Categoria: Editoriali

  • Challenge

    Challenge

    Il fatto di Roma, quartiere Casalpalocco, è noto: durante un challenge, una potente auto ne ha investita una più piccola, causando la morte di un bambino e il ferimento di mamma e sorellina. Challenge uguale sfida: mettersi alla prova per vedere capacità di resistenza in prestazioni solitamente poco normali. Da sempre si parla di record e di Guinness dei primati per le cose più strane (la pizza più grande del mondo, la resistenza in una grotta…). Il challenge di cui parliamo però ha qualche novità: ripreso dai cellulari e ributtato sui social, dà notorietà, ebbrezza e talvolta anche guadagni. Inutile aggiungere che il più delle volte si tratta di esibire attività totalmente prive di senso. Il fine è incrementare il culto dell’apparire, così apprezzato e desiderato nel nostro mondo.

    Mentre i nostri “eroi” apparivano così sui social, centinaia di persone scomparivano letteralmente nel Mediterraneo, inghiottite dall’ennesima tragedia delle migrazioni. Per loro il challenge, la sfida contro le onde e l’ignoto, era questione di vita o di morte, non certo un divertimento.

    E tante altre persone ogni giorno affrontano sfide essenziali per la vita, il lavoro, la famiglia, la salute: non esibiscono i loro successi – se ci sono –, ma perseverano in fatiche quotidiane ed esigenti. La stessafede, soprattutto oggi, si presenta come una sfida, dove è molto più facile evadere che aderire. Nessuno può sottrarsi a qualche challenge, ma quello vero non ha bisogno di palcoscenico.

    don Gianni

  • Alienum a ratione

    Alienum a ratione

    Vero: oggi va di più l’inglese del latino e più o meno si dovrebbe tradurre out of mind. Ma l’originale latino appartiene a un’enciclica del 1963 scritta dal papa san Giovanni XXIII, che definiva così la guerra in un’epoca dove l’olocausto nucleare è sempre a un passo. Alienum a ratione si traduce letteralmente “fuori dalla ragione” e quindi, più efficacemente, “fuori di testa”. Sono stato a Nagasaki, la prima città cattolica del Giappone, distrutta dall’ordigno nucleare il 9 agosto 1945: l’onda d’urto della bomba arrivava come un vento micidiale a chilometri di distanza distruggendo tutto ciò che incontrava; i residui delle radiazioni hanno contaminato vite e ambienti per decenni. Non c’è luogo del mondo che non ricordi gli orrori della guerra con musei, monumenti, cimiteri. La lezione è che l’uomo ragionevole rifiuta la guerra, come dice saggiamente l’articolo 11 della Costituzione italiana: «L’Italia ripudia la guerracome strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

    Nobili propositi, dimenticati quando per orgoglio nazionale, opportunità o anche solo per ragioni di mercato, la guerra viene praticata e alimentata. Uno spettacolo che condiziona anche lo sguardo di chi, nelle famiglie e nelle città, pensa di farsi giustizia o di affermarsi mediante la violenza.

    Solo la voce del papa resta a condannare la guerra e a invocare la pace: ma lo trattano come se fosse lui alienum a ratione.

    don Gianni

  • Toccatemi/5 e fine

    Toccatemi/5 e fine

    Gesù risorto dice «Toccatemi» e prima si è fatto toccare da folle di malati, indemoniati, discepoli. Dopo l’Ascensione il corpo storico di Gesù è toccabile solo nei suoi segni: eucaristia, parola, comunità, poveri. Tutti elementi dotati di evidente concretezza: non suggestioni o emozioni, ma pane, acqua, olio, libri, persone, orari, ferite, organismi.

    Cosa li rende capaci di far toccare veramente Gesù a chi crede, e anche a chi non crede? La risposta è nel fatto che Gesù sceglie ancora di toccarci, di toccarci nel profondo, di permetterci di toccare noi stessi il nostro cuore, la nostra anima. Tutto questo avviene tramite lo Spirito Santo, il dono che permette più di
    ogni altra cosa di rendere l’uomo simile a Dio.

    Non interessano potenza, ricchezza, successo, simpatia, salute, appartenenza etnica, culturale,
    religiosa: Dio infonde il suo Spirito in coloro che sono non solo creature, ma figli e figlie. La Chiesa è lì per risvegliare in ciascuno di loro la consapevolezza di avere ricevuto questo dono grande, per poterne ricavare una vita perfetta, felice, divinizzata, a immagine di Cristo.

    Anche i credenti di lungo corso hanno bisogno di tornare a toccare nel profondo la propria anima e a lasciarsi toccare dallo Spirito. Come scrive sant’Agostino: «Tu eri dentro di me, e io fuori. E là ti cercavo. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi hai chiamato, e il tuo grido ha squarciato la mia sordità. Mi hai toccato, e ora ardo dal desiderio della tua pace».

    don Gianni

  • Toccatemi/4

    Toccatemi/4

    Ai discepoli Gesù Risorto dice «Toccatemi», ma precedentemente una donna gli aveva toccato il lembo del mantello per cercare guarigione. Gesù toccava i poveri e i malati, la lingua e le orecchie del sordomuto e metteva fango sugli occhi del cieco. Invitando a imitarlo, diceva per tutti: «Quello che farete a uno di questi piccoli, lo farete a me».

    Un episodio rilevante della conversione di Francesco d’Assisi è l’abbraccio al lebbroso.

    Dopo aver riconosciuto il corpo di Cristo nell’eucaristia, nella comunità e nella parola, è possibile immaginare che egli si lasci toccare nei poveri, nei malati, nei peccatori.

    Per alcuni è un’esperienza a portata di mano, perché dedicano tempo al volontariato, all’ascolto, all’assistenza. A Desio sono presenti Croce Rossa, Caritas, Missionari Saveriani, RSA “L’Arca” e una miriade di altre associazioni che promuovono piena umanità in persone colpite da difficoltà di ogni tipo.

    Ci sono anche povertà nascoste e non sempre possibili da cogliere esternamente, come il maltrattamento di donne e minori. L’impegno del volontariato è una forma di toccare Gesù.

    Ma lo è anche quella carità diffusa o “di pianerottolo”, che si fa solidale con il vicino anziano bisognoso di spesa, medicine, compagnia, o che si prende cura dei figli della vicina mentre è al lavoro o a sua volta assiste familiari nel bisogno.

    Anche il DONO DA CONDIVIDERE che oggi si avvia in tutte le parrocchie della città è un toccare Gesù, modesto quanto si vuole, ma efficace.

    don Gianni

  • Toccatemi/3

    Toccatemi/3

    L’invito di Gesù Risorto – «Toccatemi» – non si limita al tatto: l’ascolto di una voce, di una parola, equivale al toccare, perché crea le stesse sensazioni, o ne procura di più profonde: fiducia, convinzione, sicurezza, tenerezza, stupore, dubbio, spavento, tristezza. Chi ascolta non resta uguale a prima. Questo accade anche di fronte alla parola di Dio, specialmente quando è la parola che i Vangeli mettono in bocca a
    Gesù.

    Quel «Toccatemi» equivale a dire «Cercate di ricordare tutto ciò che vi ho detto, perché la mia morte e risurrezione confermano le mie parole». Ed equivale anche ad affermare «Ricordatevi di ciò che ho fatto e fatelo conoscere, affinché il mio stile di vita diventi il vostro e quello di coloro che vi ascolteranno».

    Ascoltare la testimonianza dei discepoli sulle parole e opere di Gesù è infatti ascoltare Gesù stesso, un altro modo di toccarlo, di entrare in contatto con lui.

    Abbiamo nella Bibbia e specialmente nei Vangeli un tesoro straordinario per toccare Gesù, ma per molti cristiani resta ancora inesplorato, perché contenti di quattro idee imparate al catechismo dell’infanzia e
    magari di qualche bella predica ascoltata in un santuario o di qualche devozione ai santi. Cose buone, ma sotto la linea della sufficienza.

    San Gerolamo, traduttore delle Scritture dagli originali al latino, dichiarava: «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo». Molti conoscono a memoria gli slogan pubblicitari o le canzoni di Sanremo: e i Vangeli?

  • Toccatemi/2

    Toccatemi/2

    Con l’invito ai discepoli – «Toccatemi» – e a Tommaso – «Metti qui il tuo dito…» – Gesù mostra il suo corpo. Oggi l’affermazione Il corpo di Cristo accompagna la distribuzione della comunione eucaristica, mentre nella Chiesa degli inizi l’espressione corpo di Cristo indicava la comunità dei credenti, la Chiesa, quelli che ad Antiochia cominciarono a essere chiamati cristiani.

    Se non a tutti, per motivi personali o morali, è possibile ricevere e toccare il corpo di Cristo eucaristico, tutti i battezzati sono parte del corpo di Cristo comunitario, ecclesiale.

    Nel tempo della separazione tra io e noi – la nostra epoca segnata dall’individualismo – anche la comunità cristiana soffre vedendo che molti abbandonano la fede stessa mentre altri (non tutti!) vivono una sorta di chiusura nella propria privata pratica di fede e frequentano le chiese sullo stile delle stazioni di servizio.

    Toccare il corpo di Cristo, che è la Chiesa, significa anzitutto riconoscere la dimensione comunitaria della fede: il Buon Pastore conosce a una a una le sue pecore, ma ne fa un popolo fraterno, solidale. Un popolo dove il servizio reciproco in nome della carità, il sentirsi corresponsabili dell’annuncio cristiano, la disponibilità a occasioni di fraterno incontro, il sostegno alla testimonianza di chi è in prima linea nei campi difficili del lavoro, della cultura, della politica, dell’educazione, sono una forma del toccare e far toccare il bellissimo corpo di Cristo, la sua Chiesa.

    don Gianni

  • Toccatemi/1

    Toccatemi/1

    Nel vangelo di Luca Gesù Risorto si presenta a discepoli sconvolti e pieni di paura: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi»; nel testo di Giovanni invita Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco». Gesù chiede di essere toccato: un gesto che, se non autorizzato, infastidirebbe e potrebbe persino apparire indizio di violenza. Con
    Gesù invece è indizio di riconoscimento e riaffermazione di fede.

    Un tocco che riserviamo al suo corpo è certamente quello dell’Eucaristia: prese il pane nelle sue mani – ma ora le mani sono quelle del sacerdote celebrante – e disse: «Questo è il mio corpo»; un corpo distribuito ai discepoli dell’Ultima Cena e, oggi, ai fedeli partecipanti al banchetto eucaristico. Non solo lo tocchiamo, ricevendolo sulle mani o in bocca, ma lo mangiamo, assimilando quel corpo al nostro.

    Il passato ci aveva consegnato gesti oggi forse persi per strada: la genuflessione o l’inchino al tabernacolo; il silenzio assoluto durante le parole della consacrazione; l’estrema attenzione nella ricezione del Corpo di Cristo (arriva gente che ciondola qua e là, saluta gli amici fino a non accorgersi di essere giunta davanti al ministro che distriiuisce la comunione) e nella risposta dell’Amen della fede; il clima di raccoglimento e preghiera o il canto gioioso nel tornare al proprio posto. Lo hanno toccato, ma l’hanno riconosciuto? «Non essere incredulo, ma credente!»: come credono?

  • Misericordia

    Misericordia

    Un politico italiano di area ambientalista avrebbe dichiarato che il suo movimento in Italia non trionfa per una questione culturale: «In Italia viviamo in una cultura del perdono, forse ha qualcosa a che fare con il cattolicesimo. Diamo sempre per scontato che tutto sarà perdonato».

    Molti hanno commentato nel merito citando ampiamente interventi papali, a cominciare dall’enciclica Laudato si’, e iniziative delle comunità per la difesa del creato.

    Ma pure legare “cultura del perdono” e cattolicesimo ha un che
    di suggestivo e intrigante. Di solito sono altri gli orientamenti culturali che paiono allergici a temi quali misericordia e perdono. E sempre fastidiose le domande in
    taluni processi: «Ma lei perdona (gli assassini, i mafiosi, i responsabili, i terroristi…)?», come se il perdono si potesse acquistare sulla bancarella del mercato rionale.

    Oggi, domenica dedicata alla misericordia, sarà bene tornare alle fonti cristiane: la misericordia non è ignorare il male o, peggio, venire a compromessi con esso. Ma è la capacità di affrontarlo in un altro modo – nel modo di Gesù – per conseguire quella liberazione che solo Dio sa e può donare dalla Croce.

    Scriveva san Giovanni Paolo II nel 2002, dopo l’attentato alle Torri Gemelle: «Non c’è pace senza giustizia; non c’è giustizia senza perdono». C’è ancora molto cammino da fare per comprendere appieno il cristianesimo: un messaggio controcorrente, sempre assolutamente differente rispetto a ogni altro modo di pensare.

    don Gianni

  • L’incontro

    L’incontro

    «Io c’ero»: così si dice per vantarsi di avere vissuto da vicino un avvenimento famoso dove “incontrare” grandi personaggi o per darsi importanza nell’essere stati al posto giusto nel momento giusto.Domenica scorsa si sono rievocati i gesti dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme come lo descrivono i vangeli: per aver cantato Osanna e agitato rami di palme o di ulivo, molti avevano potuto dire di averlo visto, incontrato, magari incrociato il suo sguardo.
    Una fastidiosa sensazione fa immaginare che una parte di quegli stessi delle palme, fossero in piazza anche al giorno del processo e, abilmente manipolati, avessero gridato «Crocifiggilo!» contro quello stesso Gesù.

    Le folle del resto si accalcavano attorno a Gesù anche durante il suo ministero pubblico: è immensa la folla al Discorso della montagna; si contano a migliaia le persone saziate alla moltiplicazione dei pani; qualche volta bisogna proteggere Gesù perché rischia di essere travolto (anche se sa riconoscere chi spera una guarigione anche solo toccando il lembo del suo vestito).

    Il mattino di Pasqua invece vanno al sepolcro alla spicciolata: qualche donna, un gruppetto spaurito, un paio di discepoli. Trovano la tomba vuota e non sono del tutto in grado di decifrare l’accaduto, almeno finché Gesù non si mostrerà a loro risorto. Dapprima nei pressi del sepolcro stesso, poi nel cenacolo e in seguito in Galilea sulle rive del lago. Paolo lo incontrerà a suo modo sulla via di Damasco, mentre i suoi compagni di viaggio non potranno capire nulla.

    «Io c’ero». L’incontro con Gesù può avvenire anche nel cuore di una folla, di una massa di gente che lo acclama, chi per convinzione, chi per abitudine, chi per interesse. Ma quando si decide che Lui, con la sua morte e risurrezione, è davvero il centro della vita e della storia, occorre cercarlo per un incontro personale. Un incontro possibile intrecciando due esperienze: una comunità di testimoni – nella vita più che nelle parole – e un cuore aperto alle sue tracce.

    Solo così avviene il passaggio – come lo indicava il card. Martini – da un cristianesimo di abitudine e di tradizione a un cristianesimo di convinzione, di riflessione, di scelta, di decisione.

    Augurarci BUONA PASQUA è augurarci che l’incontro avvenga, non perché siamo bravi o perché la nostra comunità sia meritevole più di altre, ma perché Gesù, il Vivente, ci viene incontro.

    don Gianni

  • Nona stazione

    Nona stazione

    Quando ero in terza media, in occasione di una visita a una casa di riposo per anziani con la mia classe, fummo incaricati di “guidare” la Via Crucis commentando ciascuno una stazione. Mi aspettavo l’assegnazione di un tema importante – l’incontro con la Madre, il Cireneo, la morte di Gesù – e invece ebbi l’incarico della nona stazione: Gesù cade per la terza volta. Non ricordo quale fu la mia riflessione di allora. Ma da lì in poi, quando partecipo alla Via Crucis, do un valore
    particolare alla nona stazione. È probabile che Gesù sia caduto anche più di tre volte durante la
    salita al Calvario (il dislivello è scarso, ma erano le irregolarità del tracciato e soprattutto le conseguenze dei colpi patiti nella flagellazione a farlo vacillare), provocando l’ira dei soldati e la compassione di qualche spettatore.

    Ma la terza caduta porta in sé una sorta di compimento: tre è numero di perfezione, di sintesi. È come dire che cadere in basso è l’identità stessa di Gesù, come scrive Paolo nella lettera ai Filippesi: «non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini; umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce».

    Umiliò, svuotò: la lingua originale sottolinea l’abbassamento, il farsi nulla agli occhi di tutti, quasi la vergogna di chi cade perché non sa più stare in piedi.

    In questo Gesù diventa simile agli uomini. Simile a uomini e donne sofferenti nei letti di casa o di ospedale, immobilizzati fisicamente per l’età o per incidenti, o sfigurati da malattie
    degenerative. Simile a chi fatica a far accettare le sue diverse abilità, con tutte le sfaccettature che esse comportano, o con l’aggiunta di quei mali oscuri o interiori quali le depressioni, gli autismi, le patologie rare, poco o niente curabili. Simile alle numerose vittime delle guerre, delle violenze, dei terrorismi e delle criminalità organizzate, ma anche di catastrofi o cataclismi, per alcuni dei quali sono evidenti le responsabilità dei cambiamenti climatici e della devastazione dell’ambiente. Simile – si può dirlo? – alle donne che prestano il loro utero per un figlio già venduto, il cui prezzo va in tasca a mediatori senza scrupoli. Simile a chi ho dimenticato in questa lista di “cadute e caduti”, e così simile a me peccatore, che Lui rialzerà con la tenerezza del perdono

    don Gianni