Categoria: Editoriali

  • Benvenuto don Mauro

    Benvenuto don Mauro

    Riportiamo l’omelia della Messa d’ingresso che mons. Mauro Barlassina, nuovo responsabile della Comunità Pastorale di Santa Teresa di Gesù Bambino, ha rivolto ai fedeli della città di Desio in occasione della festa patronale della Madonna del Rosario.

    In questi giorni, entrando in Basilica e fermandoci qualche minuto per la preghiera, quasi spontaneamente siamo attratti dal volto della patrona della nostra Comunità Pastorale: Santa Teresina.

    Anch’io ho osservato il ritratto che sta davanti ai nostri occhi e, pur conoscendo le fatiche e la lotta interiore vissuta da questa piccola grande donna, sono rimasto affascinato dallo sguardo puro e pacificante che traspare. Qual è il segreto che sta all’origine della confidenza assoluta di Teresina in Cristo Gesù? Qual è il segreto che sostiene il cammino della
    Comunità cristiana in questa città?

    Rileggendo la pagina biblica di questa prima domenica di ottobre, è possibile individuare dove sta il segreto di una Chiesa che, pacificata, sa vivere e trasmettere fiducia e speranza anche in un tempo di complessità.

    Il primo segreto è la centralità dell’ascolto della Parola di Dio che plasma il nostro cuore e lo rende capace di amare nella modalità di un amore che si dona. Come ci ricorda il nostro Arcivescovo, il Cristiano che ascolta e si nutre quotidianamente della Parola di Dio è colui che impara a “vivere di una vita ricevuta”. Santa Teresina, gradualmente, arriverà a vivere la confidenza totale nell’amore di Dio perché scoprirà che la sua vocazione è l’amore che si dona e che non cerca riscontri e conferme.

    Il nostro concittadino Pio XI, nell’omelia per la canonizzazione di Teresina, dà un nome preciso a questo ascolto della Parola che genera Amore che si dona, quando afferma: “Oggi ci auguriamo che nei discepoli di Cristo si instauri un certo desiderio di praticare l’infanzia spirituale vissuta da Teresina, la quale consiste in questo: che tutto ciò che il fanciullo fa e pensa per immediatezza, anche noi lo facciamo per esercizio di virtù”.

    Dal primo segreto ne scaturisce un secondo intimamente legato, perché ascoltare la Parola e coltivare una relazione quotidiana con Gesù e, attraverso Gesù, con ogni altra persona, non è semplicemente cercare di volersi bene o di andare d’accordo, ma “amarsi come Cristo ci ha amati”. È vivere nella relazione di un Amore che si dona.

    A volte si obietta l’impossibilità di vivere tale Vangelo, mentre un altro nostro concittadino (don Luigi Giussani), ha più volte ricordato che: “non è realistico che l’uomo viva senza agognare (cercare) l’impossibile, senza questa apertura all’impossibile”.

    E se questo vale per tutti, è anzitutto per noi preti, per i diaconi e le consacrate perché, come afferma don
    Tonino Bello: “Chi si alza dalla tavola dell’Eucaristia deve ‘deporre le vesti’. Le vesti del tornaconto,
    dell’interesse personale, per assumere la nudità della comunione.

    Le vesti della ricchezza, del lusso, dello spreco, per indossare le trasparenze della modestia, della semplicità, della leggerezza”. Il messaggio che ci viene dalla Parola è limpido, coinvolgente e permette di individuare alcune priorità per il cammino comune alle nostre Parrocchie dentro la città:

    • siamo chiamati nel concreto a non agire da singoli ma in comunione, a scegliere di affrontare
      le sfide dell’annuncio insieme, a passare dall’io al noi;
    • siamo chiamati nel concreto a dare priorità all’ascolto della Parola che ci permette di entrare
      in dialogo con tutti e con ogni situazione umana, rimanendo nella verità di chi è radicato nell’Amore
      che si dona;
    • siamo chiamati a intercettare le domande della gente come Comunità cristiana, senza pregiudizi
      e preoccupazioni, intuendo che, cambiare alcune forme nella vita pastorale, non è rinunciare al Vangelo, ma vivere il Vangelo dentro la storia di oggi e continuare ad offrire la buona notizia in un tempo di profonde trasformazioni;
    • siamo chiamati a deporre le divisioni, ad abbandonare ogni forma di rivalità per lavorare insieme in un progetto comune, che è la gioia del Vangelo che ci fa uomini e donne di speranza.

    Concludo con un’altra riflessione di don Tonino Bello: “Gareggiamo nello stimarci a vicenda. Portiamo il peso uni degli altri […] L’olio profumato della comunione ci faccia camminare insieme e ci raccolga a tavola insieme”.

    Maria, Vergine del Rosario, Madre della fraternità degli apostoli, prega per noi e per tutta la Chiesa all’inizio del Sinodo, in comunione, partecipazione e missione.

  • Vita ricevuta, vita donata

    Vita ricevuta, vita donata

    In questi giorni, la nostra città vive una delle sue feste più importanti, certamente la più significativa, non solo per la parrocchia dei Santi Siro e Materno ma per tutta la Comunità cristiana che vive nel territorio.

    È la festa, popolarmente denominata, del “Madunin”. Nei giorni di questa festa ricordiamo anche Santa Teresa di Gesù Bambino, scelta nel 2010 come patrona del cammino comune delle nostre cinque Parrocchie.

    Se al centro della festa c’è sempre Cristo, il Crocifisso Risorto, ad accompagnarci sempre di più verso di Lui sono due donne, Maria, la madre e una piccola – grande donna.

    Qual è il senso più profondo di questa coincidenza? Qualche giorno fa l’Arcivescovo ha pubblicato la proposta pastorale per l’anno 2023- 24 dal titolo “Viviamo di una vita ricevuta”.

    Intravedo il legame tra la nostra festa, Maria di Nazareth e Santa Teresina proprio nell’invito a riconoscere che tutto è dono, che la nostra vita è ricevuta e perciò accolta. È Maria che, ricevendo il dono di essere la Madre Vergine, accoglie il Dio con noi ma non lo trattiene per sé. È Santa Teresina che, pur nel travaglio delle sue tante prove e fatiche non si ripiega su se stessa, ma si riconosce talmente debitrice di quanto ha ricevuto da Dio da arrivare ad affermare che “la sua vocazione è l’Amore”. Termino queste poche righe
    augurandomi e pregando perché la Comunità cristiana che vive a Desio sia sempre più capace di annunciare che “Gesù è vivo e la sua presenza e la sua Parola, il dono dello Spirito Santo non sono verità da affermare solo con un assenso intellettuale e verbale, ma sono modalità con cui siamo chiamati per nome”. Questa gioia di essere i figli e fratelli discepoli ci permette di dialogare con tutti e incontrare ogni situazione.

    don Mauro

  • I NOSTRI ORATORI IN FESTA

    I NOSTRI ORATORI IN FESTA

    Oggi le comunità cristiane di tutta la diocesi di Milano sono in festa per celebrare l’inizio di un nuovo anno pastorale! Con che coraggio in un mondo con così tanti problemi e sofferenze dovremmo fare festa?

    Facciamo festa perché possiamo ricominciare a condividere cammini che ci aiutano a conoscere Gesù e a crescere come persone per diventare, come direbbe don Bosco, buoni cristiani e onesti cittadini. Possiamo ricominciare a vivere e condividere cammini e di questo siamo grati al Signore e a chi ci accompagnerà. Facciamo festa per ringraziare!

    Facciamo festa perché è un nuovo inizio e, come ogni nuovo inizio, porta sempre con sé tanta speranza! La speranza nasce in noi dal bisogno e dal desiderio di trovare, anche quest’anno, quella bontà e quella bellezza, nelle relazioni e nelle esperienze, che riempiono di bene e di gioia il nostro cuore e la nostra vita! Facciamo festa per condividere la speranza!

    La gratitudine e la speranza ci riempiono di entusiasmo. Un entusiasmo chevorremmo trasmettere e condividere con più persone possibili, perché anche loro possano gustare la bellezza di una vita più bella, di una vita colma di amore, pace e gioia!

    Il tema dell’anno oratoriano è “pieno di vita”!

    Mi piacerebbe che fosse il desiderio di tutti.

    Mi piacerebbe che fosse una promessa che ciascuno sente rivolta a sé.

    Mi piacerebbe che fosse la caratteristica di tutte le esperienze che vivremo.

    Mi piacerebbe che fosse il motivo della nostra gratitudine!

    Mi piacerebbe che traboccando dai nostri cuori, questa pienezza di vita, trasparisse dai nostri sguardi e dai nostri gesti!

    Oggi per noi questo nuovo inizio è caratterizzato da buone novità!

    Nella nostra comunità stiamo accogliendo il nuovo parroco, don Mauro, un nuovo vicario parrocchiale, don Marco, una nuova ausiliaria, Liliana. Di questi tempi non è per nulla scontato che ci siano ancora preti e suore mandati per le nostre comunità! Siamo davvero grati al Signore per il loro arrivo! Siamo grati anche a loro perché, con il loro desiderio di camminare e di aiutarci, stanno già dando nuovo slancio alle nostre comunità!

    Abbiamo tanti motivi per fare festa! Allora facciamo festa! Ma soprattutto che la vera festa sia la gioia che sperimenteremo per la vita piena che il Signore ci promette!

    don Pietro

  • Un’opportunità per la città

    Un’opportunità per la città

    Ogni città e ogni paese ha le sue caratteristiche e tradizioni.

    Nella nostra città non si può dimenticare un aspetto che potrebbe sembrare solo folcloristico ma che, in realtà, dice molto di più: le campane della Basilica. Sicuramente molti, anche tramite youTube, hanno avuto la possibilità di sentire il suono delle nostre campane. Personalmente sono rimasto favorevolmente colpito quando ho saputo che c’è un gruppo, e tra questi non pochi giovani, che in alcune occasioni dell’anno tornano a dare voce al loro suono armonioso con la forza dei muscoli ma, ancor più, con l’arte che chiede la realizzazione di un vero e proprio concerto.

    Viene spontaneo chiedersi quale messaggio offre un concerto campanario.

    Ho trovato, e le propongo all’attenzione di tutti, almeno queste caratteristiche:

    • un concerto campanario, per essere ben realizzato, richiede anzitutto una buona intesa tra i campanari, perché solo così sa parlare con l’armonia dei suoni
    • perché ci sia armonia nei suoni è fondamentale che ci sia una buona sincronia tra chi realizza il concerto
    • non tutti muovono le stesse campane, ma ogni campana è necessaria per dare voce alla festa e rendere piacevole il concerto.

    Di conseguenza, è necessaria la complementarietà tra gli attori. Questo significa che non tutti producono lo stesso suono, ma ogni suono è necessario alla riuscita del concerto.

    Senza pretesa di completezza, le campane della nostra Basilica e delle Chiese della nostra città non vogliono “dare disturbo”, ma suggerire che c’è un modo di vivere dove il contributo specifico di ciascuno è indispensabile per il bene di tutti.

    don Mauro

  • In cammino nella città

    In cammino nella città

    Il riferimento al camminare è sempre più frequente. A volte con buone ragioni, altre senza riferimenti precisi. Cammino a partire da dove, per andare verso quale meta, accompagnati da altri o in solitudine?

    Mentre pensavo a queste domande ho riletto il nome completo del nostro notiziario: Comunità in cammino.

    Nella completezza del titolo si coglie immediatamente che non si tratta di un cammino insensato ma compiuto insieme, come comunità di uomini e donne che vivono la città, alcuni di questi seguono come discepoli Gesù di Nazareth, il Dio con noi. E tra questi un certo numero vorrebbero praticare la fraternità
    e, pur consapevoli dei limiti, sono sostenuti dalla certezza che la Grazia di Dio continua ad agire.

    Uomini e donne che camminano insieme come discepoli e, proprio per questo, alla ricerca di un dialogo con tutti e con tutte le componenti della città. Introducendomi in punta di piedi nel cammino di questa città riconosco come scelta sapiente di imparare ad ascoltare, di favorire l’ascolto reciproco, di tessere relazioni buone capaci di stemperare i sempre più diffusi conflitti che rischiano di impedire quell’amicizia
    civica che genera futuro e costruisce città vivibili. Mi permetto di citare quanto papa Francesco diceva della nostra patrona S. Teresa perchè fa pensare tutti, credenti e pensanti: “è una delle Sante che più ci parla della grazia di Dio di come Dio si prende cura di noi, ci prende per mano e ci permette di scalare la montagna della vita se solo ci lasciamo trasportare da Lui”

    Con riconoscenza e in cammino come comunità.

    don Mauro

  • La GMG di Lisbona nelle parole di Gianni Borsa

    La GMG di Lisbona nelle parole di Gianni Borsa

    LA GMG DI LISBONA NELLE PAROLE DI GIANNI BORSA
    PRESIDENTE DIOCESANO DI AC

    A Lisbona sono arrivati centinaia di migliaia di giovani da ogni angolo del mondo: dalle metropoli nordamericane ai villaggi nigeriani o indiani, dalle periferie italiane a quelle colombiane, da Lusaka
    come da Kiev, senza escludere cinesi, ivoriani, neozelandesi, salvadoregni…

    Ognuno fatto a suo modo. Per età, lingua e cultura, per hobby e per titolo di studio; alcuni lavorano, altri di lavoro non ne trovano. Certi vivono in famiglia, altri una famiglia non l’hanno mai avuta (o, in qualche caso, ne avrebbero fatto volentieri a meno).

    Anche su vita e fede sembrano avere idee e “pratiche” ben differenti tra loro. C’è il parrocchiano siciliano e l’oratoriano piemontese; la ragazza brasiliana che racconta di dover attendere, per una messa, un prete che arriva da lontano nella sua chiesa nella foresta; c’è il belga che frequenta studi teologici ma si dice “solo”, senza una comunità attorno, con cui condividere la fede. Ci sono giovani cresciuti in Paesi nei quali il cristianesimo è maggioritario, altri in cui è fortemente minoritario, talvolta persino ostracizzato,
    se non perseguitato. Poi c’è il palestrato, la suonatrice di flauto, la sciatrice, la rammendatrice, il garzone di negozio che gioca a pallone.

    E poi li osservi, lì, in gruppo: quelli disinibiti, i taciturni, i “capipopolo”, quelli che stanno sempre in seconda fila, forse timorosi o con una scarsa considerazione di sé. Il Papa li sta incoraggiando: “nella Chiesa c’è posto per tutti”. Come dire: al Signore piaci così come sei, impara a voler bene a te stesso, e a voler bene a chi incontri nella tua vita.

  • Mons. Delpini e i giovani

    Mons. Delpini e i giovani

    Vorrei partire dall’incanto e dallo spavento di avere 15 anni, con le sue domande inquietanti e inevitabili su come meritare la stima degli altri, come farcela a vivere in questo mondo, come amare.

    La domanda che mi pongo spesso è come può nascere nei ragazzi il desiderio di crescere se gli adulti sono così scontenti. Se anche facciamo moltissime cose buone per loro, come potranno desiderare di essere un padre, una madre, un prete? Occorre stimolare il protagonismo intergenerazionale, perché gli
    adolescenti si sentano responsabili dei loro coetanei e i più grandi dei più giovani.

    Pensiamo, ad esempio, agli oratori che non sono una bolla privilegiata nella realtà giovanile così come viene descritta normalmente, ma un laboratorio interessante in cui il protagonismo dei ragazzi si fa
    responsabilità. Forse le amministrazioni comunali, la scuola e altre agenzie, possono promuovere eventi che facciamo emergere il gusto dei ragazzi di fare cose belle.

    Vi sono dimensioni della vita di un ragazzo o di una ragazza che non si possono censurare. La prima è la dimensione religiosa dell’adolescente: le domande sulla morte, la vita, l’amore, a cui solo Dio può dare
    risposta, meritano di essere considerate. Abbiamo una parola da dire che dà speranza, mentre ora la speranza pare proibita e sembra che non si possa parlare di Dio in una società laica. Inoltre, c’è la dimensione affettiva.

    Abbiamo bisogno di persone che siano capaci di ascoltare i ragazzi sulle cose fondamentali.

    Mons. Delpini e i giovani, ai Sindaci del Monzese, 30 giugno 2023
  • Vacanze insieme

    Vacanze insieme

    Un paio di settimane fa mons. Mario Delpini ha visitato in Valtournenche (AO) i campeggi degli
    oratori di Legnano e Rescaldina.

    Per chi è più in là con gli anni, il pensiero va con nostalgia a quando i campeggi erano davvero tali,
    sotto le tende e senza le comodità di un albergo (quante ore ad aspettare che il boiler riscaldasse di
    nuovo l’acqua per potersi fare almeno la doccia dopo ore di camminata in montagna!).

    Trovo particolarmente illuminanti alcune parole che l’Arcivescovo ha rivolto alle ragazze e ai ragazzi
    dei campeggi: «Il campeggio è come partire per un viaggio alla scoperta di sé, è come partecipare a
    un piccolo laboratorio che può diventare una storia vocazionale, permettendo di interrogarsi – una
    volta tornati a casa – sulla propria vita. Vi consiglio di andare all’oratorio o al campeggio perché qui
    siete insieme tra voi e c’è Gesù. L’oratorio è, prima di tutto, un’iniziativa della parrocchia per parlare
    del Signore, non è un campo da gioco o un modo per fare sport. Queste tre parole le trovate solo in
    oratorio e nei campeggi: si sta insieme, si impara a conoscere Gesù e si fa esercizio al servizio della
    gioia».

    Da oggi partono le settimane di “vacanza insieme” dei nostri ragazzi: quelle parole sono anche il
    nostro programma e la nostra ambizione.

    don Gianni

  • Naturalezza

    Naturalezza

    È giusta l’educazione ricevuta dai nostri padri e madri sul rispetto che si deve al luogo sacro: il segno della croce all’ingresso in chiesa; la genuflessione di fronte all’Eucaristia, segnalata dalla lampada rossa
    accesa; il clima di silenzio e la compostezza durante le celebrazioni. Il Concilio Vaticano II però ci ha educato anche a essere attivi nell’azione liturgica, sia mediante lo svolgimento di alcuni ministeri (non solo celebranti o diaconi, ma anche chierichetti, lettori, cantori, ministri della Comunione eucaristica o incaricati di portare i doni all’altare o di raccogliere le offerte tra i fedeli), sia partecipando convintamente
    alle preghiere, alle risposte, ai canti.

    Il modello – anche se a taluno può non piacere – è la tavola familiare dove c’è chi svolge delle mansioni e tutti intervengono volentieri nella conversazione, ma anche si fa attenzione che nessuno sia privo di cibo o bevande. In chiesa invece molti vivono una sorta di paralisi trascendentale, non tanto per onorare l’Altissimo, ma per terrore di venire troppo coinvolti. Talvolta, se propongo a qualcuno anche solo di portare all’altare il pane e il vino all’offertorio, vengo squadrato come se lo volessi associare a una spedizione di mercenari sanguinari, e alla fine si sottrae.

    Perché è così difficile vivere le celebrazioni con naturalezza, fratelli e sorelle premurosi uno dell’altro, seduti alla stessa mensa? Ed essere testimoni di fede: «Vedi? Anch’io prego con te e come te, con gioia!».

  • Noi e Voi

    Noi e Voi

    Capita, nel corso di una pacata discussione, ma più spesso in qualche acceso confronto, di sentir dire «noi sì, voi siete diversi». Magari l’interlocutore è una sola persona, ma viene automaticamente aggregata a un voi così preciso da coinvolgere in una pregiudiziale squalifica.

    Si comincia così nel caso più evidente di differenza – uomini e donne – per passare poi a tutta la gamma delle diversità etniche, culturali, religiose, regionali, sociali, politiche, professionali: noi e voi, noi e loro.

    Questa espressione, apparentemente superficiale, tradisce un retroterra mentale preoccupante: che l’appartenenza a un gruppo automaticamente designi modi di pensare e di comportarsi omogenei tra tutti i componenti i quali vengono accettati o respinti o derisi o condannati a priori, senza dare valore alle persone, ai loro percorsi, alle esperienze che le hanno segnate. L’altro lato della medaglia è che, ovviamente, chi appartiene ai noi si senta autogiustificato in tutti i suoi argomenti e spesso poco sfiorato dalla possibilità di tentare un’autocritica, o almeno una verifica dei propri convincimenti e delle proprie scelte.

    Quando il noi e il voi entrano nella Chiesa – noi preti, voi laici; noi catechisti, voi Caritas, noi tradizionalisti, voi progressisti; noi di un movimento, voi di un altro, ecc.–, è il momento di riformare non solo il linguaggio, ma anche il pensiero e lasciarsi riempire dall’intenzione e dalla preghiera di Gesù: «che siano perfetti nell’unità».

    don Gianni