senso nella vita e credere che il domani possa essere migliore dell’oggi. L’amore serve per poter raccontare ancora tra 50 anni quanto sia bello amare.

     

    don Pietro

  • Mentre tutto scorre

    Pánta rêi (tutto scorre) -diceva Eraclito-  ed ecco che siamo già arrivati all’inizio di un nuovo anno e ne salutiamo uno appena finito. Questi sono i giorni delle classifiche e dei bilanci: i servizi al telegiornale ci ricordano tutte le statistiche più o meno interessanti dell’anno che si sta per concludere, le copertine delle riviste ci mostrano il meglio e il peggio dei dodici mesi appena trascorsi, i social si riempiono di post con le previsioni di magici oroscopi che pretendono di rassicurarci sull’anno a venire.

     

    Un nuovo anno che fa capolino all’orizzonte è un’occasione importante per fermarsi e fare il bilancio sull’andamento della nostra vita, le nostre scelte, i successi e gli scivoloni che abbiamo vissuto; è un momento opportuno per mettere nero su bianco i buoni propositi che intendiamo rispettare. Mi permetto di suggerirne uno a ciascuno di voi: STOP all’indifferenza!

     

    In parte è colpa del tempo che stiamo vivendo, l’epoca del tutto e subito, dell’informazione continua che stordisce e disorienta la nostra vita; fatto sta che sempre più spesso siamo diventati dei campioni nel passare dalla gioia al dolore, dalla depressione all’euforia. Incapaci di sostenere il peso di tutte le stimolazioni che ci vengono ininterrottamente fornite, abbiamo costruito una particolare armatura attorno a noi che ci permette di entrare in contatto con tutto e tutti senza rimanere contaminati da nulla. Se da un lato questo comportamento ci preserva da una pericolosa instabilità che non ci permetterebbe di affrontare le sfide di ogni giorno, dall’altro conduce inevitabilmente ad essere affetti dal morbo dell’indifferenza.

     

    La paura di soffrire nella vita ci rende così incapaci ad amare, pronti a voltarci di fronte al dramma del prossimo che il Signore ci pone sul cammino con la stessa velocità con la quale cambiamo canale sulla TV, manco fosse uno scroll sul display dello smartphone.

     

    Finché restiamo contagiati da questo virus del nostro tempo, non avremo realmente accolto quel Bambino festeggiato la notte del 24 dicembre, saremo bloccati di fronte la mangiatoia senza riuscire a gioire nel nostro cuore, senza saperci inginocchiare per adorarlo, né tantomeno aver la capacità di lasciarci abbracciare. La nostra fede ci interpella e ci chiede di lottare l’indifferenza anche a costo di dover affrontare delusioni e fatiche; in fondo è l’unica via possibile per voler bene, per far in modo che la partita della nostra vita non sia una partita al solitario.

     

    Pánta rêi (tutto scorre), non  lasciamo che il famoso aforisma si tramuti in Olísthima rêi (tutto scivola), non permettiamo l’indifferenza ci renda insensibili a ciò che accade attorno a noi e soprattutto a chi ci accompagna o semplicemente si imbatte in noi nel pellegrinare dei giorni.

    Ognuno di voi avrà già stilato la lista dei buoni propositi per il nuovo anno, ma sono sicuro che è rimasto lo spazio per aggiungerne un ultimo, magari sarà proprio questo a rendere indimenticabile l’anno che inizia.

    Buon 2016!

    don Pietro

  • Un nuovo umanesimo

    Compresso tra il Sinodo sulla famiglia e il drammatico terrore degli attentati a Parigi, si è svolto a Firenze dal 9 al 13 novembre il V Convengo Ecclesiale Nazionale dal titolo “In Gesù Cristo: il nuovo umanesimo”. Lo tsunami del dolore che si è abbattuto sull’Europa a seguito dei fatti di Parigi, non ha permesso che venisse dato risalto al confronto che si è svolto nella città dell’arte per eccellenza; ma tre giorni prima che l’onda del terrore devastasse la pace delle nostre vite Papa Francesco ha pronunciato un intenso discorso nella cattedrale di Santa Maria del Fiore che non può cadere nel dimenticatoio.

     

    Quali devono essere i tratti di questo nuovo umanesimo in Cristo Gesù che siamo chiamati a vivere? Umiltà, disinteresse e beatitudine, ecco i tre sentimenti di Gesù che Papa Francesco indica per delineare il volto del nuovo umanesimo.  Parole che troppo spesso risultano lontane dal nostro vissuto o talmente difficili ed impegnative che non ci si sforza di tenerle come punti cardinali per il cammino.

     

    Proviamo a domandarci quante volte abbiamo ascoltato qualcuno accusare la Chiesa di essersi persa, di aver snaturato la sua funzione di retta guida che accompagna e corregge il pellegrinare dell’uomo. A me, per esempio, è successo una di queste sere di benedizioni alle famiglie. Come dice il Papa “Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso.”; tocca a ciascuno di noi impegnarsi ogni giorno e orientare le proprie scelte perché siano testimoniati ed incarnati i sentimenti di Gesù.

     

    Le tentazioni sono sempre vicine e portano a distanziare la Chiesa da chi l’ha istituita: “la fiducia assoluta nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte” con il conseguente “stile di controllo, di durezza, di normatività” oppure “il confidare nel ragionamento logico e chiaro” che “perde la tenerezza della carne del fratello”. Non esiste umanesimo cristiano se si è distanti dalla gente, indaffarati nel fare al punto tale da non accorgersi del prossimo.

     

    Ascoltando le parole di Papa Francesco si comprendono meglio le cinque vie verso l’umanità nuova proposte in preparazione al Convegno: uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare; ma potremmo aggiungere: incontrare, dialogare, sostenere, costruire. Proprio su questo ultimo verbo il Papa ci ricorda che non basta costruire, ma occorre “costruire insieme […] non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà”. Un messaggio forte e chiaro che ci chiama a non alzare muri, a non chiudere porte, a non curare soltanto il nostro piccolo e ordinato giardino.

     

    Sono le parole pronunciate dal Sommo Pontefice a Firenze che vorrei dedicare alla parrocchiana delusa dalla Chiesa e che si augura un futuro fondato sulla laicità; queste stesse parole dovrebbero essere  ascoltate con attenzione da ogni fedele per vivere in pienezza i sentimenti di Cristo, per vivere un nuovo umanesimo nel quale l’uomo ritrova il senso di essere uomo.

     

    don Pietro

  • Non basta guardare serve ascoltare

    “Quante cose!” Ecco la frase che viene spontaneo pronunciare se ci si accosta al documento che i padri sinodali hanno consegnato a Papa Francesco al termine del Sinodo sulla Famiglia: il testo è corposo, suddiviso in 94 punti e costituito da 3 parti che contengono 4 capitoli ciascuna. Se ci si fa’ coraggio e si procede con la lettura allora si scoprirà la ricchezza di contenuti in esso racchiusa, contenuti che vanno ben al di là dei due temi onnipresenti negli articoli e nei servizi dei giorni appena trascorsi. E’ vero, si trovano parole di sostegno e attenzione nei confronti degli omosessuali (ogni persona va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione [N.76]) e di chi vive nuove unioni familiari (deve essere più integrato nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili [N.84]), ma il Sinodo è stato molto altro! E’ stato un’occasione di confronto e riflessione sulla realtà che accomuna tutti noi, perché tutti siamo figli e tutti abbiamo un padre e una madre.

     

    L’atteggiamento vissuto in questo sinodo è racchiuso nel titolo dalla I parte “La Chiesa in ascolto sulla famiglia”, potremmo parlare di un ampliamento di sensi, non più una Chiesa che guarda solo alla famiglia ma che si mette in ascolto delle sue problematiche e delle sue gioie, una Chiesa che crede fermamente nella ricchezza insita in ogni famiglia e desidera accompagnarla e sostenerla in ogni sua situazione.

    L’esigenza di vivere una reale vicinanza della Chiesa nei confronti di ogni uomo è una linea che emerge in maniera chiara nel documento sinodale: «Occorre accogliere le persone con comprensione e sensibilità nella loro esistenza concreta, e saperne sostenere la ricerca di senso» [N.34]. Tutto questo indica uno sguardo sereno e luminoso perché nell’ottica della fede non ci sono esclusi.

     

    «Dio è amore e chiama all’amore» [N.35]. La famiglia è una risposta forte e chiara a questa chiamata: la famiglia ama e insegna ad amare, è palestra del cuore nella quale ogni uomo fa esperienza dell’amore e si allena per diventare sempre più forte nell’amare. Quando al centro di un’unione vi è l’amore di Dio ecco che l’uomo e la donna diventano essi stessi fonti inesauribili d’amore, capaci di superare le fragilità e le delusioni che fanno parte della famiglia umana. Il desiderio di famiglia che resta vivo nelle giovani generazioni ci insegna quanto sia essenziale vivere legami veri e profondi, anche se non sempre i giovani sono sostenuti ed incoraggiati a fare il passo decisivo dalla convivenza al matrimonio. I padri sinodali sono consapevoli di questa difficoltà e dichiarano che «è necessario discernere più attentamente le motivazioni profonde della rinuncia e dello scoraggiamento» [N.29].

     

    La Chiesa conosce quanto possa essere grave la sofferenza che provano gli uomini d’oggi e, dopo aver ribadito in ogni suo aspetto la dottrina cristiana a riguardo della famiglia, esprime il suo desiderio di accompagnare tutti e ciascuno, mantenendo alla base una fraterna e attenta accoglienza, nell’amore e nella verità.

     

    In attesa dell’esortazione apostolica che Papa Francesco scriverà, quello che dobbiamo impegnarci a sentire e vivere è quel senso del “NOI”, nel quale nessun membro è dimenticato; perché ciò accada serve l’aiuto di ogni fedele, serve avere lo sguardo della tenerezza di chi sa dare con gioia e suscitare nell’altro la gioia di sentirsi amato [N.88].

     

    don Pietro

  • Parole che ti abbracciano

    Qualche anno fa, al termine di un Oratorio Estivo, un bambino mi scrisse una letterina molto carina e simpatica. Mi manifestava il suo ringraziamento e il suo affetto per la bella esperienza di Oratorio vissuta, ulteriormente esaltato per la vittoria della sua squadra dei “rossi” e, un po’ dispiaciuto per la conclusione del Grest ma comunque desideroso di partire per le vacanze al mare. Siccome in Oratorio avevamo appeso i testi delle preghiere da recitare al mattino e a conclusione della giornata (le preghiere conosciute della tradizione cristiana) ecco che a Luca viene la brillante intuizione di terminare il suo scritto ricopiando una delle preghiere appese alla parete. Quindi la letterina si concludeva così: «…grazie don Giuseppe per tutti i giochi che ci hai fatto fare insieme con gli animatori, ti voglio tanto bene e ti dedico questa preghiera: L’eterno riposo, dona loro o Signore, risplenda ad essi, ecc ecc…». Aveva scelto la preghiera più corta. Potete immaginare la risata che mi ha suscitato questa “simpatica” dedica!

    Parto, quindi, da questo divertente aneddoto per evidenziare l’importanza delle «parole» della nostra preghiera, parole che spesso pronunciamo velocemente e distrattamente, espressioni di cui, talvolta, ignoriamo la profondità del mistero. D’altro canto queste parole, queste preghiere, nutrono esse stesse il desiderio di «abbracciarci» per farci avvertire tutta la dedizione di Dio nei nostri riguardi.

    Il percorso di “Gerico” che vedrà il suo inizio Venerdì 23 ottobre, si pone l’obiettivo di scavare a fondo nella “preghiera delle preghiere”: il Padre nostro! È la preghiera cristiana più conosciuta e tuttavia non si tratta di una preghiera come le altre, sia pure la più bella, perché è Gesù stesso che l’ha insegnata ai suoi discepoli. È il modello di tutte le preghiere e potrebbe essere considerata il “riassunto” di tutto il Vangelo.

    Infine Gerico ci accompagna non solo verso l’incontro con le “parole” ma, soprattutto, verso l’abbraccio della Parola Vivente: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva». L’incontro con Gesù non avviene in solitaria bensì in compagnia di centinaia di persone in viaggio verso l’unica direzione.

    Ti invito a partecipare per tener viva e fresca la tua “fede” altrimenti corriamo il rischio di declamare un “eterno riposo” alla possibilità di lasciarci incontrare dal Padre, dal Padre nostro!

     

    don Giuseppe Corbari

     

  • Tutti a tavola! L’estate è servita

    Tutti a tavola! È una di quelle frasi che ormai si sentono sempre meno nelle famiglie odierne, dove si rischia sempre di essere di fretta, ognuno preoccupato dei propri impegni e con lo sguardo fisso sull’orologio per evitare di arrivare tardi agli allenamenti, al cinema o perdersi l’inizio del programma preferito. La scelta degli Oratori della Lombardia di intitolare proprio Tutti a tavola! l’oratorio estivo 2015 può essere vista come una provocazione a tornare a gustare del tempo della cena nelle nostre case, tutti radunati attorno alla stessa mensa, senza essere assorti dal proprio smartphone o più attenti alla voce della TV rispetto al racconto del proprio figlio.

    Durante le cinque settimane che i ragazzi avranno l’occasione di passare assieme nei diversi oratori della nostra Comunità Pastorale potranno scoprire la bellezza di condividere momenti di gioia, giocare, ballare, pregare, creare piccoli oggetti in fantastici laboratori, ma tutto questo sarà fatto con lo stile che contraddistingue la nostra proposta educativa. Custodire, coltivare, fare comunione, ospitare, cambiare, essere amici, sono solo alcuni dei verbi che ci guideranno durante l’avventura estiva; il desiderio è quello di riflettere sul tema del cibo, già al centro di Expo 2015, imparando ad avere occhi nuovi su tanti aspetti ad esso connesso. Quando i ragazzi si lasciano coinvolgere nelle attività proposte e le famiglie non vedono l’oratorio estivo come un semplice servizio offerto o, peggio ancora, un parcheggio per i propri figli, si realizza la possibilità di compiere un vero e proprio percorso e di trasformare il tempo libero estivo in tempo ricco e prezioso che ci permette di gustare appieno delle giornate e assaporare la bellezza della nostra fede.

    Insomma l’oratorio feriale non è questione del prete, della suora o del responsabile di turno ma è esperienza che deve coinvolgere la comunità nella sua interezza: famiglie, volontari, animatori, bambini, tutti disponibili e felici ad accogliere la proposta del Signore di sedersi tutti alla Sua tavola!

    don Pietro