Categoria: Omelie

  • Il pensiero della settimana

    Il pensiero della settimana

    III Domenica dopo il martirio di S. Giovanni

    Le Letture di oggi non sono per nulla facili e questo ci ricorda che dobbiamo sempre accostarci alla Sacra Scrittura con pazienza, attenzione e disponibilità di cuore.

    Come ci insegnava il Card. Martini, si deve scoprire il senso letterale del brano e poi chiederci che cosa il
    Signore vuole dire a noi, con queste parole. Le Letture di oggi ci danno delle indicazioni preziose per il nuovo anno pastorale. È bene partire dalla 2° Lettura. Il primo impegno in assoluto per un cristiano è conoscere Gesù, nella sua identità e nella sua missione: non diamo per scontato di conoscerlo.

    Nel Vangelo Gesù ci ricorda che è il Figlio di Dio, mandato dal Padre che testimonia per Lui e di cui è venuto a rivelare, in particolare, l’amore misericordioso. È in questa luce che dobbiamo contemplare la
    Croce: è il momento più alto, più espressivo dell’identità di Gesù e della sua missione: Gesù crocefisso
    rivela da una parte il suo abbandono totale al Padre e dall’altro il suo amore per gli uomini.

    Certo la contemplazione del Crocefisso, ci impegna, a nostra volta, a donarci agli altri.

    Anche il Card. Martini alla domanda “chi è il vero cristiano? Uno che va a Messa o uno che si dà da
    fare per gli altri?”, rispondeva: “il vero cristiano è uno che si dà fare per gli altri perché è andato a
    Messa”. Solo riscoprendo e accogliendo l’amore del Signore, possiamo amare e donarci agli altri.

    Certamente non saremo mai perfetti, dovremo riconoscere sempre le nostre debolezze, i nostri peccati. Ma il Signore è pronto a perdonarci e a rinnovarci.

    don Alberto

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    Il pensiero della settimana

    II Domenica dopo il martirio di S. Giovanni

    L’immagine che lega le letture della liturgia di oggi è quella della vigna: il popolo di Israele è la
    “vigna” scelta ed amata dal Signore, che non dà i frutti sperati; la vigna è il Regno di Dio a cui
    tutti siamo chiamati a lavorare e che richiede la nostra risposta. La vigna è un dono, è una scelta
    d’amore gratuito di Dio che, però, esige di essere accolto, fatto fruttificare. Quindi non interessa per la salvezza se siamo figli di Abramo o cristiani, se conosciamo bene il Vangelo o sappiamo parlare bene.

    Quello che interessa sono le nostre scelte quotidiane più o meno coerenti al Vangelo. Se Gesù avesse narrato questa parabola al giorno d’oggi, dice un commentatore, probabilmente avrebbe parlato non solo di due figli, ma di ben quattro. Un terzo figlio, alla proposta del Padre di lavorare nella vigna, avrebbe chiesto tempo, un confronto a tavolino, uno studio della situazione, un dossier sulla vigna, magari lamentandosi del degrado di essa e poi, forse, non sarebbe neppure passato all’azione. Sono così certi cristiani che con la scusa che la Chiesa non è quella che
    dovrebbe essere, non si sporcano mai le mani per cambiarla. Il quarto figlio, infine, sarebbe quello che non dice neppure di sì. Nel silenzio ascolta il Padre e, nel nascondimento, lavora, assomigliando a Gesù che si è incarnato, si è spogliato della sua divinità, si è fatto uno di noi vivendo per 30 anni una vita normale di famiglia e di lavoro.

    Come la gente umile, senza pretese, senza etichette, che nel silenzio, assiste anziani, malati, che
    evangelizza con la sua testimonianza. Dovremmo tutti appartenere a quest’ultima categoria.

    don Alberto

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    Il pensiero della settimana

    I Domenica dopo il martirio di S. Giovanni

    Il brano evangelico ci ricorda il periodo liturgico che stiamo vivendo: il tempo dopo il martirio
    di S. Giovanni Battista. Confrontiamo le figure di Giovanni e di Gesù, per tanti aspetti con una
    vita simile e per altri ben diversi.

    Giovanni è precursore: la sua vita sarà un anticipo della vita di Gesù. Anche Giovanni viene preannunciato, la sua nascita è accompagnata da fatti straordinari; c’è l’esperienza del deserto e il gesto del battesimo; la predicazione in ambedue è un invito alla conversione; tutti e due trovano difficoltà ad essere accolti, ma rimangono fedeli alla loro missione fino al martirio.

    Ci sono anche diversità nel vivere l’annuncio e nello stile di vita: austero, ascetico, isolato quello
    di Giovanni. Gesù invece è tra la gente. Giovanni accoglie quanti vanno a lui (non si muove dal
    deserto), Gesù va agli altri, l’incontra sulle strade, nelle città, nel tempio, sul lago, senza distinzione tra farisei, pubblicani, adulteri, lebbrosi, ebrei e pagani. C’è differenza anche nel messaggio di conversione.

    Giovanni preannuncia un Messia che farà piazza pulita del male: bisogna convertirsi per non avere castighi. Gesù invita a convertirsi perché il Regno di Dio è giunto, cioè l’amore del Padre si è rivelato pienamente in lui. Tra i due non c’è contrapposizione, ma preparazione in Giovanni e realizzazione in Gesù.

    Proviamo, allora, a farci qualche domanda. Sentiamo l’invito alla conversione sempre e comunque? Sappiamo andare come Gesù verso gli altri, in ogni ambiente, in ogni situazione? Non meravigliandoci se siamo incompresi, rifiutati, emarginati: è stato così per Giovanni Battista e per Gesù stesso.

    don Alberto

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    Il pensiero della settimana

    IV Domenica  dopo Pentecoste

    La seconda Lettura ci invita a riflettere sul fondamento della nostra vita cristiana, che è la fede. Senza la fede, dice, è impossibile essere graditi a Dio.

    La fede è un dono da chiedere e da testimoniare nella vita concreta di ogni giorno. In particolare, oggi, nella prima Lettura e nel Vangelo ci ricorda quale deve essere il rapporto tra noi. Certamente condanna la
    gelosia, l’invidia che può portare all’omicidio del fratello: purtroppo sono cronaca di tutti i giorni i delitti, anche in famiglia.

    Condanna anche l’uccisione di un reo confesso di omicidio, “chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte” e questo dovrebbe farci pensare alla pena di morte in vigore ancora in tanti paesi.

    Ma Gesù che non rinnega la prima legge, bensì la porta a compimento nel ”Discorso della montagna”, ci ricorda che si può uccidere il fratello anche col giudizio, con la parola. Se dico “stupido”, “pazzo” a mio fratello, l’ho già ucciso come persona, non vale nulla per me. Non si può pensare di poter pregare, offrire un sacrificio al Signore, se non si è in pace con i fratelli: è per questo brano che il rito Ambrosiano ha anticipato lo scambio della pace, prima dell’offertorio.

    Proviamo a verificare la nostra vita su tutto questo: siamo in pace, siamo capaci di accoglienza, di perdono, per quanto dipende da noi, con tutti? Lo scambio di pace è un gesto formale o un segno di
    impegno?

    Chiediamo al Signore di aiutarci ad essere come egli ci vuole, a perdonare e ad andare d’accordo con tutti.

    Chiediamo un atteggiamento di umiltà di disponibilità

    don Alberto

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    II  Domenica  dopo Pentecoste

    Nelle domeniche dopo Pentecoste si ripercorre la storia della salvezza, l’amore del Signore per le sue creature.

    Il primio atto di amore è la Creazione, un amore che crea tutto il mondo e che provvede alle creature.

    Il Vangelo ci dice che Dio non solo ci ha amati nel crearci, ma continua ad amarci: provvede alla nostra vita. Ricorda che pensa anche agli uccellini ed ai gigli del campo. Per questo l’uomo non deve preoccuparsi perché il Padre sa di che cosa abbiamo bisogno.

    Gesù non insegna una provvidenza fatalista che disimpegna.

    Nel Vangelo si parla di talenti che vanno trafficati, di gente che aspetta il Signore dandosi da fare nel comandamento dell’amore … e che alla fine ci sarà un giudizio.

    Vuole che crediamo all’amore paterno e provvidente di Dio, senza “preoccuparci”, “angosciarci” e vuole la nostra collaborazione nel suo lavoro di provvidenza.

    Dobbiamo essere segni dell’amore del Padre: dobbiamo interessarci degli altri, degli ultimi, sapendo riscoprire il suo volto in quello dei poveri. Il giudizio finale sarà proprio sul come noi siamo stati provvidenza per gli altri. “Ero povero, malato, nudo, straniero, carcerato…” e tu che cosa hai fatto?

    1. .Sappiamo scoprire la bellezza, la bontà, la grandezza di Dio nel creato ringraziando il Signore e rispettando il Creato?
    2. Crediamo nell’amore di Dio che s’interessa di tutte le Creature, in particolare degli uomini, creati a sua immagine e somiglianza?
    3. Ci ricordiamo che noi dobbiamo essere segni dell’amore, della provvidenza del Padre…e che alla fine saremo giudicati sull’amore?

    don ALberto

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    Il pensiero della settimana

    Domenica della Santissima Trinità

    Celebriamo, oggi, il mistero della SS. Trinità che ci contraddistingue dalle altre grandi religioni.
    È il mistero che richiamiamo tutte le volte che facciamo il segno della croce (nel nome della Trinità), la santa Messa (è tutta una preghiera al Padre per Cristo, animati dallo Spirito Santo) e tutti i sacramenti che vengono amministrati nel nome della Trinità.

    È il mistero che ci ha rivelato Gesù, con la sua parola e la sua vita: il Figlio, fatto uomo, ha manifestato, in ogni suo gesto, l’amore misericordioso del Padre e con lui ci ha donato lo Spirito Santo.

    La Trinità sembra quasi un teorema irrisolvibile, più che una bella notizia che interessa la nostra vita.

    Definire la Trinità un mistero, istintivamente ci toglie, forse, la volontà di approfondimento, eppure nella Bibbia il mistero dell’unico Dio in tre Persone appare nell’azione di Dio. Pensiamo al primo capitolo della Genesi, dove viene detto che siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio: se Dio è comunità di amore, se è tre Persone che si conoscono, si parlano, si donano totalmente l’una all’altra, l’uomo è riflesso di Dio quando conosce, parla, si dona, in una parola quando ama e fa comunità con gli altri.

    Il peccato originale ci ha lasciato la ferita dell’egoismo, ma lo Spirito Santo che è l’amore, ci fa riscoprire in Dio il Padre e negli altri, in Gesù, dei fratelli.

    Chiediamo a Dio di essere sua immagine e somiglianza, in modo da essere immagine viva della Trinità.
    don Alberto

    don Alberto

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    Il pensiero della settimana

    Domenica di Pentecoste

    Carissimi, l’anno liturgico è un lungo cammino in cui riviviamo il mistero della salvezza. In questo cammino la Pentecoste è certamente una tappa fondamentale.

    Nella Pentecoste la presenza di Dio diventa realtà per ciascuno di noi: lo Spirito rende presente Gesù in noi, facendoci figli adottivi del Padre celeste. Lo Spirito Santo rende presente oggi Gesù risorto nella Chiesa, altrimenti essa stessa sarebbe un organismo destinato a perire per il peccato delle sue
    membra. Lo Spirito Santo è una fiamma che richiama la luce. Abbiamo bisogno tutti di questa luce, cioè il dono del discernimento, la luce dello Spirito per la nostra vita personale e per le grandi scelte che la nostra società è chiamata a compiere. Un secondo dono da chiedere è la forza, rappresentata dal “vento gagliardo “: non basta sapere, capire, ma bisogna attuare il disegno di Dio.

    Gli Apostoli hanno dovuto affrontare un mondo a loro ostile o indifferente. Anche oggi i cristiani vivono un momento storico delicato perché si avviano ad essere minoranza nel mondo.

    Ma proprio la Pentecoste ci ricorda che la forza del Cristianesimo non sta nel numero ma nella presenza
    dello Spirito e nel lasciarsi trasformare da Lui.

    Il terzo dono da chiedere e sicuramente quello dell’unità, richiamato dal dono delle lingue concesso agli Apostoli. Gesù ha voluto l’unità come segno distintivo della sua Chiesa. Chiediamo allora al Padre di donarci lo Spirito Santo che ci renda come Gesù ci vuole, mediante il dono della sua luce, forza e pace.

    Buona Pentecoste!

    don Alberto

  • Il pensiero della settimana

    Il pensiero della settimana

    Ascensione del Signore

    Carissimi, celebriamo la festa liturgica dell’Ascensione, Gesù che sale glorioso al cielo, cioè è riconosciuto Signore del cielo e della terra.

    Di solito quando una persona cara parte e sappiamo che non la vedremo più, c’è
    malinconia, tristezza; nel Vangelo invece si sottolineano la serenità, la gioia ben
    motivata. L’Ascensione non è la partenza di Gesù, ma la sua glorificazione, cioè la proclamazione che Gesù, Uomo-Dio, è uguale in dignità e potenza a Dio Padre.

    Come il Padre, anche Gesù è eterno, onnipotente, onnisciente e anche onnipresente, non solo come Dio, ma anche come uomo. Proprio per l’Ascensione, Gesù di Nazareth è qui come in ogni parte del mondo: ci parla, si rende presente
    nell’Eucaristia, si dà in cibo a noi. È, quindi, un giorno di gioia, di riconoscenza perché ci ha voluto bene, rimanendo con noi.Salendo in Cielo ha portato con se la nostra Umanità è andato avanti a prepararci un posto. L’Ascensione è la giornata più bella in cui pensare ai nostri cari che ci hanno lasciato, con nostalgia, perché li incontreremo di nuovo, con li Signore.

    I discepoli ritornano a Gerusalemme nell’attesa “di ricevere la forza dello Spirito
    Santo, per essere testimoni di Gesù fino ai confini della terra”.

    Certo dobbiamo pensare al Paradiso, alla meta che ci aspetta, ma questo non ci disimpegna in questo mondo.Chiediamo, allora, insieme, al Signore, che non ci ha lasciati soli, di essere suoi testimoni nella gioia e nell’amore aperto a tutti.

    don Alberto

  • Il pensiero della settimana

    Il pensiero della settimana

    VI di Pasqua

    Le parole di Gesù ai suoi amici nell’Ultima Cena riportate nel Vangelo valgono anche per noi.

    Forse ci è capitato di non capire la Parola del Signore, di far fatica a scoprirne il senso e la portata per la nostra vita. Gesù ci invita a non scoraggiarci, ma a lasciarci illuminare dallo Spirito di verità.

    Ci stiamo incamminando verso la Pentecoste che conclude i cinquanta giorni di festa della Pasqua ed è bello che abbiamo sempre presente lo Spirito Santo, che Gesù risorto ci dona dalla Croce alla sera di Pasqua.

    Lo Spirito di Gesù risorto cambia radicalmente Paolo sulla via di Damasco.

    Lo Spirito Santo rende presente Gesù risorto anche oggi, in particolare in due doni, il Sacerdozio e l’Eucarestia.

    La seconda Lettura ci ricorda che Gesù è il Sacerdote eterno che può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio. I sacerdoti scelti da lui sono strumento per realizzare tutto questo.

    La sua presenza come Sacerdote e vittima raggiunge il suo culmine nell’Eucarestia.

    Chiediamoci se è così anche per noi: se sappiamo vedere nei Sacerdoti uno strumento nelle mani del Signore che continua la sua opera di annuncio della Parola, di perdono dei peccati per fare memoria della sua Pasqua.Chiediamo a Gesù, che si presenta a noi sotto le specie del pane e del vino di essere anche noi, da una parte “testimoni“ come Stefano, e dall’altra di essere “missionari” come Paolo che ha visto nell’annuncio del Vangelo il senso della sua vita.
    don Alberto

  • IL PENSIERO DELLA SETTIMANA

    IL PENSIERO DELLA SETTIMANA

    V di Pasqua

    Il brano del Vangelo è preso dal “testamento spirituale“ di Gesù e ha come tema l’amore: è presentato come “comandamento nuovo“ nel Vangelo, nell’inno della Carità di San Paolo e nella vita della prima comunità cristiana. Quello che colpisce in tutte e tre le letture è la novità di questo amore. Nel Vangelo si parla di un comandamento nuovo: Gesù, prima di comandare di amare i lontani, invita i suoi discepoli ad amarsi a vicenda, come già nell’Ultima Cena, quando dopo la lavanda dei piedi, invita a lavare i piedi “gli uni gli altri“.

    I primi cristiani hanno recepito questa volontà di Gesù e gli Atti degli Apostoli riportano questo clima fraterno che dava grande forza alla predicazione degli Apostoli.

    Gli interrogativi che la Liturgia di oggi ci pone sono tanti.

    Siamo convinti che la carità è un dono da chiedere e da accogliere prima ancora di farla? Quante volte l’abbiamo chiesta al Signore, in particolare invocando lo Spirito Santo e celebrando l’Eucarestia?

    Meditiamo sulle caratteristiche di questo dono ed esaminiamo il nostro modo di amare, se è riflesso o scandalo di quell’amore.

    Guardiamo la nostra Parrocchia, il nostro modo di vivere i rapporti tra noi: assomigliamo a quelli della prima Comunità in cui “i credenti avevano un cuor solo e un’anima sola”?

    Non dobbiamo scoraggiarci: il Signore risorto è sempre con noi, si dona totalmente a noi nell’Eucarestia e ci rende capaci “di amarci come Lui ci ha amato“ e quindi testimoni della sua presenza e del suo amore nel mondo.

    don Alberto