Categoria: Editoriali

  • Incontri che lasciano il segno

    Un mese fa le strade della nostra amata Desio venivano invase da un gruppo di simpatici personaggi, alcuni vestiti di marrone, altri di grigio, alcuni con una tunica da frate, altri con un velo da suora; iniziava al Missione Giovani “Incontri nella notte”.

     

    La Missione ha coinvolto i giovani del nostro decanato con un calendario di 10 giornate ricche di appuntamenti, incontri, stimolazioni, tutti abitati dalla gioia della fede e da quella sana pazzia che hanno dimostrato di possedere i missionari. E’ stata un’iniziativa a lungo pensata, programmata, preparata e che ha visto lavorare a stretto contatto tutti i preti della pastorale giovanile con un gruppo di giovani che ha costituto una commissione apposita.

    Passati i giorni degli eventi, ora è il tempo delle considerazioni: cosa ha lasciato questa Missione? E’ servita? Fiamma estemporanea o calore costante nascosto nella brace?

     

    Iniziamo col dire una cosa: la Missione ha lasciato il segno, si un segno chiaro e profondo nel cuore di chi vi ha partecipato -preti o giovani, poco importa- chi ha accettato l’invito dei missionari di mettersi in ascolto della voce del Signore ha scoperto quanto fosse bello lasciare a questa Parola diritto di parola nella propria vita. Una Parola forse già ascoltata e conosciuta, ma pronunciata con una nuova energia che abitava i sorrisi dei missionari, con una sconcertante vitalità che traspariva dai gesti dei balli, con una gioia tangibile che si percepiva negli abbracci scambiati come se ci si conoscesse da una vita.

    La Missione ha permesso di avere davanti agli occhi la prova che i giovani sono ancora in cerca del Signore, che sanno ancora pregare e lo sanno fare seriamente; come si potrebbe spiegare altrimenti una chiesa abitata fino alle 24.00 di un giovedì sera, chi nel silenzio avvolgente della preghiera personale, chi col viso segnato dalle lacrime frutto dell’azione disarmante della Misericordia. I giovani ci hanno stupito, ci hanno detto che è doveroso continuare a credere in loro nonostante le contraddizioni e le fragilità del tratto d’esistenza che stanno vivendo.

    La Missione è stata anche divertimento, gioia, musica che pulsa nelle vene; un divertirsi diverso dal solito sabato sera, che non ha bisogno di stemperare nell’alcool le tensioni della settimana, che evita gli eccessi della trasgressione per gustare di ogni singolo istante di sana allegria.

    La Missione ha mostrato la bellezza dell’amore di Cristo in tanti volti sconosciuti: quelli dei missionari, quelli di chi ha accantonato le cose da fare per lasciarsi travolgere da questa onda d’urto, quelli dei passanti che sorridevano di fronte a gesti e parole inusuali sul piazzale della basilica. Questi giorni sono stati occasione per sentire ancora più vicino il Signore, avvertirlo presente in tutti i luoghi che abitiamo normalmente e in quei nei quali non ti aspetti di trovarlo -nel pub il venerdì sera, nel parchetto un pomeriggio come tanti altri, nello studio di una webradio.

     

    La cosa più importante che ci ha regalato questa Missione Giovani? Incontri, incontri che non sono facili da dimenticare, incontri che sanno interrogare e stimolare, incontri che ci potranno accompagnare nella preghiera e nell’amicizia. Per tutto questo e molto altro ancora GRAZIE, grazie di cuore a tutti i missionari, grazie ai preti della PG decanale, grazie ai responsabili della PG cittadina, grazie ai giovani, grazie agli ospiti. Se la Missione sarà servita ora dipende anche da te che stai leggendo queste semplici parole: avverti la bellezza dell’Amore del Signore per te? Credi che ci sia più di un modo per testimoniarlo? Bene, allora scegli il tuo e inizia a incontrare nella notte chi cerca Colui che lo ama!

    don Pietro

  • La sabbia nelle scarpe

    40 giorni, questo è il tempo che ci è dato per convertirci, per tornare a volgere lo sguardo e l’attenzione a quella croce: segno di morte e porta per la vita.

     Non so se siamo pronti per vivere la Quaresima, forse ci troviamo distratti dai mille impegni, forse siamo lontani con la mente per alcune vicende personali, forse vorremmo semplicemente che continuasse il tiepido trascorrere dei giorni, uno uguale all’altro. Ma è importante fermarci, lasciarci condurre dallo Spirito nel deserto, proprio com’è accaduto al Signore; accettiamo l’invito della Chiesa a investire sulla nostra fede in modo nuovo.

     L’immagine del deserto ci parla bene dello stile che ogni cristiano deve impegnarsi a vivere in vista della Pasqua; il deserto con la sua vastità, con la sua solitudine, con la sua essenzialità. Andando nel deserto scopriremo quanto sia disarmante la bellezza del silenzio, concediamo spazio al silenzio nella nostra preghiera, così che esso ci aiuti ad intercettare la voce di Dio. Il silenzio inoltre aiuta a riscoprire il nostro sé, la nostra vita con le sue luci e ombre, con le sue doti e le sue mancanze; se sapremo guardare dentro di noi con sincerità e profondità avvicineremo l’immagine che abbiamo di noi a ciò che vede il Signore. Forse tutto questo ci spaventerà, ma di sicuro ci permetterà di avere una spinta in più per gustare della misericordia che Dio gratuitamente ci dona ogni volta che la imploriamo.

     Nel deserto ogni passo pesa di più, perciò è utile portare con sé soltanto l’essenziale: diamo i nomi alle cose che riempiono la nostra vita ma non la nutrono, impariamo a conoscerle così che potremo liberarcene. Tornare all’essenziale vuol dire anche imparare a condividere, perché non siamo mai soli nel cammino e ognuno ha bisogno di trovare sostegno nel prossimo. Donare aiuto e riceverlo sono azioni strettamente connesse, la prima non può sussistere senza la seconda e viceversa.

     Il deserto è luogo di sacrificio, come il digiuno che la Chiesa ci propone in questo tempo forte. La cultura dell’immagine nella quale viviamo rischia di trasformare la pratica del digiuno in una forma malata di idolatria del sé, ma a nulla serve privarmi di qualcosa se non imparo a vivere la sobrietà, se non rinnovo la mia fiducia nella Provvidenza che non mi farà mancare il necessario. Impegniamoci a dire no allo spreco, del cibo come del tempo, delle energie come delle risorse. Puntando l’attenzione su ciò che nella vita ci allontana da Dio scopriremo a quale digiuno il Signore ci chiama.

     Siamo solo alle porte di questo arido paesaggio, stiamo compiendo i primi passi, eppure a me sembra già di sentire la sabbia nelle scarpe.

    don Pietro

  • Un terremoto di gioia

    Per preparare l’ultima domenica giovani mi sono imbattuto nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium scritta da Papa Francesco: un testo che scuote la coscienza e sorprende in maniera inaspettata. La Chiesa è realmente invasa da una ventata di freschezza e novità, lo sarà sempre più, nella maniera in cui si porrà in ascolto delle parole del Santo Padre.

    Non è questo il luogo per proporre un’ordinata analisi del testo, ma ho sentito la necessità di condividere alcuni passaggi che non possono essere indifferenti ai cristiani e ad ogni uomo del nostro tempo.

    La nota predominante dell’intero documento è la parola GIOIA, che fin dall’incipit è accostata al Vangelo del Signore Gesù: la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù [EG1]. A contrapporsi a questa troviamo quello che viene definito il grande rischio del mondo attuale: una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata [EG2].

    Un pilastro cardine dello scritto di Francesco è lo sguardo rivolto sempre alle periferie, agli ultimi: questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti […] uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie [EG20] E’ vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno. [EG23] Proprio per questo motivo la Parola di Dio ha valore e importanza per ogni uomo: per chi l’ha già accolta con gioia, per chi è sulla soglia, così come per chi crede di essere stato dimenticato da Dio.

    Il Papa indica lo stile che la comunità cristiana deve avere, a partire da chi è chiamato ad evangelizzare: la comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce. [EG24] Lo sguardo poi si allarga alla realtà locale più importante, la parrocchia: non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi.[EG28] E’ necessario che riconosciamo che, se parte della nostra gente battezzata non sperimenta la propria appartenenza alla Chiesa, ciò si deve anche ad alcune strutture e ad un clima poco accoglienti in alcune delle nostre parrocchie e comunità, o a un atteggiamento burocratico per rispondere ai problemi, semplici o complessi, della vita dei nostri popoli. [EG63]

    Il Santo Padre non esclude  la sua persona da questo cammino di verifica: dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. [EG32] Quando mai in passato abbiamo letto un pontefice esprimersi con tale chiarezza e in maniera così diretta?

    Alcune delle difficoltà che siamo chiamati ad affrontare oggi sono accentuate dalla cultura odierna in cui ciascuno vuole essere portatore di una propria verità soggettiva [EG61] dove il primo posto è occupato da ciò che è esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio. Il reale cede il posto all’apparenza. [EG62] Ad appesantire tutto questo si aggiunge che l’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari. L’azione pastorale deve mostrare ancora meglio che la relazione con il nostro Padre esige e incoraggia una comunione che guarisca, promuova e rafforzi i legami interpersonali. [EG67]

    Nonostante le difficoltà e le tentazioni l’uomo non deve smettere di credere nella speranza e continuare a riporre la fiducia in Colui che ha speso tutto sé stesso in nome dell’Amore per ciascuno di noi. Una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. [EG85]

     

    L’esortazione apostolica di Papa Francesco è un’occasione per riconfermare la propria fede nella Chiesa di Cristo e, allo stesso tempo se viene letta con la dovuta attenzione, non si può fare a meno di chiedersi “Cosa sto facendo IO per questo rinnovamento? Cosa posso fare QUI ed ORA nella realtà che vivo?”.

    Mi auguro di aver acceso in voi il desiderio di scoprire le parole del Papa e ritrovare la bellezza propria della vita dell’uomo, la gioia possibile in ogni esistenza in quanto destinataria della cura di Dio.

    don Pietro

  • Sto alla porta e busso

    Senza accorgerci siamo già arrivati alla fine della seconda settimana d’Avvento, questo tempo forte che ci prepara alla festa del Natale, a fare memoria della scelta straordinaria di Dio di incarnarsi in un fragile bambino in una mangiatoia.

    Avvento vuol dire attesa, ma per chi –come il sottoscritto- è prete ambrosiano Avvento fa rima con benedizioni, in queste sei settimane siamo chiamati a portare la benedizione del Signore in tutte le famiglie che vorranno accoglierla. Allora ecco che mi viene alla mente il versetto dell’ Apocalisse “sto alla porta e busso” Ap 3,20; le serate spese da un campanello all’altro, da una villetta ad un palazzo, da un sorriso che ti invita ad entrare al silenzio di chi finge di non essere in casa pur di non risponderti. Devo dire grazie, e devo farlo ad alta voce, perché nonostante il freddo, nonostante l’entusiasmo non sempre al top le benedizioni natalizie sono più di una semplice tradizione: sono una testimonianza, sono l’occasione per sentire ancora più forte sulla pelle il dovere di rappresentare il Signore davanti agli uomini.

    Attraverso la scelta dell’incarnazione Dio ci ha indicato la Sua volontà di farsi prossimo all’uomo, anzi di farsi uno di noi; Egli ha scelto di venire incontro a ciascuno di noi diminuendo fino all’inverosimile la distanza tra il Creatore e la creatura; non ha aspettato che l’uomo fosse pronto, ha fato Lui il primo passo per darci la forza di compiere gli altri. Ogni sera nel semplice gesto di bussare alla porta che si trova di fronte, la Chiesa rinnova il suo impegno a farsi prossima in maniera indistinta, pronta a rispettare chi rifiuterà la possibilità dell’incontro.

    Dietro ogni porta c’è una storia, ci sono gioie e sofferenze, calore o solitudine, fede o indifferenza, il fatto straordinario è l’esigenza impellente del Signore di incontrare ogni singolo uomo, di rendersi presente, senza temere le situazioni più disagiate, i rifiuti carichi di rancore, le scelte che sviliscono la bellezza dell’umano. Le visite di questi giorni diventano un richiamo alla preghiera, un’invocazione alla carità sacerdotale, uno stimolo per impegnarsi sempre più nella sequela di Cristo; per tutto questo bisogna ringraziare, voglio ringraziare… ciascuno di voi, chi ha aperto la sua porta e chi ha rifiutato, chi mi ha offerto un sorriso e chi ha condiviso il dolore che abita la sua esistenza.

     

    don Pietro

  • Giornata missionaria: il messaggio del Papa

    Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale 2013

    Estratto di alcuni passaggi salienti

    Cari fratelli e sorelle,

    quest’anno celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale mentre si sta concludendo l’Anno della fede, occasione importante per rafforzare la nostra amicizia con il Signore e il nostro cammino come Chiesa che annuncia con coraggio il Vangelo. In questa prospettiva, vorrei proporre alcune riflessioni.

    1. La fede è dono prezioso di Dio, il quale apre la nostra mente perché lo possiamo conoscere ed amare. Egli vuole entrare in relazione con noi per farci partecipi della sua stessa vita e rendere la nostra vita più piena di significato, più buona, più bella. Dio ci ama! La fede, però, chiede di essere accolta, chiede cioè la nostra personale risposta, il coraggio di affidarci a Dio, di vivere il suo amore, grati per la sua infinita misericordia. E’ un dono, poi, che non è riservato a pochi, ma che viene offerto con generosità. Tutti dovrebbero poter sperimentare la gioia di sentirsi amati da Dio, la gioia della salvezza! Ed è un dono che non si può tenere solo per se stessi, ma che va condiviso. Se noi vogliamo tenerlo sol-tanto per noi stessi, diventeremo cristiani isolati, sterili e ammalati. L’annuncio del Vangelo fa parte dell’essere discepoli di Cristo ed è un impegno costante che anima tutta la vita della Chiesa. […] La solidità della nostra fede, a livello personale e comunitario, si misura anche dalla capacità di comunicarla ad altri, di diffonderla […]

    2. L’Anno della fede, a cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, è di stimolo perché l’intera Chiesa abbia una rinnovata consapevolezza della sua presenza nel mondo contemporaneo, della sua missione tra i popoli e le nazioni. La missionarietà non è solo una questione di territori geografici, ma di popoli, di culture e di singole persone, proprio perché i “confini” della fede non attraversano solo luoghi e tradizioni umane, ma il cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna[…] Ciascuna comunità è quindi interpellata e invitata a fare proprio il mandato affidato da Gesù agli Apostoli di essere suoi «testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8), non come un aspetto secondario della vita cristiana, ma come un aspetto essenziale[…] Invito i Vescovi, i Presbiteri, i Consigli presbiterali e pastorali, ogni persona e gruppo responsabile nella Chiesa a dare rilievo alla dimensione missionaria nei programmi pastorali e formativi, sentendo che il proprio impegno apostolico non è completo se non contiene il proposito di “rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni”, di fronte a tutti i popoli […]

    3. Spesso l’opera di evangelizzazione trova ostacoli non solo all’esterno, ma all’interno della stessa comunità ecclesiale. A volte sono deboli il fervore, la gioia, il coraggio, la speranza nell’annunciare a tutti il Messaggio di Cristo e nell’aiutare gli uomini del nostro tempo ad incontrarlo. A volte si pensa ancora che portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà. Paolo VI ha parole illuminanti al riguardo: «Sarebbe … un errore imporre qualcosa alla coscienza dei nostri fratelli. Ma proporre a questa coscienza la verità evangelica e la salvezza di Gesù Cristo con piena chiarezza e nel rispetto assoluto delle libere opzioni che essa farà … è un omaggio a questa libertà» (Esort, ap. Evangelii nuntiandi, 80). […] Spesso vediamo che sono la violenza, la menzogna, l’errore ad essere messi in risalto e proposti. E’ urgente far risplendere nel nostro tempo la vita buona del Vangelo con l’annuncio e la testimonianza, e questo dall’interno stesso della Chiesa. Perché, in questa prospettiva, è importante non dimenticare mai un principio fondamentale per ogni evangelizzatore: non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale. […] E questo dà forza alla missione e fa sentire ad ogni missionario ed evangelizzatore che non è mai solo, ma parte di un unico Corpo animato dallo Spirito Santo.

    4. […] in aree sempre più ampie delle regioni tradizionalmente cristiane cresce il numero di coloro che sono estranei alla fede, indifferenti alla dimensione religiosa o animati da altre credenze. Non di rado poi, alcuni battezzati fanno scelte di vita che li conducono lontano dalla fede, rendendoli così bisognosi di una “nuova evangelizzazione”. A tutto ciò si aggiunge il fatto che ancora un’ampia parte dell’umanità non è stata raggiunta dalla buona notizia di Gesù Cristo. Viviamo poi in un momento di crisi che tocca vari settori dell’esistenza, non solo quello dell’economia, […] In questa complessa situazione, dove l’orizzonte del presente e del futuro sembrano percorsi da nubi minacciose, si rende ancora più urgente portare con coraggio in ogni realtà il Vangelo di Cristo, che è annuncio di speranza, di riconciliazione, di comunione, annuncio della vicinanza di Dio, della sua misericordia, della sua salvezza, annuncio che la potenza di amore di Dio è capace di vincere le tenebre del male e guidare sulla via del bene. L’uomo del nostro tempo ha bisogno di una luce sicura che rischiara la sua strada e che solo l’incontro con Cristo può donare. Portiamo a questo mondo, con la nostra testimonianza, con amore, la speranza donata dalla fede! La missionarietà della Chiesa non è proselitismo, bensì testimonianza di vita che illumina il cammino, che porta speranza e amore. La Chiesa – lo ripeto ancora una volta – non è un’organizzazione assistenziale, un’impresa, una ONG, ma è una comunità di perso-ne, animate dall’azione dello Spirito Santo, che hanno vissuto e vivono lo stupore dell’incontro con Gesù Cristo e desiderano condividere questa esperienza di profonda gioia, condividere il Messaggio di salvezza che il Signore ci ha portato. E’ proprio lo Spirito Santo che guida la Chiesa in questo cammino.

    5. Vorrei incoraggiare tutti a farsi portatori della buona notizia di Cristo e sono grato in modo particolare ai missionari e alle missionarie, ai presbiteri fidei donum, ai religiosi e alle religiose, ai fedeli laici – sempre più numerosi – che, accogliendo la chiamata del Signore, lasciano la propria patria per servire il Vangelo in terre e culture diverse. Ma vorrei anche sottolineare come le stesse giovani Chiese si stiano impegnando generosamente nell’invio di missionari alle Chiese che si trovano in difficoltà – non raramente Chiese di antica cristianità – portando così la freschezza e l’entusiasmo con cui esse vivano la fede che rinnova la vita e dona speranza. […] è importante che le Chiese più ricche di vocazioni aiutino con generosità quelle che soffrono per la loro scarsità.

    […]

    La sollecitudine verso tutte le Chiese, che il Vescovo di Roma condivide con i confratelli Vescovi, trova un’importante attuazione nell’impegno delle Pontificie Opere Missionarie, che hanno lo scopo di animare e approfondire la coscienza missionaria di ogni battezzato e di ogni comunità […]

    Un pensiero infine ai cristiani che, in varie parti del mondo, si trovano in difficoltà nel professare apertamente la propria fede e nel vedere riconosciuto il diritto a viverla dignitosamente. Sono nostri fratelli e sorelle, testimoni coraggiosi – ancora più numerosi dei martiri nei primi secoli – che soppor-tano con perseveranza apostolica le varie forme attuali di persecuzione, Non pochi rischiano anche la vita per rimanere fedeli al Vangelo di Cristo. […]

    […] Benedico di cuore i missionari e le missionarie e tutti coloro che accompagnano e sostengono questo fondamentale impegno della Chiesa affinché l’annuncio del Vangelo possa risuonare in tutti gli angoli della terra, e noi, ministri del Vangelo e missionari, sperimenteremo “la dolce e confortante gioia di evangelizzare” (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80).

    Dal Vaticano, 19 maggio 2013, Solennità di Pentecoste

    FRANCESCO

  • Buongiorno Famiglia

    Mia zia diceva che “nelle situazioni difficili bisogna sempre ringraziare Dio che c’è la famiglia”. Oggi verrebbe da chiedersi: quale? Sorvolando qualsiasi sterile polemica, vorrei focalizzare l’attenzione sull’etimologia della parola “famiglia”, proveniente dal latino “familia” che deriva da “famulus” ossia “servitore, domestico”.

     

    Ecco, il cuore della famiglia è “servire”, come Gesù ha sempre testimoniato nel corso della sua vita, lasciandoci numerosi insegnamenti sull’importanza di essere servitori umili e sensibili all’altro. Anche nella famiglia bisogna imparare a servire: tra la coppia, verso i figli, nei confronti dei genitori. Un continuo atto proteso a donare senza chiedere, ad amare senza pretendere.

     

    In famiglia si parla al plurale, l’egoismo del singolo non può avere alcun valore. Certo è necessaria una unione di intenti seppur nella “pluriformità nell’unità”, come afferma il Card. Scola nella sua lettera pastorale “Il campo è il mondo”. La famiglia è sì lo specchio della società ma non deve diventare schiava di essa.

     

    Proviamo a ritornare a una vita di famiglia domestica: ritrovarsi insieme a tavola, parlare tra genitori e figli, mettere al centro la semplicità del rispetto, tracciare dei percorsi di crescita e di fede secondo le capacità di ciascun componente con l’obiettivo di raggiungere il medesimo traguardo: la bellezza dell’Amore. Sono sfide che combattono contro l’orgoglio moderno. Vincerle non è facile. Almeno, però, proviamo a equipaggiare le nostre famiglie con gli strumenti necessari per non farci sopraffare: il sorriso fraterno, la piena condivisione, la serenità di una fede viva.

    Stefano S.

  • “A tutto campo”: il messaggio dell’Arcivescovo per la Festa di apertura degli oratori

    “A tutto campo”: il messaggio dell’Arcivescovo per la Festa di apertura degli oratori

    «Valorizziamo ogni aspetto della vita dei ragazzi come ambito di evangelizzazione, riconoscendo e custodendo tutto il bene che c’è»

    Carissimi,

    con l’ormai tradizionale Festa di apertura degli oratori, riprendono in tutte le comunità della diocesi le attività educative ordinarie. Ho potuto sperimentare di persona come gli oratori non chiudano mai. L’oratorio estivo e le vacanze comunitarie ne intensificano l’esperienza educativa.

    La scelta educativa dei nostri oratori per il nuovo anno pastorale «A tutto campo» si innesta nella proposta diocesana denominata «Il campo è il mondo: vie da percorrere incontro all’umano». In questo inizio di millennio la nostra Chiesa è chiamata a documentare il fascino della sequela di Cristo abitando il mondo e la storia attraverso l’incontro ed il dialogo sincero e appassionato con tutti. I cristiani, come tutti gli uomini, sono immersi nell’umano, sia a livello personale, sia a livello sociale. A partire dall’umanità di Gesù, essi incontrano la Sua divinità. In Lui e attraverso Lui è possibile riconoscere che tanto più l’uomo si abbandona a Dio tanto più si scopre pienamente uomo.

    Vogliamo, quindi, mostrare che Cristo «svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» (Gaudium et spes 22). Si tratta dunque di documentare la qualità fortemente umanizzante del Vangelo. Gesù Cristo è sorgente dell’umanesimo.

    L’oratorio, per la sua stessa natura, si propone come luogo privilegiato per apprendere e vivere tutto ciò. In particolare vorrei indicare due piste di riflessione a partire dalla parabola evangelica del buon grano e della zizzania.

    La prima pista da seguire è quella di valorizzare ogni aspetto della vita dei ragazzi come ambito di evangelizzazione: negli affetti e nello studio, attraverso il tempo libero e l’appartenenza alla comunità cristiana e alla società civile. Il campo della nostra vita è il mondo e niente di meno che il mondo. Del resto la fede se è autentica non può mai essere separata dalla vita. In tal senso il compito principale degli educatori – dai sacerdoti alle religiose, ai genitori, ai catechisti, agli insegnanti, agli accompagnatori sportivi e agli animatori – sarà quello di tener sempre presente, in tutta la sua interezza, la persona del ragazzo e del giovane.

    Un secondo suggerimento per questo anno pastorale è quello di riconoscere, custodire e valorizzare il buon grano, ovvero tutto il bene che c’è nella vita dei nostri ragazzi. Non si tratta di ingenuo ottimismo, ma di realismo cristiano. Non è da tutti saper cogliere il tanto bene che c’è nel mondo e negli altri. Tale atteggiamento è decisivo soprattutto per quanti sono chiamati alla responsabilità educativa.

    L’anno pastorale che inizia sarà poi carico di momenti significativi per i nostri oratori, con particolare riferimento alla Peregrinatio dell’urna di don Bosco e al centenario della Fom.

    Chiedo infine a tutti gli oratori uno sforzo di riflessione sul tema della “Comunità educante” secondo le indicazioni e gli appuntamenti che verranno segnalati, in particolare nell’ambito della Settimana dell’educazione.

    Su tutti coloro che vivono a diverso titolo nei nostri oratori invoco di cuore la benedizione della Trinità affinché il Signore porti a compimento in ciascuno l’opera buona che ha cominciato.

  • L’unica luce per la ripresa

    In queste tanto attese e ormai terminate vacanze estive ho avuto modo di leggere la prima enciclica di Papa Francesco “Lumen Fidei” [LF], un testo di facile approccio e che consiglio ad ogni fedele e anche a chi fedele ha smesso di essere o non si è mai realmente considerato tale. Dal titolo è facile intuire come il tema fondamentale sia la fede, quel misterioso legame tra Dio e l’uomo, ed in particolare la luce della fede, unica fonte capace di illuminare la vita di ogni uomo.

    Vorrei puntare l’attenzione sulla prima parte dell’enciclica nella quale si attesta che “Chi crede, vede”: la fede è ciò che da senso all’esistenza personale, che permette di riscoprire la bellezza della vita umana e la ricchezza dell’amore di Dio, Amore che sostiene e dona all’uomo la pace, la serenità, quella gioia piena che nomina spesso il Signore Gesù nelle sue parole.

    Parlare di luce in un periodo storico ormai abbattuto dall’oppressivo buio della crisi (antropologica, culturale, economica e valoriale) può sembrare un assurdo eppure le parole del Papa spiegano bene come l’oblio della fede non aiuta affatto l’uomo contemporaneo, eliminarla dal nostro campo visivo non permette di concentrarsi meglio su ciò che davvero conta, ma al contrario fa sprofondare sempre più la vita nella paura e nella confusione. La luce brillante della fede è l’unica che può indicare una via d’uscita dalla fissità dell’empasse attuale, che può ridonare speranza ad ognuno di noi perché ci fa sentire innanzitutto amati, nella totalità della nostra persona, nella pienezza della nostra carne (cfr LF 37.40).

    Per questi motivi mi piace accostare un altro termine chiave dei giorni che stiamo vivendo: ripresa. C’è chi attende la ripresa dei mercati finanziari, chi assicura la ripresa del mercato immobiliare, chi auspica la ripresa della stabilità nel governo, chi deve fronteggiare la ripresa dalle ferie… e potremmo andare avanti con gli esempi, ma fermiamoci un attimo. Ripresa: prendere di nuovo, potremmo definirlo “riappropriarsi”; di cosa dobbiamo realmente riappropriarci? L’uomo si deve riprendere la propria identità, la radice della sua essenza, inscindibilmente legata a Dio. Dobbiamo tornare a rafforzare la presa su chi siamo, in questo modo sarà possibile credere in tutte le altre riprese perché saremo tornati a credere in noi, avremo smesso di tenere basso lo sguardo abbattuto e avremo iniziato ad alzarlo carico di speranza e carità. Soffermiamoci sulle parole di Papa Francesco per scoprire la sola luce che ci mostra la via per la ripresa: la luce della fede.

    don Pietro

  • Il cemento invisibile

    Da tre settimane la nostra comunità pastorale è investita da un terremoto di colori, di energia, di gioia, accompagnato da un notevole chiasso che supera ben oltre i livelli imposti dalla zonizzazione acustica vigente nel comune di Desio. Di cosa sto parlando? Se abitate nei pressi di uno dei cinque oratori della città lo sapere di sicuro: sto parlando dell’oratorio feriale 2013!

    “Every body – un corpo mi hai preparato” questo è il titolo scelto della FOM per l’oratorio estivo 2013, l’invito è quello di riflettere sulla bellezza e la ricchezza del corpo che Dio ha donato a ciascuno di noi, senza dimenticare che tutti assieme costituiamo la Chiesa, corpo di Dio. Non so se vi è capitato di scorgere sulle bandiere che sventolano sopra gli ingressi degli oratori il logo che accompagna questo percorso: uno strano omino il cui corpo stilizzato è costituito da quattro parti (che in realtà sono le quattro lettera della parola B-O-D-Y). Bene questo mese vorrei parlare proprio di questo strano compagno di viaggio.

    Partiamo da quella testa che ricorda tanto un vortice (la lettera O) mi piace pensare ai bambini che stanno abitando i nostri oratori in questi giorni, così caotici, così confusi quando sono tutti assieme, come un turbinio che non smette mai. Eppure lì c’è nascosta una gioia immensa, una felicità gratuita, un affetto semplice e sincero; i loro sorrisi se spegnessimo per un attimo il Sole, sarebbero come le stelle in una notte d’estate: luminose e sorprendenti, affascinanti e brillanti.

    Spostando di poco lo sguardo ci soffermiamo sulle due braccia della nostra mascotte (la B e la D); credo si possano paragonale agli animatori e a tutti i volontari adulti che aiutano in questi giorni così intensi. I primi sanno essere la causa della gioia più grande e, subito dopo, dell’amarezza inattesa; ragazzi delle superiori che si impegnano per far giocare i più piccoli, animare le lunghe giornate, consolare con semplicità ed incitare con grinta. Certo si potrebbe sempre fare di più, si potrebbe tenere un linguaggio senza inutili parole volgari, si potrebbe anche capire che in fondo “è solo un gioco, non vale la pena litigare per questa sconfitta”, eppure ci sono, sono adorati dai bambini e, quando vogliono, sanno toccare il freddo cuore di un prete stressato dalle mille cose. Gli adulti, da parte loro, permettono che la fantastica avventura dell’oratorio feriale sia arricchita da interessanti laboratori, che gli ambienti restino puliti, che gli elenchi di gite e iscrizioni siano sempre ordinati. La gentilezza e la bontà di una mamma che ti dice “Questa settimana sono in ferie, quindi se ti fa piacere vengo a dare una mano” è segno concreto di gratuita disponibilità; l’abbraccio di un papà che ti saluta caloroso alla fine della giornata è affetto tangibile.

    L’occhio scende verso la base del corpo del logo e scopri il tronco sottile con due esili gambe (la Y girata sottosopra), questa ultima parte può essere vista come il prete e le suore/ausiliarie della situazione. Eh si ci sono anche loro, nonostante sembrino sempre di corsa, sempre distratti, sempre stanchi, insomma paiono essere sottosopra proprio come la lettera che li rappresenta! Sono loro che hanno deciso di consacrare completamente la vita al Signore, di lasciare a Lui di essere la fonte inesauribile dell’energia per andare avanti imprevisto dopo imprevisto; da soli possono fare poco ma, grazie alle altre parti del corpo, ecco che si compie il miracolo dell’oratorio feriale.

    Ma sapete qual è la parte più importante della nostra mascotte? Non l’avete ancora capito? Beh, in effetti non si vede utilizzando gli occhi. La parte più importante è il cemento invisibile che tiene unito il corpo, che permette non cada a pezzi, che fa si che possa camminare senza sosta. Il cemento invisibile è il Signore Gesù, solo Lui rende queste cinque settimane uniche e dense di significato, solo Lui permette che i bambini stiano assieme agli educatori, agli adulti, ai preti e alle consacrate, solo Lui rende possibile l’impossibile e straordinario l’ordinario, solo Lui evita che ogni parte del corpo vada per la sua strada, faccia quello che vuole dimenticandosi del resto.

    La prossima volta che vediamo il logo dell’oratorio feriale sventolare su di una bandiera o lo vediamo disegnato su di un muro ricordiamoci di fissare lo sguardo sullo spazio occupato dal cemento invisibile e ringraziare il Signore per i bei gioconi, per gli allegri canti, per i semplici momenti di preghiera, per la condivisione dell’affetto; perché la nostra vita diventi testimonianza dell’amore pulsante di Cristo per ciascun uomo.

    don Pietro

  • Non abbiate paura della tenerezza

    Non abbiate paura della tenerezza” con queste parole Papa Francesco si rivolgeva ai fedeli  durante la messa di inaugurazione del pontificato.  Risuonano con maggiore forza durante questo mese dedicato a Maria, la madre di Gesù. La Madonna incarna tutti quei tratti della fede che tradizionalmente leghiamo alla figura materna: la tenerezza, la dolcezza, la bellezza.

    L’amore di Dio per noi è amore tenero: con delicatezza si accosta a noi fin dal primo istante della nostra vita, con la stessa delicatezza ci accompagna ogni giorno invitandoci a gustare della sua presenza. Il Suo abbraccio non è l’espressione invadente d’affetto del parente lontano che è venuto a trovarci, talmente preso dalla foga al punto tale di non guardare neanche cosa esprime il nostro volto; il Suo abbraccio è il gesto timido di un bambino che aspetta a braccia aperte che noi lo abbracciamo mentre ci guarda desideroso d’affetto.

    L’amore di Dio per noi è un amore dolce: un amore che ti sorprende quando meno te lo aspetti, che ti lascia senza parole perché scavalca la staccionata delle nostre aspettative. Un amore così ci da’ la forza di tornare a credere in noi stessi, poiché realizziamo di essere indegni destinatari di tutto ciò che il Padre insistentemente ci invita a gustare. La dolcezza del Suo amore è tale da donare sapore ad ogni istante della vita dell’uomo, anche quando si è tentati di lasciarsi schiacciare dal peso delle difficoltà, delle delusioni, delle proprie cadute.

    L’amore di Dio per noi è un amore bello: troppo spesso sviliamo il concetto di bellezza, ormai consumato come fosse un foglio di carta sul quale si è cancellato tante di quelle volte da non riuscire più a scrivere nulla. La bellezza di Dio, incarnata in maniera particolare in Maria, è la Bellezza che attira senza illudere, che illumina senza abbagliare, che dona serenità e pace anche nella vita sfigurata dalla sofferenza. “La bellezza salverà il mondo” afferma il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij, ma la frase è sbagliata, quella corretta è “La Bellezza salverà il mondo”, l’unica Bellezza con la B maiuscola, la Bellezza di Dio.

     

    Non tutti i fedeli hanno lo stesso rapporto con la devozione mariana, ma tutti possiamo lasciarci aiutare da Maria per scoprire sempre più l’infinita ricchezza dell’amore di Dio e vivere con più convinzione il nostro legame affettivo col Signore.

     

    don Pietro