Categoria: Editoriali

  • Com’è profondo il mare

    Com’è profondo il mare, così nel 1977 cantava Lucio Dalla in una canzone contro la guerra, una canzone che parla di violenza, violenza fatta al pensiero (il mare): “Così stanno bruciando il mare, così stanno uccidendo il mare, così stanno umiliando il mare, così stanno piegando il mare”, con questi versi si conclude la canzone.

     

    Ebbene oggi nel 2015 siamo ancora tutti fermi con gli occhi fissi sul mare, un mare che sembra non smettere mai di urlare, portavoce di tutta la disperazione di chi in questo mare ha perso la vita, annegato in una buia notte, abbandonato ad un destino forte e violento, che forse non era il suo. Ecco che allora tutte le lacrime e le grida di questi migranti vanno ad alimentare il mar Mediterraneo, trasformato in uno sterminato campo santo che non smette mai di farsi sentire nel rumore delle onde che si infrangono sugli scogli, nel fragore che accompagna il venire e tornare dei suoi flutti.

    Dovremmo fare più silenzio, abbassare le nostre voci confuse per ascoltare questo lamento straziante di fronte al quale non possiamo restare indifferenti: se continuiamo ad urlarci dietro l’un l’altro non potremo che uccidere il mare, umiliarlo, piegarlo ancora una volta, come cantava Lucio Dalla.

     

    Non è nel caos frenetico di un talk show che troveremo le risposte, non è nell’acceso confronto sui social che capiremo cos’è meglio fare, non è nella rabbia di chi si sente sempre più stretto in questo Paese che avremo la capacità di cambiare le cose.

     

    Sicuramente dobbiamo agire, siamo chiamati a fare il possibile per evitare il ripetersi di stragi come queste, il Papa stesso ha dichiarato la necessità di un’azione internazionale decisa, ma prima è necessario fermarsi ed ascoltare, capire che stiamo parlando di “uomini e donne come noi, cercavano la felicità”. Mi auguro che a nessuno venga mai tolto quel desiderio di gioia e felicità che custodiamo nel nostro cuore, perché è proprio quello che da’ la forza di non arrendersi mai, di rialzarsi dopo ogni caduta, di saper amare, insomma di essere uomini!

     

    La prossima volta che avremo la fortuna di passeggiare lungo una spiaggia o sederci su di uno scoglio, concediamoci qualche minuto per ascoltare il rumore delle onde, lasciamo che questo canto entri nel nostro cuore e pensiamo ai volti sconosciuti che esso racchiude, alle vite interrotte come un romanzo con le pagine strappate.

    don Pietro

  • Al cuore della misericordia

    Durante l’omelia in occasione della celebrazione penitenziale di venerdì 13 marzo scorso,  Papa Francesco – dopo aver commentato l’episodio della peccatrice perdonata di cui parla il vangelo di Luca al cap. 7° – ha dichiarato: “Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. E’ un cammino che inizia con una conversione spirituale; e dobbiamo fare questo cammino. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: <<Siate misericordiosi come il Padre!>> (cfr. Lc 6,36)”.

    Prima di giungere a questo annuncio, comunque, il Papa aveva proposto alcune puntuali riflessioni sul brano evangelico sopra ricordato, sottolineando che, prima ancora dell’amore e del pentimento che la donna manifesta con il suo atteggiamento di umiltà nei confronti di Gesù, c’è soprattutto l’amore misericordioso di Gesù per lei che la spinge ad avvicinarsi. Il desiderio principale della donna è quello di avere la certezza di essere perdonata…e “Gesù le dona questa certezza: accogliendola le dimostra l’amore di Dio per lei, proprio per lei, una peccatrice pubblica! L’amore e il perdono sono simultanei”.

    Tutto ciò, inoltre, è in netto contrasto con l’atteggiamento di Simone il fariseo che, dice il Papa: “non riesce a trovare la strada dell’amore…Il suo giudizio sulla donna lo allontana dalla verità e non gli permette neppure di comprendere chi è il suo ospite”. Il giudizio che spesso sbrigativamente diamo del prossimo – e che forse bisognerebbe chiamare ‘pregiudizio’ – ci impedisce di cogliere la vera realtà delle persone, perché si ferma alla superficie delle cose. Per questo Papa Francesco ci esorta “a puntare sul cuore per vedere di quanta generosità ognuno è capace. Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio”.

    A mio parere comunque l’osservazione forse più decisiva (e meno scontata) è quella che il Pontefice mette all’inizio della sua riflessione, quando osserva che “fare esperienza dell’amore di Dio, comunque, è anzitutto frutto della sua grazia…La trasformazione del cuore che ci porta a confessare i nostri peccati è ‘dono di Dio’…è un regalo, è ‘opera sua’”. L’annuncio della infinita misericordia del Signore, infatti, rischia di rimanere senza risposta se gli uomini non sono consapevoli del proprio bisogno di perdono e riconciliazione. E in generale oggi non è difficile scorgere come nella mentalità corrente si assista da tempo a un “deperimento delle evidenze etiche” (come diceva il Card. Martini), che si accompagna a un affievolirsi del senso di responsabilità e a un diffuso soggettivismo, i quali insieme fanno da ostacolo alla consapevolezza della propria condizione di peccatori. Si rischia spesso di rimanere chiusi nella presunzione di Simone il fariseo, che pensava di non aver bisogno di perdono.

    Davanti a questa situazione, oltre alla testimonianza sincera dei praticanti e alla preghiera, penso sia necessario un particolare sforzo in campo educativo, rivolto quindi soprattutto alle giovani generazioni. Non conosciamo ancora le varie iniziative che saranno attivate nel prossimo Anno Santo della Misericordia, che il Papa ha affidato al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, ma penso proprio che saranno date indicazioni e offerti sussidi e opportunità in questo senso. Auguriamoci perciò reciprocamente di poter ricavare il maggior frutto possibile da questa nuova iniziativa di Papa Francesco.

     Mons. Elio Burlon

     

  • CHIesa a CHI?

    Domenica 19 aprile tutta la comunità cristiana sarà chiamata ad eleggere il nuovo Consiglio Pastorale, l’attuale consiglio porta a termine il suo mandato dopo quattro anni di intenso lavoro.

    Il nostro Card. Angelo Scola ha scritto una lettera appositamente in vista di questo momento ed è significativo che le prime parole siano “scoraggiamento” e “malumore”, come a testimoniare chiaramente la conoscenza delle difficoltà che le Comunità Pastorali incontrano nel loro annuncio del Vangelo, la conoscenza delle rimostranze che a volte si alzano da alcuni fedeli, forse colpiti da nostalgia e pessimismo. Dobbiamo tornare a credere che il compito di annunciare Gesù Cristo sia realmente affascinante e per il quale vale la pena dare il nostro contributo nella forma migliore in cui riusciamo, sicuri che “lo Spirito di Dio non abbandona mai la sua Chiesa”.

     

    Il Card. Scola non si perde via in complessi discorsi filosofici ma invita ogni fedele a domandarsi «Io che cosa posso fare per contribuire all’edificazione di questa comunità?», siamo realmente capaci di porci questa domanda? Certo è più comodo rimanere tranquilli nella nostra routine quotidiana e continuare a criticare le cose che non funzionano, i risultai mediocri di alcune iniziative, coccolarsi con il tranquillo ricordo di “un tempo però…”. Ma questo stile può realmente cambiare le cose, può favorire la crescita della nostra Comunità Pastorale o piuttosto non fa che bloccarla in un gelido clima polare?

    “Tu sei pietra viva di questa comunità, tu sei chiamato a santificarti per rendere più bella tutta la Chiesa” -continua il nostro Cardinale- ognuno in questo periodo di raccolta candidature deve chiedersi se crede ancora nella Bellezza e, nello specifico, nella Bellezza della Chiesa, che possiamo rendere più vera e luminosa solo attraverso la nostra collaborazione; si parla spesso di cittadinanza attiva, ma dobbiamo anche essere fedeli attivi, capaci di riconoscere i doni che il Signore ci ha fatto personalmente ed essere pronti a condividerli.

     

    Non tutti siamo chiamati a far parte del Consiglio Pastorale ma certamente queste elezioni devono diventare un’importante occasione di riflessione e uno stimolo a rafforzare il nostro impegno all’interno della comunità cristiana; di fronte ad un Amore sconfinato come quello del Signore non si può sempre essere calcolatori e morigerati nella risposta: diciamo ad alta voce il nostro “Eccomi qui” e trasformiamo il nostro NI in SI!

     

    don Pietro

  • Liberté, égalité, fraternité

    “Liberté, égalité, fraternité” questo è il motto della Repubblica Francese, eppure sembra che negli ultimi giorni siano state calpestate tutte e tre senza esclusione di colpi.

     

    Libertà: una parola -forse- abusata, sbraitata da tutti in continuazione. C’è chi grida alla libertà di stampa, chi alla libertà di espressione, chi alla libertà religiosa, chi semplicemente invoca la propria libertà sempre e comunque. Sacro santa libertà!

    Ma in fondo perché si realizzi la piena libertà servono regole per tutelarla. La vera libertà non può coincidere con l’assenza di regole: ci sono dei valori universali che prescindono da essa e la precedono, la vita del prossimo è uno tra questi.

    Abitiamo nella parte del mondo che viene definito libero, in Italia -come in Francia- è garantito il diritto alla libertà di espressione, ma non lo si deve erigere a scudo mentre si giustifica e si promuove ogni sorta d’offesa (nei confronti di persone di qualsiasi credo religioso) vestendola da satira.

    “LIBERTA’! LIBERTA’!” ecco si stava urlando a squarciagola mentre si oltrepassava senza accorgersene quel confine entro il quale essa si realizza.

     

    Uguaglianza: un concetto che pare così chiaro, lineare, condivisibile; eppure non è così. Non è così quando ci lasciamo prendere dalla rabbia, dall’odio, dal disprezzo; non è così quando spegniamo il nostro cervello e iniziamo a ragionare di pancia, trascinati dalle nostre emozioni, come un leone affamato in cerca della preda.

    Non credo nell’uguaglianza quando in nome di Dio, mi sostituisco a Lui e decido chi deve vivere e chi morire…perché Dio non parla ugualmente con me e con l’altro. Non riconosco più l’uguaglianza quando mi arrogo il diritto di essere trattato in maniera diversa rispetto gli altri, perché non è mica colpa mia, se sei nato dall’altra parte del pianeta, se hai meno possibilità di difenderti. Non sono capace più di leggere la parola uguaglianza quando regolo la mia disperazione per la morte di innocenti in base alla loro nazionalità e provenienza.

     

    Fratellanza: eh beh su questo punto è inutile negare che la nostra fede ci dona un grosso vantaggio, perché se abbiamo compreso bene la festa del “Battesimo di Gesù” (festeggiata l’11 gennaio) allora sappiamo che siamo tutti “figli nel Figlio”, “figli adottivi” di Dio, accomunati da un unico Padre. Ma se questa parola è stata inserita nel motto della  Repubblica Francese vuol dire che è un valore universale, che prescinde il credo professato. Dobbiamo riscoprire il reciproco sentimento d’affetto e di benevolenza significato in questa parola, dobbiamo forzarci ad avvicinare il volto del prossimo al sostantivo “fratello” e iniziare ad anteporre “compassione” a “fastidio”. Appartenere ad una famiglia non vuol dire essere vittime di buonismo né tantomeno di lassismo, ma credere nella misericordia e nel perdono, nella giustizia e nella legge, nella vicinanza e nell’aiuto.

     

    Propongo un esercizio a ciascuno di noi: prendiamo un pezzo di carta e una penna, scriviamo “Libertà, uguaglianza, fraternità”, ora cancelliamo quello che abbiamo scritto con un tratto forte e nervoso e adesso riscriviamo singolarmente ogni parola pensando a cosa vuol dire per noi.

    Se saremo sinceri non basteranno 30 secondi per svolgere l’esercizio…ve lo assicuro.

    don Pietro

  • La comunità al centro

    “La comunità al centro” ecco il nome che darei alla nuova pubblicazione mensile a cura della Commissione Comunicazione della nostra Comunità Pastorale.

    Ormai sono passati più di due anni dalla nascita del sito www.pastoraledesio.it ed oggi, in questa bella occasione, siamo felici di presentare il logo ufficiale della Chiesa di Desio.

    E’ facile intuire l’importanza di un segno che rappresenti la nostra Comunità ed ora finalmente eccolo qui! Il logo contiene cinque forme irregolari concentriche sopra le quali è in rilievo una croce bianca; ogni sagoma colorata indica una delle cinque parrocchie di Desio, legate una all’altra dalla croce che le sovrasta. Questo simbolo ci ricorda come la Comunità Pastorale non ha mai diminuito il valore e la specificità della singola parrocchia, ma al tempo stesso, esse sono chiamate a collaborare sempre più tra di loro per dar vita alla Comunità. Tutto questo è possibile quando ci ricordiamo cosa lega ogni fedele ad un altro: la croce di Cristo, che è fonte e motore della fede personale e comunitaria; questa stessa croce permette alla Comunità Pastorale di portare buoni frutti e mostrare il volto radioso di Dio Padre.

    Nella pubblicazione mensile, la necessità di tenere la comunità al centro è resa graficamente posizionando il nuovo logo al centro della facciata, come sfondo all’editoriale e all’intervista che costituiranno la prima parte di questo foglio comunitario, nella pagina retrostante si troverà un articolo dedicato ad una realtà cittadina e un piccolo calendario con gli appuntamenti essenziali del mese.

    Rinnovando l’invito per restare sempre aggiornati tramite il nostro sito, mi auguro possiate gradire il lavoro fatto dalla Commissione Comunicazione.

    Un abbraccio, don Pietro

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  • Incontri che lasciano il segno

    Un mese fa le strade della nostra amata Desio venivano invase da un gruppo di simpatici personaggi, alcuni vestiti di marrone, altri di grigio, alcuni con una tunica da frate, altri con un velo da suora; iniziava al Missione Giovani “Incontri nella notte”.

     

    La Missione ha coinvolto i giovani del nostro decanato con un calendario di 10 giornate ricche di appuntamenti, incontri, stimolazioni, tutti abitati dalla gioia della fede e da quella sana pazzia che hanno dimostrato di possedere i missionari. E’ stata un’iniziativa a lungo pensata, programmata, preparata e che ha visto lavorare a stretto contatto tutti i preti della pastorale giovanile con un gruppo di giovani che ha costituto una commissione apposita.

    Passati i giorni degli eventi, ora è il tempo delle considerazioni: cosa ha lasciato questa Missione? E’ servita? Fiamma estemporanea o calore costante nascosto nella brace?

     

    Iniziamo col dire una cosa: la Missione ha lasciato il segno, si un segno chiaro e profondo nel cuore di chi vi ha partecipato -preti o giovani, poco importa- chi ha accettato l’invito dei missionari di mettersi in ascolto della voce del Signore ha scoperto quanto fosse bello lasciare a questa Parola diritto di parola nella propria vita. Una Parola forse già ascoltata e conosciuta, ma pronunciata con una nuova energia che abitava i sorrisi dei missionari, con una sconcertante vitalità che traspariva dai gesti dei balli, con una gioia tangibile che si percepiva negli abbracci scambiati come se ci si conoscesse da una vita.

    La Missione ha permesso di avere davanti agli occhi la prova che i giovani sono ancora in cerca del Signore, che sanno ancora pregare e lo sanno fare seriamente; come si potrebbe spiegare altrimenti una chiesa abitata fino alle 24.00 di un giovedì sera, chi nel silenzio avvolgente della preghiera personale, chi col viso segnato dalle lacrime frutto dell’azione disarmante della Misericordia. I giovani ci hanno stupito, ci hanno detto che è doveroso continuare a credere in loro nonostante le contraddizioni e le fragilità del tratto d’esistenza che stanno vivendo.

    La Missione è stata anche divertimento, gioia, musica che pulsa nelle vene; un divertirsi diverso dal solito sabato sera, che non ha bisogno di stemperare nell’alcool le tensioni della settimana, che evita gli eccessi della trasgressione per gustare di ogni singolo istante di sana allegria.

    La Missione ha mostrato la bellezza dell’amore di Cristo in tanti volti sconosciuti: quelli dei missionari, quelli di chi ha accantonato le cose da fare per lasciarsi travolgere da questa onda d’urto, quelli dei passanti che sorridevano di fronte a gesti e parole inusuali sul piazzale della basilica. Questi giorni sono stati occasione per sentire ancora più vicino il Signore, avvertirlo presente in tutti i luoghi che abitiamo normalmente e in quei nei quali non ti aspetti di trovarlo -nel pub il venerdì sera, nel parchetto un pomeriggio come tanti altri, nello studio di una webradio.

     

    La cosa più importante che ci ha regalato questa Missione Giovani? Incontri, incontri che non sono facili da dimenticare, incontri che sanno interrogare e stimolare, incontri che ci potranno accompagnare nella preghiera e nell’amicizia. Per tutto questo e molto altro ancora GRAZIE, grazie di cuore a tutti i missionari, grazie ai preti della PG decanale, grazie ai responsabili della PG cittadina, grazie ai giovani, grazie agli ospiti. Se la Missione sarà servita ora dipende anche da te che stai leggendo queste semplici parole: avverti la bellezza dell’Amore del Signore per te? Credi che ci sia più di un modo per testimoniarlo? Bene, allora scegli il tuo e inizia a incontrare nella notte chi cerca Colui che lo ama!

    don Pietro

  • La sabbia nelle scarpe

    40 giorni, questo è il tempo che ci è dato per convertirci, per tornare a volgere lo sguardo e l’attenzione a quella croce: segno di morte e porta per la vita.

     Non so se siamo pronti per vivere la Quaresima, forse ci troviamo distratti dai mille impegni, forse siamo lontani con la mente per alcune vicende personali, forse vorremmo semplicemente che continuasse il tiepido trascorrere dei giorni, uno uguale all’altro. Ma è importante fermarci, lasciarci condurre dallo Spirito nel deserto, proprio com’è accaduto al Signore; accettiamo l’invito della Chiesa a investire sulla nostra fede in modo nuovo.

     L’immagine del deserto ci parla bene dello stile che ogni cristiano deve impegnarsi a vivere in vista della Pasqua; il deserto con la sua vastità, con la sua solitudine, con la sua essenzialità. Andando nel deserto scopriremo quanto sia disarmante la bellezza del silenzio, concediamo spazio al silenzio nella nostra preghiera, così che esso ci aiuti ad intercettare la voce di Dio. Il silenzio inoltre aiuta a riscoprire il nostro sé, la nostra vita con le sue luci e ombre, con le sue doti e le sue mancanze; se sapremo guardare dentro di noi con sincerità e profondità avvicineremo l’immagine che abbiamo di noi a ciò che vede il Signore. Forse tutto questo ci spaventerà, ma di sicuro ci permetterà di avere una spinta in più per gustare della misericordia che Dio gratuitamente ci dona ogni volta che la imploriamo.

     Nel deserto ogni passo pesa di più, perciò è utile portare con sé soltanto l’essenziale: diamo i nomi alle cose che riempiono la nostra vita ma non la nutrono, impariamo a conoscerle così che potremo liberarcene. Tornare all’essenziale vuol dire anche imparare a condividere, perché non siamo mai soli nel cammino e ognuno ha bisogno di trovare sostegno nel prossimo. Donare aiuto e riceverlo sono azioni strettamente connesse, la prima non può sussistere senza la seconda e viceversa.

     Il deserto è luogo di sacrificio, come il digiuno che la Chiesa ci propone in questo tempo forte. La cultura dell’immagine nella quale viviamo rischia di trasformare la pratica del digiuno in una forma malata di idolatria del sé, ma a nulla serve privarmi di qualcosa se non imparo a vivere la sobrietà, se non rinnovo la mia fiducia nella Provvidenza che non mi farà mancare il necessario. Impegniamoci a dire no allo spreco, del cibo come del tempo, delle energie come delle risorse. Puntando l’attenzione su ciò che nella vita ci allontana da Dio scopriremo a quale digiuno il Signore ci chiama.

     Siamo solo alle porte di questo arido paesaggio, stiamo compiendo i primi passi, eppure a me sembra già di sentire la sabbia nelle scarpe.

    don Pietro

  • Un terremoto di gioia

    Per preparare l’ultima domenica giovani mi sono imbattuto nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium scritta da Papa Francesco: un testo che scuote la coscienza e sorprende in maniera inaspettata. La Chiesa è realmente invasa da una ventata di freschezza e novità, lo sarà sempre più, nella maniera in cui si porrà in ascolto delle parole del Santo Padre.

    Non è questo il luogo per proporre un’ordinata analisi del testo, ma ho sentito la necessità di condividere alcuni passaggi che non possono essere indifferenti ai cristiani e ad ogni uomo del nostro tempo.

    La nota predominante dell’intero documento è la parola GIOIA, che fin dall’incipit è accostata al Vangelo del Signore Gesù: la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù [EG1]. A contrapporsi a questa troviamo quello che viene definito il grande rischio del mondo attuale: una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata [EG2].

    Un pilastro cardine dello scritto di Francesco è lo sguardo rivolto sempre alle periferie, agli ultimi: questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti […] uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie [EG20] E’ vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno. [EG23] Proprio per questo motivo la Parola di Dio ha valore e importanza per ogni uomo: per chi l’ha già accolta con gioia, per chi è sulla soglia, così come per chi crede di essere stato dimenticato da Dio.

    Il Papa indica lo stile che la comunità cristiana deve avere, a partire da chi è chiamato ad evangelizzare: la comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce. [EG24] Lo sguardo poi si allarga alla realtà locale più importante, la parrocchia: non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi.[EG28] E’ necessario che riconosciamo che, se parte della nostra gente battezzata non sperimenta la propria appartenenza alla Chiesa, ciò si deve anche ad alcune strutture e ad un clima poco accoglienti in alcune delle nostre parrocchie e comunità, o a un atteggiamento burocratico per rispondere ai problemi, semplici o complessi, della vita dei nostri popoli. [EG63]

    Il Santo Padre non esclude  la sua persona da questo cammino di verifica: dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. [EG32] Quando mai in passato abbiamo letto un pontefice esprimersi con tale chiarezza e in maniera così diretta?

    Alcune delle difficoltà che siamo chiamati ad affrontare oggi sono accentuate dalla cultura odierna in cui ciascuno vuole essere portatore di una propria verità soggettiva [EG61] dove il primo posto è occupato da ciò che è esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio. Il reale cede il posto all’apparenza. [EG62] Ad appesantire tutto questo si aggiunge che l’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari. L’azione pastorale deve mostrare ancora meglio che la relazione con il nostro Padre esige e incoraggia una comunione che guarisca, promuova e rafforzi i legami interpersonali. [EG67]

    Nonostante le difficoltà e le tentazioni l’uomo non deve smettere di credere nella speranza e continuare a riporre la fiducia in Colui che ha speso tutto sé stesso in nome dell’Amore per ciascuno di noi. Una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. [EG85]

     

    L’esortazione apostolica di Papa Francesco è un’occasione per riconfermare la propria fede nella Chiesa di Cristo e, allo stesso tempo se viene letta con la dovuta attenzione, non si può fare a meno di chiedersi “Cosa sto facendo IO per questo rinnovamento? Cosa posso fare QUI ed ORA nella realtà che vivo?”.

    Mi auguro di aver acceso in voi il desiderio di scoprire le parole del Papa e ritrovare la bellezza propria della vita dell’uomo, la gioia possibile in ogni esistenza in quanto destinataria della cura di Dio.

    don Pietro

  • Sto alla porta e busso

    Senza accorgerci siamo già arrivati alla fine della seconda settimana d’Avvento, questo tempo forte che ci prepara alla festa del Natale, a fare memoria della scelta straordinaria di Dio di incarnarsi in un fragile bambino in una mangiatoia.

    Avvento vuol dire attesa, ma per chi –come il sottoscritto- è prete ambrosiano Avvento fa rima con benedizioni, in queste sei settimane siamo chiamati a portare la benedizione del Signore in tutte le famiglie che vorranno accoglierla. Allora ecco che mi viene alla mente il versetto dell’ Apocalisse “sto alla porta e busso” Ap 3,20; le serate spese da un campanello all’altro, da una villetta ad un palazzo, da un sorriso che ti invita ad entrare al silenzio di chi finge di non essere in casa pur di non risponderti. Devo dire grazie, e devo farlo ad alta voce, perché nonostante il freddo, nonostante l’entusiasmo non sempre al top le benedizioni natalizie sono più di una semplice tradizione: sono una testimonianza, sono l’occasione per sentire ancora più forte sulla pelle il dovere di rappresentare il Signore davanti agli uomini.

    Attraverso la scelta dell’incarnazione Dio ci ha indicato la Sua volontà di farsi prossimo all’uomo, anzi di farsi uno di noi; Egli ha scelto di venire incontro a ciascuno di noi diminuendo fino all’inverosimile la distanza tra il Creatore e la creatura; non ha aspettato che l’uomo fosse pronto, ha fato Lui il primo passo per darci la forza di compiere gli altri. Ogni sera nel semplice gesto di bussare alla porta che si trova di fronte, la Chiesa rinnova il suo impegno a farsi prossima in maniera indistinta, pronta a rispettare chi rifiuterà la possibilità dell’incontro.

    Dietro ogni porta c’è una storia, ci sono gioie e sofferenze, calore o solitudine, fede o indifferenza, il fatto straordinario è l’esigenza impellente del Signore di incontrare ogni singolo uomo, di rendersi presente, senza temere le situazioni più disagiate, i rifiuti carichi di rancore, le scelte che sviliscono la bellezza dell’umano. Le visite di questi giorni diventano un richiamo alla preghiera, un’invocazione alla carità sacerdotale, uno stimolo per impegnarsi sempre più nella sequela di Cristo; per tutto questo bisogna ringraziare, voglio ringraziare… ciascuno di voi, chi ha aperto la sua porta e chi ha rifiutato, chi mi ha offerto un sorriso e chi ha condiviso il dolore che abita la sua esistenza.

     

    don Pietro

  • Giornata missionaria: il messaggio del Papa

    Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale 2013

    Estratto di alcuni passaggi salienti

    Cari fratelli e sorelle,

    quest’anno celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale mentre si sta concludendo l’Anno della fede, occasione importante per rafforzare la nostra amicizia con il Signore e il nostro cammino come Chiesa che annuncia con coraggio il Vangelo. In questa prospettiva, vorrei proporre alcune riflessioni.

    1. La fede è dono prezioso di Dio, il quale apre la nostra mente perché lo possiamo conoscere ed amare. Egli vuole entrare in relazione con noi per farci partecipi della sua stessa vita e rendere la nostra vita più piena di significato, più buona, più bella. Dio ci ama! La fede, però, chiede di essere accolta, chiede cioè la nostra personale risposta, il coraggio di affidarci a Dio, di vivere il suo amore, grati per la sua infinita misericordia. E’ un dono, poi, che non è riservato a pochi, ma che viene offerto con generosità. Tutti dovrebbero poter sperimentare la gioia di sentirsi amati da Dio, la gioia della salvezza! Ed è un dono che non si può tenere solo per se stessi, ma che va condiviso. Se noi vogliamo tenerlo sol-tanto per noi stessi, diventeremo cristiani isolati, sterili e ammalati. L’annuncio del Vangelo fa parte dell’essere discepoli di Cristo ed è un impegno costante che anima tutta la vita della Chiesa. […] La solidità della nostra fede, a livello personale e comunitario, si misura anche dalla capacità di comunicarla ad altri, di diffonderla […]

    2. L’Anno della fede, a cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, è di stimolo perché l’intera Chiesa abbia una rinnovata consapevolezza della sua presenza nel mondo contemporaneo, della sua missione tra i popoli e le nazioni. La missionarietà non è solo una questione di territori geografici, ma di popoli, di culture e di singole persone, proprio perché i “confini” della fede non attraversano solo luoghi e tradizioni umane, ma il cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna[…] Ciascuna comunità è quindi interpellata e invitata a fare proprio il mandato affidato da Gesù agli Apostoli di essere suoi «testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8), non come un aspetto secondario della vita cristiana, ma come un aspetto essenziale[…] Invito i Vescovi, i Presbiteri, i Consigli presbiterali e pastorali, ogni persona e gruppo responsabile nella Chiesa a dare rilievo alla dimensione missionaria nei programmi pastorali e formativi, sentendo che il proprio impegno apostolico non è completo se non contiene il proposito di “rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni”, di fronte a tutti i popoli […]

    3. Spesso l’opera di evangelizzazione trova ostacoli non solo all’esterno, ma all’interno della stessa comunità ecclesiale. A volte sono deboli il fervore, la gioia, il coraggio, la speranza nell’annunciare a tutti il Messaggio di Cristo e nell’aiutare gli uomini del nostro tempo ad incontrarlo. A volte si pensa ancora che portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà. Paolo VI ha parole illuminanti al riguardo: «Sarebbe … un errore imporre qualcosa alla coscienza dei nostri fratelli. Ma proporre a questa coscienza la verità evangelica e la salvezza di Gesù Cristo con piena chiarezza e nel rispetto assoluto delle libere opzioni che essa farà … è un omaggio a questa libertà» (Esort, ap. Evangelii nuntiandi, 80). […] Spesso vediamo che sono la violenza, la menzogna, l’errore ad essere messi in risalto e proposti. E’ urgente far risplendere nel nostro tempo la vita buona del Vangelo con l’annuncio e la testimonianza, e questo dall’interno stesso della Chiesa. Perché, in questa prospettiva, è importante non dimenticare mai un principio fondamentale per ogni evangelizzatore: non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale. […] E questo dà forza alla missione e fa sentire ad ogni missionario ed evangelizzatore che non è mai solo, ma parte di un unico Corpo animato dallo Spirito Santo.

    4. […] in aree sempre più ampie delle regioni tradizionalmente cristiane cresce il numero di coloro che sono estranei alla fede, indifferenti alla dimensione religiosa o animati da altre credenze. Non di rado poi, alcuni battezzati fanno scelte di vita che li conducono lontano dalla fede, rendendoli così bisognosi di una “nuova evangelizzazione”. A tutto ciò si aggiunge il fatto che ancora un’ampia parte dell’umanità non è stata raggiunta dalla buona notizia di Gesù Cristo. Viviamo poi in un momento di crisi che tocca vari settori dell’esistenza, non solo quello dell’economia, […] In questa complessa situazione, dove l’orizzonte del presente e del futuro sembrano percorsi da nubi minacciose, si rende ancora più urgente portare con coraggio in ogni realtà il Vangelo di Cristo, che è annuncio di speranza, di riconciliazione, di comunione, annuncio della vicinanza di Dio, della sua misericordia, della sua salvezza, annuncio che la potenza di amore di Dio è capace di vincere le tenebre del male e guidare sulla via del bene. L’uomo del nostro tempo ha bisogno di una luce sicura che rischiara la sua strada e che solo l’incontro con Cristo può donare. Portiamo a questo mondo, con la nostra testimonianza, con amore, la speranza donata dalla fede! La missionarietà della Chiesa non è proselitismo, bensì testimonianza di vita che illumina il cammino, che porta speranza e amore. La Chiesa – lo ripeto ancora una volta – non è un’organizzazione assistenziale, un’impresa, una ONG, ma è una comunità di perso-ne, animate dall’azione dello Spirito Santo, che hanno vissuto e vivono lo stupore dell’incontro con Gesù Cristo e desiderano condividere questa esperienza di profonda gioia, condividere il Messaggio di salvezza che il Signore ci ha portato. E’ proprio lo Spirito Santo che guida la Chiesa in questo cammino.

    5. Vorrei incoraggiare tutti a farsi portatori della buona notizia di Cristo e sono grato in modo particolare ai missionari e alle missionarie, ai presbiteri fidei donum, ai religiosi e alle religiose, ai fedeli laici – sempre più numerosi – che, accogliendo la chiamata del Signore, lasciano la propria patria per servire il Vangelo in terre e culture diverse. Ma vorrei anche sottolineare come le stesse giovani Chiese si stiano impegnando generosamente nell’invio di missionari alle Chiese che si trovano in difficoltà – non raramente Chiese di antica cristianità – portando così la freschezza e l’entusiasmo con cui esse vivano la fede che rinnova la vita e dona speranza. […] è importante che le Chiese più ricche di vocazioni aiutino con generosità quelle che soffrono per la loro scarsità.

    […]

    La sollecitudine verso tutte le Chiese, che il Vescovo di Roma condivide con i confratelli Vescovi, trova un’importante attuazione nell’impegno delle Pontificie Opere Missionarie, che hanno lo scopo di animare e approfondire la coscienza missionaria di ogni battezzato e di ogni comunità […]

    Un pensiero infine ai cristiani che, in varie parti del mondo, si trovano in difficoltà nel professare apertamente la propria fede e nel vedere riconosciuto il diritto a viverla dignitosamente. Sono nostri fratelli e sorelle, testimoni coraggiosi – ancora più numerosi dei martiri nei primi secoli – che soppor-tano con perseveranza apostolica le varie forme attuali di persecuzione, Non pochi rischiano anche la vita per rimanere fedeli al Vangelo di Cristo. […]

    […] Benedico di cuore i missionari e le missionarie e tutti coloro che accompagnano e sostengono questo fondamentale impegno della Chiesa affinché l’annuncio del Vangelo possa risuonare in tutti gli angoli della terra, e noi, ministri del Vangelo e missionari, sperimenteremo “la dolce e confortante gioia di evangelizzare” (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80).

    Dal Vaticano, 19 maggio 2013, Solennità di Pentecoste

    FRANCESCO