Categoria: Omelie

  • Domenica III di Pasqua

    La domanda di Filippo, nell’ultima cena “Signore mostraci il Padre e ci basta”, è una richiesta da una parte comprensibile e dall’altra è segno che gli Apostoli non avevano ancora capito chi fosse Gesù.
    Gesù parla del Padre, a 12 anni, dicendo: “non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre?”.

    Poi nella sua predicazione: “le parole che dico non sono mie, ma del Padre” e “sono venuto per fare la volontà del Padre”.
    Chi è dunque questo Padre di cui così spesso parla?

    La richiesta di Filippo è anche l’espressione del desiderio di ogni uomo di poter vedere Dio, di parlare con lui.

    Ma questa domanda rivela anche che gli Apostoli non avevano ancora capito che Gesù è la rivelazione del Padre: la sua parola, i suoi gesti, i suoi miracoli sono tutte occasioni che rivelano il Padre, il suo amore, il suo perdono. E il culmine dalla rivelazione dell’amore del Padre per l’uomo è Gesù sulla Croce, che la trasforma da strumento di tortura, in segno di salvezza.

    Oggi il compito di rivelare il Padre, Gesù risorto lo affida alla sua Chiesa, che deve essere annuncio e segno dell’amore del Padre.
    Ricordiamoci, però, che la Chiesa siamo tutti noi, non solo i vescovi, i sacerdoti e i religiosi. Tocca a ciascuno di noi portare il Vangelo al mondo, parlare di Gesù, continuare l’opera di rivelazione del Padre con una testimonianza coraggiosa e con una vita dedicata al servizio, alla donazione e al perdono.

    don Alberto

  • In Albis depositis

    Domenica in cui si ripongono le bianche vesti

    Il nome di questa domenica è collegato alle tappe finali del conferimento del Battesimo ai catecumeni. Anticamente, durante la Quaresima, il vescovo preparava i pagani adulti che volevano diventare cristiani. La conclusione dei diversi riti di passaggio avveniva la notte di Pasqua, durante la quale il vescovo amministrava loro il Battesimo e poi faceva indossare ai neofiti una veste bianca. L’importanza del nuovo abito per i battezzati richiama la novità di vita che in occasione del Battesimo esige la loro completa immersione nell’acqua. Questo gesto fa sperimentare al battezzando dapprima la morte di Gesù (sommersione), a cui segue la risurrezione di Gesù (riemersione). Questo passaggio pasquale è confermato da un altro gesto simbolico: il catecumeno, prima di immergersi nell’acqua, si spogliava degli abiti della vita precedente, che abbandonava nella parte occidentale del fonte battesimale.
    Riemergendo dalla parte orientale del battistero all’alba di Pasqua, il cristiano veniva illuminato dalla gloria di Cristo risorto, luce del mondo, creatore della nuova umanità. Questo cambiamento era richiamato anche dal colore bianco della veste con la quale il vescovo lo aveva rivestito.

    Il battistero a forma ottagonale ricordava al cristiano che ormai era avvenuta in lui la nuova creazione; anche lui era partecipe del mondo definitivo, che oltrepassa quello iniziale creato da Dio in sette giorni. È il tempo nuovo, inaugurato da Gesù la domenica di Pasqua con la risurrezione dalla morte: la vita di Dio vince il limite che il peccato ha introdotto nell’umanità.

    Durante la settimana che seguiva la domenica di Pasqua, i nuovi battezzati partecipavano alle catechesi battesimali, per comprendere i significati spirituali dei riti cristiani e poter così gustare in pienezza la vita ecclesiale.
    Utilizzando per sette giorni la stessa veste bianca, riuscivano a testimoniare, a tutti coloro che li incontravano, che da allora in poi sarebbero stati felici di essere membri della comunità spirituale della Chiesa, nella quale erano rinati a vita nuova.

    La settimana successiva il vescovo aspettava alla celebrazione eucaristica i neofiti, che gli riconsegnavano di domenica (in albis depositis) la veste battesimale che avevano ricevuto nella notte di Pasqua.
    Indossare la veste bianca è come indossare l’abito nuziale: esprime il desiderio di essere degni dell’incontro gioioso con Gesù, per far parte della comunità cristiana a pieno titolo.

    Questo simbolo luminoso ricorda anche che c’è una grande analogia tra il cristiano che incontra Dio nel Battesimo con l’episodio della trasfigurazione di Gesù sul Tabor, quando le sue vesti divennero candide come la neve.
    Nella lettera ai Colossesi san Paolo ci spiega cosa significa rivestirsi di Cristo: “Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri. Ma, sopra tutte queste cose, rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto”.
    don Sandro

  • Pasqua di Risurrezione

    Carissimi, la Pasqua, come dice il Salmo responsoriale, è “il giorno che ha fatto il Signore”, è la festa per eccellenza, che dà origine a tutte le feste, che i cristiani celebrano ogni otto giorni, nella domenica. E’ giorno di luce e di gioia, che ci aiuta a riscoprire chi siamo noi, perchè possiamo dire che il cristiano è uno che crede e vive la Pasqua, testimoniandola ogni giorno.

    Innanzitutto il cristiano è uno che crede nell’avvenimento che gli è stato trasmesso dalla Chiesa: Cristo è morto e risorto.

    E’ il mistero centrale della nostra fede, quello che ci distingue da ogni altra religione; è il fondamento della nostra preghiera, della Liturgia, dei Sacramenti che sono “incontro con Cristo risorto” nella Chiesa. 

    E’ un fatto che non è facile da accettare perchè supera la nostra ragione.

    Ecco perchè Gesù deve dimostrarlo: “Gesù si mostrò vivo dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro”.

    Ma quando uno lo incontra e si sente chiamato per nome (v. Maria di Magdala al sepolcro) è troppo contento per non comunicarlo agli altri.

    Il cristiano testimonia la sua fede nella Pasqua quando vive come Gesù: quando sa dire il suo sì alla volontà del Padre e crede nel suo amore anche nei momenti più duri; quando vede l’autorità come un servizio e non ha vergogna di mettersi il grembiule e lavare i piedi agli ultimi; quando sa perdonare chi lo mette in croce…

    Il cristiano è un ottimista ad oltranza, è uno che vince la guerra con l’amore e il perdono, perchè non si sente mai solo!

    Certo non è facile, non lo è mai stato: lo scoraggiamento, la paura di averlo perso è sempre alle porte. Abbiamo bisogno che Gesù ci chiami per nome, giorno per giorno, come Maria, che Gesù ci spieghi la nostra vita e che “spezzi il Pane” che dà forza (come ai discepoli di Emmaus).

    Diamoci quindi l’appuntamento ogni domenica a “spezzare il pane”, ad incontrare il Signore risorto, a prendere la forza per testimoniarlo nel mondo. Buona Pasqua.

    don Alberto

  • Domenica delle Palme

    Carissimi, una delle preoccupazioni della Chiesa, oggi, è che i cristiani stianno perdendo il senso della Domenica come giorno del Signore e, proprio perchè del Signore, giorno dell’uomo, della famiglia, della gioia e della comunità. Fra l’altro siamo ormai abituati a dire “weekend – fine settimana” e quindi si ritiene la domenica come l’ultimo giorno.

    Ora, invece, per la Bibbia, la Domenica è il 1° giorno della settimana, quello in cui è iniziata la creazione e, per noi cristiani, è il 1° giorno della nuova creazione iniziata con la Risurrezione di Gesù.

    Tutto questo ci è ricordato dalla liturgia di questa domenica che ci preannuncia tutti i grandi misteri della nostra fede che celebreremo durante la settimana: insieme al trionfo di Gerusalemme, si parla di tradimento, di passione e di sepoltura (v. Vangelo) e la 1a Lettura ci presenta il Servo di Jahwè, che prende sopra di sè le nostre iniquità per donarci la sua giustizia.

    La Chiesa ci invita a vivere pienametne questa settimana sempre ritenuta la più importante, tanto da definirla la settimana “Autentica”, “Santa”. Il pericolo di sempre è che vi abbiamo ad entrare con indifferenza e abitudine, preoccupati di più del contorno della festa che non dei misteri che siamo invitati a rivivere.

    Come, dunque, vivere questa settimana, così che sia Santa anche per noi?

    Innanzitutto partecipando alla Liturgia.

    I riti della settimana Santa sono i più ricchi di tutto l’anno liturgico e la liturgia, capita e vissuta, è veramente, come dice il Concilio Vat.II, la sorgente e il culmine della vita cristiana: la liturgia è ascolto, catechesi, culto, memoria viva dei misteri che si celebrano.

    Dobbiamo prepararla con momenti di silenzio, di preghiera personale, trovando il tempo per riascoltare dentro di noi la Parola di Dio.

    Dobbiamo, poi, ricordarci che per vivere bene la Pasqua, uno degli strumenti donatici da Gesù è il sacramento della Riconciliazione. Prendiamo atto, in esso, di essere stati anche noi come Giuda che l’ha tradito o come Pietro che l’ha rinnegato per paura, vergogna o pigrizia. 

    Ma nello stesso tempo siamo certi che il Signore, ci conferma il suo amore, continua a chiamarci amici e desidera che abbiamo nel nostro cuore la sua pace e la sua gioia.

    Ma sia la Liturgia che la Riconciliazione devono riflettersi nella vita: dobbiamo evitare l’ipocrisia e il formalismo. Non si può portate il ramoscello d’ulivo, segno della pace e non avere il desiderio della pace nel nostro cuore, la pace del Signore si diffonda in tutto il mondo.

    Non si può celebrare la Lavanda dei piedi, il Giovedi Santo e, poi, non vivere lo stile di servizio umile, di cui Gesù vuol darci un esempio con quel gesto. 

    Non si può venire a baciare il Crocifisso, il Venerdi Santo, senza sentirci da una parte corresponsabili di quella morte, e dall’altra riconoscenti per l’amore che ci ha rivelato. E soprattutto non si può celebrare la risurrezione di Gesù nella Veglia e nella Domenica di Pasqua, e non desiderare di essere rinnovati interiormente.

    Chiediamo insieme al Signore di vivere bene questa Settimana “tenendo fisso lo sguardo su Gesù” (v. 2a Lettura): sia veramente Santa per i misteri che celebriamo e per il modo con cui la viviamo.

    don Alberto

  • V di quaresima detta “di Lazzaro”

    Il Vangelo, con la risurrezione di Lazzaro, ci presenta la Pasqua come un passaggio dalla morte alla vita.
    La Pasqua è sinonimo di resurrezione, di cambiamento, di liberazione in cui il protagonista è il Signore. Sarebbe bello che ciascuno di noi con serenità e serietà, si chiedese in quale punto particolare la sua vita deve fare la Pasqua.
    Il Vangelo ci riporta l’ultimo dei “segni”, che rivelano il mistero di Gesù e, in lui, il volto del Padre. Gesù,in questo fatto, si rivela pienamente un uomo come noi, anzi modello per ciascuno di noi, nei valori umani: è amico vero, solidale nel dolore, sente la ribellione alla morte, si commuove e piange di fronte alla tomba dell’amico. Ma Gesù misteriosamente non si muove subito.
    Parla di “sonno” di Lazzaro. Ha una logica diversa: sa che anche in questa vicenda si sta svelando l’amore di Dio. Gesù è la Vita che sconfigge la morte!
    Chiediamoci allora se ricerchiamo i valori umani che Dio stesso ha fatto propri in Gesù: crediamo alla Provvidenza, che sa trarre il bene anche dal male? Gesù con la sua morte è vicino a ciascuno di noi nel dolore e con la sua risurrezione ci dà la certezza che la vittoria è della vita.
    Chiediamo, al Signore di farci capire la Pasqua a cui ci prepariamo e di aiutarci a vivere il mistero in cui Gesù affronta con amore la prova suprema della Croce e vince, fidandosi del Padre, il peccato e, con esso, la morte, diventando promessa di vita per noi.
    don Alberto

  • III di Quaresima detta “di Abramo”

    Carissimi, la Quaresima è tempo di verifica e di conversione, di riscoperta del nostro essere cristiani. La liturgia di oggi ci propone tre modelli su cui riflettere: Abramo, il padre della nostra fede; Mosè, la guida del popolo; Gesù, colui che ci rende uomini liberi e veri.

    Tre figure, collegate l’una all’altra. L’una all’origine del popolo ebreo, l’altra quando questi diventa un vero popolo con le sue leggi e, la terza, Gesù che è il frutto più bello di questo popolo.

    Abramo ci viene presentato come modello di fede, una fede che gli ha fatto desiderare e volere come possibile un figlio, gli ha fatto abbandonare il suo paese, il suo clan, per incamminarsi verso la terra promessa da Dio. È la stessa fede che ci viene donata nel Battesimo, che deve crescere lungo la vita e che ci illumina e ci dà forza per vivere il Vangelo. È così anche per noi?

    Gesù ci viene presentato nel brano di oggi come il profeta, la coscienza che ci fa rendere conto del nostro essere peccatori per aiutarci a redimerci. Parla con coloro che credevano in Lui ma trova un rifiuto e allora non gli resta che lasciare il tempio e nascondersi da loro.

    La Liturgia di oggi è un forte richiamo a ringraziare il Signore per il dono della fede, che ci ha fatto nel Battesimo e a capire di cosa siamo schiavi (soldi, pigrizia, chiacchiere) o falsi (ipocriti, incoerenti) così da chiedergli di liberarci e rimanere fedeli alla sua Parola come Lui ci ricorda: “Se rimarrete fedeli alla mia Parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.

    don Alberto

  • Domenica detta “della donna samaritana”

    Il Vangelo di oggi ci narra l’incontro di Gesù con la donna samaritana. È un brano ricco di spunti di riflessione: Gesù supera le barriere razziali, vince i tabù, dà significato al pozzo come luogo degli incontri più significativi.
    Ci viene presentato, in questo episodio, il cammino della vita cristiana, dall’inizio sino alle ultime conseguenze.
    Ci ricorda che il cristiano è uno che incontra il Signore: il primo incontro avviene nell’acqua del Battesimo con il dono dello Spirito, ma, poi, tutta la vita è un incontro con Lui. Questo incontro è un dono gratuito del Signore che ci aspetta al pozzo, si fa bisognoso di un po’ d’acqua, inizia il dialogo e così ci cambia il cuore. Quando incontriamo il Signore, come per la Samaritana, siamo affascinati, turbati perché scopriamo che il Signore ha interesse per noi, ci ama, ci obbliga a rientrare in noi stessi, ci fa prendere coscienza del peccato, non per angosciarci, ma per convertirci. Questo cambio non è facile: cerchiamo, come la samaritana, di trovare degli alibi. Proviamo, allora, a chiederci se la preghiera, l’ascolto della Parola, l’Eucarestia, siano un incontro che parla al nostro cuore, che ci mette in crisi. Siamo capaci di lasciare la brocca, i nostri interessi, per testimoniare con gioia di aver incontrato il Signore? Chiediamo al Signore di avere sete di questa “acqua viva”, che ci può purificare e rafforzare nel cammino della vita e renderci così testimoni del suo Vangelo.
    don Alberto

  • Domenica prima di quaresima

    Inizia questa domenica la Quaresima, il tempo che ci prepara alla Pasqua. Un tempo di verifica e di conversione in cui il protagonista non siamo noi, ma Gesù che ci salva.

    Il brano di Vangelo ci porta nel deserto, il luogo in cui l’uomo riscopre la sua dipendenza da Dio, riesce ad ascoltare, fuori dal frastuono del mondo, la Parola del Signore. È la Parola su cui dobbiamo fondare la nostra vita, dobbiamo trovare il tempo per ascoltare questa Parola perche è la Parola più importante.

    Questo ascolto ci deve portare a vincere, come Gesù, le tentazioni facili del potere, del sentirsi qualcuno, dello star bene… condurci a una vita nel senso di donazione.

    L’imposizione delle ceneri, non deve essere un gesto formale, ma il riconoscimento di quanto siamo poveri, un pugno di polvere, e nello stesso tempo a quale grandezza Dio ci ha chiamati, ad essere sua immagine viva nel mondo.

    Il magro e il digiuno non devono essere solo un cambiare menù a tavola, ma un segno di padronanza e capacità di rinuncia, personalizzandolo, ad esempio con il digiuno della TV, di letture futili, di chiacchiere inutili.

    Gesù, vuole aiutarci in questo lavoro di conversione, è Lui che può lavorare dentro di noi se gli apriamo il cuore. Impegnamoci a una preghiera più intensa, a una partecipazione più viva alla messa, a una confessione che sia l’incontro con l’amore misericordioso di Dio.

    Ciascuno trovi un momento per delineare una propria regola di vita cosicché questo tempo sia “un momento favorevole, il giorno della salvezza”.

    don Alberto

  • Te Deum di ringraziamento alla fine dell’anno

    31 dicembre 2018: Te Deum di ringraziamento alla fine dell’anno

    (Nm 6,22-27; Fil 2,5-11; Lc 2,18-21)

    «Inviando in missione i suoi discepoli, Gesù dice loro: “In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa! Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi”. Offrire la pace è al cuore della missione dei discepoli di Cristo». Così inizia il messaggio del Papa per la Giornata mondiale della Pace di domani, 1° gennaio 2019, e così i sacerdoti, le religiose e i laici incaricati hanno salutato le famiglie
    e le case che hanno accolto la visita natalizia: «Pace a questa casa!».

    L’espressione si allarga e diventa augurio e preghiera: «Pace a questa città!». Augurio, perché ciascun cittadino o cittadina è certamente desideroso di pace vera. E preghiera, perché la comunità cristiana annuncia il volto di colui che è la nostra pace: Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo.

    La Chiesa e ogni cristiano – seguendo quanto scrive san Paolo: abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù – si sentono inviati come Gesù a partecipare della vicenda umana. Egli umiliò se stesso, cioè si abbassò per camminare con gli uomini e le donne del suo tempo, per sperimentare relazioni, lavoro, famiglia, per toccare con mano le difficoltà, le sofferenze, le incertezze di tanti suoi contemporanei.

    Quello stile umile contrasta con la mentalità dell’individualismo dove, mentre ci si lamenta impietosamente di ciò che non funziona per sé, si rendono invisibili le povertà più drammatiche del nostro tempo e si trascura una visione di insieme della società stessa. el recente discorso di S. Ambrogio il nostro Arcivescovo ha affermato:

    «La recensione delle problematiche che caratterizzano il momento che viviamo è talora troppo influenzata dal particolare di cronaca che provoca una reazione emotiva e oscura la considerazione complessiva della realtà.

    L’esercizio di una lettura realistica di questo tempo può individuare alcune priorità che, per quello che mi risulta, sono già condivise.

    In una considerazione pensosa delle prospettive del nostro tempo si dovrà evitare di ridurci a cercare un capro espiatorio: talora, per esempio, il fenomeno delle migrazioni e la presenza di migranti, rifugiati, profughi invadono discorsi e fatti di cronaca, fino a dare l’impressione che siano l’unico problema urgente.

    Si devono nominare tra le problematiche emergenti e inevitabili:

    • la crisi demografica che sembra condannare la popolazione italiana a un inesorabile e insostenibile invecchiamento;
    • la povertà di prospettive per i giovani che scoraggia progetti di futuro e induce molti a trasgressioni pericolose e a penose dipendenze;
    • le difficoltà occupazionali nell’età adulta e nell’età giovanile e le problematiche del lavoro;
    • la solitudine il più delle volte disabitata degli anziani».

    Sono valutazioni da meditare in modo non fugace e superficiale, specialmente per quanto concerne la ricerca di capri espiatori, le crisi della demografia e del lavoro, le solitudini degli anziani e il duplice riferimento ai giovani circa la mancanza di lavoro e lo scoraggiamento sul futuro.

    Proprio ai giovani la Chiesa universale ha dedicato nel 2018 un’assemblea del Sinodo dei Vescovi. Vediamo non pochi giovani responsabilmente attivi in ambiti associativi, educativi, culturali, sportivi. Non ci nascondiamo tuttavia che alcuni anche da noi mostrino vuoti preoccupanti di motivazioni e di valori e diano luogo a comportamenti trasgressivi, antisociali, dannosi per se stessi, per gli altri e per le stesse istituzioni – quali ad esempio scuole e oratori – disponibili ad accoglierli.

    Mi sento di aggiungere ai tanti indicati dall’Arcivescovo il tema della casa, dell’abitare, che emerge con urgenza tre le richieste avanzate ai Centri di Ascolto della Caritas, e che appare di difficile soluzione, soprattutto per chi vive con scarso reddito.

    Tra le molte luci della vita cittadina, affiorano dunque zone di ombra, che suscitano la solidarietà di singoli e associazioni. Mi chiedo però se anche tra noi non si diffondano gli atteggiamenti preoccupanti messi in evidenza a livello nazionale dall’autorevole ricerca del CENSIS di fine d’anno, che ha descritto gli italiani «soli, arrabbiati e diffidenti».

    La delusione e il rancore possono condurre alla cattiveria, se per la difesa del proprio spazio personale, familiare, di gruppo, di fazione, non ci si fa scrupolo di penalizzare o rifiutare l’altro, il diverso, il debole. Ma se chi sta in fondo alla scala sociale non è garantito, ben presto nessun livello potrà dirsi al sicuro.

    La crisi globale che ha colpito tutti con durezza ormai dieci anni fa, più che crisi economica si presenta infatti come crisi di fiducia, come osserva Papa Francesco nel suo messaggio: «viviamo in questi tempi in un clima di sfiducia che si radica nella paura dell’altro o dell’estraneo, nell’ansia di perdere i propri vantaggi, e si manifesta purtroppo anche a livello politico, attraverso atteggiamenti di chiusura o nazionalismi che mettono
    in discussione quella fraternità di cui il nostro mondo globalizzato ha tanto bisogno».

    Questo clima crea talora diffidenza non solo verso le fasce marginali della popolazione, ma anche verso chi le soccorre, fino a svalutare enti e associazioni che si muovono nell’ambito della carità, dell’assistenza, dell’accoglienza. Già sfavorite da una mentalità di delega, per cui se si occupano loro dei poveri altri possono disinteressarsene, ora subiscono sospetti circa il loro operato e rischiano anche a livello legislativo e fiscale
    di non vedere apprezzato il loro apporto in settori dove agiscono per il bene comune.

    Il valore delle organizzazioni non a scopo di lucro infatti non sta solo nel servizio volontario che rendono, ma anche nel contributo che offrono alla realizzazione della vita dei cittadini, di quelli di cui si prendono cura direttamente e di quelli che si giovano di una compagine sociale meno conflittuale.

    Nell’anno trascorso le parrocchie, unitamente ad altri soggetti, hanno aderito a due provvedimenti promossi con il Comune di Desio.

    Con il primo si è rinnovata la Convenzione con le Scuole d’Infanzia paritarie, che interessano centinaia di famiglie della nostra città e vogliono offrire un’occasione educativa privilegiata ai più piccoli. Le stesse comunità parrocchiali non sempre conoscono l’impegno professionale, organizzativo ed economico che rappresentano le tre Scuole d’Infanzia parrocchiali, alle quali se ne aggiungono altre tre di ispirazione cristiana e altre ancora presenti sul territorio. La Convenzione rinnovata dà rilievo ai temi dell’inclusione e della mediazione culturale, così da sostenere percorsi di integrazione dei bambini e delle loro famiglie.

    Il secondo consiste nel protocollo Qui Welfare Desio, che intende facilitare l’accesso alle prestazioni sociali e sociosanitarie attive sul territorio attraverso il coordinamento di soggetti che operano in rete tra loro. Il Centro di Ascolto Caritas della Basilica ha aderito con l’intento di essere antenna e canale a nome delle parrocchie cittadine.

    Una parola di gratitudine riservo ai Missionari Saveriani che hanno ricordato i 70 anni di presenza a Desio: ci richiamano a vivere l’universalità della Chiesa e a praticare il dialogo interreligioso.

    Sono pure riconoscente all’associazione Minhaj Ul Quran per il messaggio natalizio che ci ha indirizzato, con la disponibilità a percorrere insieme vie di incontro, dialogo, pacificazione.

    Scrive ancora il Papa: «Celebriamo in questi giorni il settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata all’indomani del secondo conflitto mondiale. Ricordiamo in proposito l’osservazione del Papa San Giovanni XXIII: “Quando negli esseri umani affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri: nei soggetti che ne sono titolari, del dovere di far valere i diritti come esigenza ed espressione della loro dignità; e in tutti gli
    altri esseri umani, del dovere di riconoscere gli stessi diritti e di rispettarli”».