Le Letture di questa domenica sembrano fuori stagione: siamo in Avvento, in preparazione al Natale, e ci parlano dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme la domenica delle Palme. Si narra della venuta di un re che entra in Gerusalemme, accolto festosamente dalla folla, cavalcando un puledro (non un cavallo da guerra).
Ma è quanto avverrà a Natale: viene il Re dai cieli, cantato e lodato dagli Angeli, adorato dai Magi, ma nelle vesti umili di un bambino, accolto dai poveri emarginati, come i pastori. Questo testo sottolinea che non si può dividere il ricordo della Settimana di Passione, dal Natale: il Gesù “bambino“, è lo stesso Gesù “crocifisso e risorto“. È sempre il Figlio di Dio che rivela l’amore del Padre incarnandosi, morendo e risorgendo per noi.
Del Vangelo non possiamo scegliere le pagine trascurando quelle che non ci piacciono. Gesù è una Persona con una proposta di vita: certamente è una bella notizia, ma che comporta la croce. Questa riflessione ci aiuta a togliere il sentimentalismo del Natale, sostituendolo con il sentimento di riconoscenza e di gratitudine a Dio che si fa carne, muore e risorge per noi.
Allora lasciamo entrare Gesù nel nostro cuore come è entrato in Gerusalemme. Facciamoci accompagnare da Maria che festeggeremo venerdì come l’Immacolata, immune dal peccato originale: la Madonna ci aiuti a scoprire la realtà del peccato, ma soprattutto l’amore misericordioso di Dio che ci salva.
Il Vangelo di oggi ci invita a “scrutare le Scritture”: ci parla di Giovanni Battista, che è presentato da Gesù stesso come il suo testimone. Sappiamo, che Giovanni dopo il primo momento di entusiasmo della folla, sarà imprigionato da Erode e ucciso.
Ma Gesù, sempre nella pagina di Vangelo di questa domenica, ci ricorda che quella di Giovanni non è l’unica testimonianza. Ci sono le Scritture “che voi scrutate: sono proprio esse che danno testimonianza”.
Gesù realizza pienamente quanto era stato preannunciato nel Primo Testamento, il progetto di salvezza che il Padre ha pensato. Ma, continua Gesù, la testimonianza più importante del suo essere Figlio di Dio fatto uomo è quella del Padre. Ogni sua parola, ogni suo gesto è in piena comunione con il Padre che dà forza, realizza quando Gesù dichiara.
Lo scopo della venuta di Gesù è quello di rivelare l’amore fedele, gratuito e onnipotente del Padre.
Purtroppo, come per Giovanni, anche per Gesù c’è la possibilità da parte dell’uomo di non credergli, di rifiutare le prove, le opere che egli compie. Dovremmo verificare in che atteggiamento ci poniamo di fronte a Gesù. Crediamo veramente che è il Figlio di Dio mandato dal Padre? Ne conosciamo il pensiero e la vita con una lettura attenta e meditata del Vangelo?
Chiediamo al Signore che viene di conoscerlo, di amarlo sempre più profondamente così che anche la nostra vita sia testimonianza della sua Persona, del suo Vangelo con chiunque ci fa incontrare.
L’Avvento è un corso popolare di Esercizi spirituali e i predicatori sono tre: Isaia, Giovanni Battista e Maria.
Di Maria parleremo nella festa dell’Immacolata e l’ultima domenica di avvento; Isaia, tra i profeti, è quello che più di tutti ha preannunciato il Messia come Emmanuele, Dio con noi a Natale, e Servo di Jahvè, che soffre per la salvezza, a Pasqua.
Il terzo è Giovanni Battista, colui che realizza la profezia di Isaia: “voce di uno che grida nel deserto, II domenica di Avvento preparate la via del Signore”. È un predicatore di poche parole, di vita povera e austera, radicale nelle sue richieste. Ci insegna, concretamente, come dobbiamo prepararci al Natale.
Ci ricorda che il Natale esige la conversione. Ora è necessario che ciascuno di noi verifichi se stesso seriamente, non ritenendosi a posto perché siamo cristiani, perché Dio, dice sempre Giovanni, potrebbe far sorgere cristiani anche dalle pietre.
Il Natale, ci ricorda sempre Giovanni, presuppone il deserto che è il luogo in cui meglio si riscopre la nostra dipendenza da Dio e possiamo ascoltare la sua voce fuori dal chiasso del mondo.
Dobbiamo far violenza a noi stessi, recuperare un po’ di silenzio e chiederci onestamente: a noi che cosa dice il Natale? Il messaggio natalizio dell’amore di Dio padre per noi, si predica con la nostra attenzione agli ultimi, con la nostra solidarietà con chi soffre.
Chiediamo allora a Giovanni Battista di essere anche noi tra coloro che si preparano al Natale così da essere “il frumento che Dio raccoglierà nel suo granaio“.
Oggi è il capodanno della vita della Chiesa, del suo celebrare i misteri del Signore e, per riscoprire i misteri più grandi, la Chiesa ha voluto che fossero preceduti da periodi di riflessione e preghiera: l’Avvento per il Natale, la Quaresima per la Pasqua.
Come vivere queste sei settimane perché siano un momento di grazia? La Chiesa ci ricorda, iniziando l’anno liturgico con un periodo di attesa di una venuta che la nostra vita, tutta la storia umana è una attesa.
La storia ha inizio nella mente di Dio e ha un fine che è la venuta di Gesù.
L’Avvento ci ricorda da vicino la prima venuta: ci stiamo preparando al Natale, Dio che si fa uomo. Ma il Vangelo di oggi sottolinea l’attenzione per l’altra venuta, quella di Gesù giudice, alla fine. Un discorso difficile ma che ci aiuta a impostare bene questo periodo. La nostra attesa deve essere vigile e operante. È un’attesa di cui Gesù non ha voluto rivelarci la data: questo dovrebbe smentire tutti i Movimenti e le sette, tra cui i Testimoni di Geova che credono di poter predire la fine. È un’attesa che deve essere di ottimismo e di speranza perché la si vive con Lui.
Potremmo prendere a modello Maria, la persona che più di tutti ha vissuto l’avvento: imparare da Lei la capacità a meditare, cercando di trovare un tempo più abbondante di silenzio, di meditazione; la gratitudine a Dio che si esprime nella preghiera del Magnificat; la disponibilità umile e silenziosa che La vede premurosa a casa della cugina Elisabetta.
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
Con questa domenica concludiamo l’anno liturgico contemplando Gesù Cristo, Re dell’universo. Gesù accetta il titolo di re, nel senso che è il primo di tutta la storia umana sia per natura in quanto Figlio di Dio, sia per conquista, perché “ci ha liberati con il suo sangue, facendo di noi un regno“.
Leggendo il Vangelo, scopriamo che Gesù si è premurato di far capire il vero senso della sua regalità. Parecchie volte hanno tentato di proclamarlo re, ma Gesù ha accettato solo tre volte: nell’ingresso trionfale di Gerusalemme, come re di pace, cavalcando un umile asinello, di fronte a Pilato per testimoniare la verità a costo della vita, ma soprattutto sulla Croce in cui si dona totalmente per i suoi sudditi.
Il suo essere re si esprime nell’amare, che è “servizio, perdono, dono di sé“.
All’interno di questo Regno c’è la Chiesa, i cristiani che credono al primato di Gesù nella storia, alla sua morte e risurrezione, alla sua presenza tra noi e che hanno ricevuto il dono dello Spirito nel battesimo. I cristiani hanno ricevuto il grande dono della fede e insieme la grande responsabilità di essere segno vivo, con la loro vita, di questo Regno.
A questo ci richiama, anche la Giornata diocesana della Caritas: riscoprire tutta la vita come un dono che si realizza spendendola per gli altri. E’ quanto ci ricorda il nostro Arcivescovo nella sua Proposta Pastorale “ Viviamo di una vita ricevuta” da condividere con gli altri.
Riconosciamo, dunque, il Signore “Re“ della nostra vita, il suo amore per noi e chiediamogli di saperlo condividere, sempre e con tutti, nella vita con gli altri.
Il tema liturgico della settimana è la salvezza. Dio la vuole per tutti, ma essa esige la nostra disponibilità e accoglienza. Mercoledì celebreremo la solennità dei “Santi”, cioè i salvati, in piena comunione con Lui. Dice Sant’Agostino: Dio ci ha creati senza chiederci il parere o il permesso, ma non ci salva contro la nostra volontà.
Se rifiutiamo questo dono, il nostro destino sarà una condanna. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Come fare per vivere bene e camminare sulla strada della Santità? Le Letture mettono in luce due condizioni: riconoscere il primato di Dio e vivere seriamente la fraternità.
Tutti abbiamo la tentazione di far diventare delle creature o delle cose i nostri idoli, dimenticando che queste sono dono del Signore che ce le ha donate.
La seconda condizione è vivere pienamente la fraternità tra noi.
La salvezza è una cosa così preziosa che dovremmo sentirne anche noi il desiderio. Ricordiamoci che il giudizio sulla nostra vita sarà sull’amore che avremo gli uni per gli altri, immagine e partecipazione dell’amore di Dio per noi.
Chiediamo, al Signore di essere anche noi salvati e santi perché abbiamo riconosciuto il suo amore nella nostra vita e l’abbiamo condiviso. Facciamo in questa settimana nella Commemorazione di tutti i defunti, una preghiera per i nostri cari che ci hanno lasciato, perché siano “santi“, cioè nella piena comunione con Dio.
Chiediamo al Signore di “aprire la nostra mente per comprendere le Scritture, come ha fatto con gli apostoli, “donandoci lo Spirito Santo che il Padre ha promesso“. Senza questo aiuto, la lettura e l’ascolto della Parola è sterile per la nostra vita.
È lo Spirito Santo che permette a Pietro“ di rendersi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme, a qualunque nazione appartenga“.È lo Spirito Santo che dà la forza a Pietro e a Paolo di annunciare il Vangelo, che è “Cristo crocifisso e risorto”.
Pietro riassume tutta la vita di Gesù nel mistero centrale che è la Pasqua, di cui gli Apostoli sono testimoni. Paolo, a sua volta, ricorda che “Cristo mi ha mandato ad annunciare il Vangelo, Cristo crocifisso, potenza di Dio e sapienza di Dio“. Questo mandato riguarda non solo gli apostoli ed i discepoli, ma ciascuno di noi: tutti siamo chiamati ad annunciare l’amore del Padre che ci dona il Figlio, l’amore del Figlio che muore per noi, e che con la sua resurrezione ci fa creature nuove mediante il suo Spirito che ci dà la forza di vivere la carica rivoluzionaria del Vangelo.
Proviamo a chiederci se condividiamo queste verità, se la nostra vita è di persone che credono nell’amore del Padre e vivono la fraternità in Cristo.
Oggi, giornata missionaria, vogliamo pregare in particolare per i nostri fratelli di fede, che sono in prima linea nell’annuncio del Vangelo.
La loro presenza sia un richiamo per noi ad essere missionari nel nostro ambiente: aperti a tutti come Pietro, con la gioia e la passione di Paolo.
Alcune domande a don Alberto che, da venerdi 13 ottobre alle 15.30 presso il Centro, invita tutti agli incontri di catechesi biblica e liturgica.
Don Alberto, ci spieghi come e quando nasce l’idea di questi incontri?
Da quando sono qui a Desio, cioè dal 2017, tengo questi incontri settimanali: allora c’erano corsi dell’università del tempo libero e io ho preso il posto di Don Elio Burlon, che era malato. Da qualche anno invece questi incontri sono a cura della nostra Comunità Pastorale come momento di approfondimento sulla Parola di Dio, che per un cristiano è il centro della propria fede.
Tutti possono partecipare? Chi di solito li frequenta? Servono particolari qualità?
In questi anni la frequenza è sempre stata buona, circa 20-25 fra pensionati e casalinghe, visto che gli incontri si tengono sempre al venerdi pomeriggio, provenienti da varie zone di Desio. La partecipazione è libera, non serve la laurea o sentirsi un esperto, ma tutti possono scoprire in quel libro, forse poco conosciuto dai cristiani, che è la Bibbia, quel tesoro di cui abbiamo bisogno per orientare la nostra vita e i nostri pensieri. In ogni caso, se ci fossero richieste, potrei rendermi disponibile anche in orario serale.
Quali sono i temi che vengono trattati e come funziona l’incontro?
Negli anni scorsi abbiamo trattato vari temi quali il libro dell’Esodo o la storia dei concili, o la visione della donna nella Bibbia. L’anno scorso abbiamo iniziato il libro degli Atti degli Apostoli e nel 2024 arriveremo alla fine del testo. La modalità è semplice. Ognuno porta da casa la Bibbia, si legge un capitolo, io ne faccio la lectio, cioè metto a fuoco i messaggi centrali, le parole chiave, i luoghi; da ultimo pongo alcune domande per capire cosa dice a me quel testo. Segue un dialogo e un confronto libero. Questa parte dura 45 minuti circa e l’ultimo quarto d’ora lo dedichiamo al pensiero liturgico, con la meditazione sulle letture della domenica. Come vedi un metodo semplice e alla portata di tutti.
Cosa dice a noi cristiani del 2023 un testo come quello degli Atti?
Descrive la vita della Chiesa dei primi anni del cristianesimo, ma si resta stupiti nel percepire che i problemi o le difficoltà vissute ormai 2000 anni fa siano molto simili a quelli di oggi. Pensiamo ad esempio ai dissidi tra Pietro e Paolo, al dibattito sull’apertura al mondo esterno, all’uso dei beni. Possiamo scoprire che anche i primi cristiani non erano certo dei perfetti, un po’ come noi oggi. Mi dà un motivo per cui val la pena partecipare a questi corsi? Oggi un cristiano è chiamato a confrontarsi con un mondo spesso indifferente e a saper dire quali sono le ragioni della propria fede: queste motivazioni si trovano solo nella Parola di Dio e nei Vangeli di Gesù Cristo. Da lì dobbiamo partire.
Il pensiero della settimana – Dedicazione del Duomo di Milano
La Chiesa ambrosiana celebra oggi la festa della Dedicazione del Duomo, cioè l’anniversario della sua consacrazione. La parola “Duomo“ deriva dal latino domus e significa casa, che ritorna come immagine nelle letture di oggi.
Della “Casa del Signore”, che è il Tempio, parla Gesù nel Vangelo, rimproverando i suoi contamporanei che lo avevano trasformato in un luogo di commercio.
Non è il Signore che ha bisogno del tempio, della chiesa: l’universo è la sua abitazione. Il tempio, la chiesa è un gesto d’amore gratuito da parte di Dio, segno della sua presenza e benevolenza.
Dobbiamo anche noi avere rispetto della “Casa del Signore”, come Gesù ha chiesto ai suoi contemporanei (con il silenzio, l’abbigliamento, l’ordine ecc.).
Nella Chiesa ciascuno ha il suo posto e il suo compito, ma, ricorda Paolo, la santità di una persona non dipende dal compito che ha, ma da come lo adempie.
Può essere Santo il cristiano più sconosciuto, più del parroco, del vescovo, del Papa.
In tutte le immagini il protagonista è il Signore che accetta, per un atto d’amore gratuito, di farsi uno di noi, di venire ad abitare in mezzo a noi, e che ci ha chiamati a far parte della sua Chiesa.
Tra tutte le chiese la liturgia ci ricorda il Duomo, la chiesa cattedrale, detta così perché il vescovo ha lì la sua “cattedra”.
Cerchiamo sempre di fare attenzione alle parole del vescovo, alle sue indicazioni pastorali, perché egli è successore degli Apostoli.
Riportiamo l’omelia della Messa d’ingresso che mons. Mauro Barlassina, nuovo responsabile della Comunità Pastorale di Santa Teresa di Gesù Bambino, ha rivolto ai fedeli della città di Desio in occasione della festa patronale della Madonna del Rosario.
In questi giorni, entrando in Basilica e fermandoci qualche minuto per la preghiera, quasi spontaneamente siamo attratti dal volto della patrona della nostra Comunità Pastorale: Santa Teresina.
Anch’io ho osservato il ritratto che sta davanti ai nostri occhi e, pur conoscendo le fatiche e la lotta interiore vissuta da questa piccola grande donna, sono rimasto affascinato dallo sguardo puro e pacificante che traspare. Qual è il segreto che sta all’origine della confidenza assoluta di Teresina in Cristo Gesù? Qual è il segreto che sostiene il cammino della Comunità cristiana in questa città?
Rileggendo la pagina biblica di questa prima domenica di ottobre, è possibile individuare dove sta il segreto di una Chiesa che, pacificata, sa vivere e trasmettere fiducia e speranza anche in un tempo di complessità.
Il primo segreto è la centralità dell’ascolto della Parola di Dio che plasma il nostro cuore e lo rende capace di amare nella modalità di un amore che si dona. Come ci ricorda il nostro Arcivescovo, il Cristiano che ascolta e si nutre quotidianamente della Parola di Dio è colui che impara a “vivere di una vita ricevuta”. Santa Teresina, gradualmente, arriverà a vivere la confidenza totale nell’amore di Dio perché scoprirà che la sua vocazione è l’amore che si dona e che non cerca riscontri e conferme.
Il nostro concittadino Pio XI, nell’omelia per la canonizzazione di Teresina, dà un nome preciso a questo ascolto della Parola che genera Amore che si dona, quando afferma: “Oggi ci auguriamo che nei discepoli di Cristo si instauri un certo desiderio di praticare l’infanzia spirituale vissuta da Teresina, la quale consiste in questo: che tutto ciò che il fanciullo fa e pensa per immediatezza, anche noi lo facciamo per esercizio di virtù”.
Dal primo segreto ne scaturisce un secondo intimamente legato, perché ascoltare la Parola e coltivare una relazione quotidiana con Gesù e, attraverso Gesù, con ogni altra persona, non è semplicemente cercare di volersi bene o di andare d’accordo, ma “amarsi come Cristo ci ha amati”. È vivere nella relazione di un Amore che si dona.
A volte si obietta l’impossibilità di vivere tale Vangelo, mentre un altro nostro concittadino (don Luigi Giussani), ha più volte ricordato che: “non è realistico che l’uomo viva senza agognare (cercare) l’impossibile, senza questa apertura all’impossibile”.
E se questo vale per tutti, è anzitutto per noi preti, per i diaconi e le consacrate perché, come afferma don Tonino Bello: “Chi si alza dalla tavola dell’Eucaristia deve ‘deporre le vesti’. Le vesti del tornaconto, dell’interesse personale, per assumere la nudità della comunione.
Le vesti della ricchezza, del lusso, dello spreco, per indossare le trasparenze della modestia, della semplicità, della leggerezza”. Il messaggio che ci viene dalla Parola è limpido, coinvolgente e permette di individuare alcune priorità per il cammino comune alle nostre Parrocchie dentro la città:
siamo chiamati nel concreto a non agire da singoli ma in comunione, a scegliere di affrontare le sfide dell’annuncio insieme, a passare dall’io al noi;
siamo chiamati nel concreto a dare priorità all’ascolto della Parola che ci permette di entrare in dialogo con tutti e con ogni situazione umana, rimanendo nella verità di chi è radicato nell’Amore che si dona;
siamo chiamati a intercettare le domande della gente come Comunità cristiana, senza pregiudizi e preoccupazioni, intuendo che, cambiare alcune forme nella vita pastorale, non è rinunciare al Vangelo, ma vivere il Vangelo dentro la storia di oggi e continuare ad offrire la buona notizia in un tempo di profonde trasformazioni;
siamo chiamati a deporre le divisioni, ad abbandonare ogni forma di rivalità per lavorare insieme in un progetto comune, che è la gioia del Vangelo che ci fa uomini e donne di speranza.
Concludo con un’altra riflessione di don Tonino Bello: “Gareggiamo nello stimarci a vicenda. Portiamo il peso uni degli altri […] L’olio profumato della comunione ci faccia camminare insieme e ci raccolga a tavola insieme”.
Maria, Vergine del Rosario, Madre della fraternità degli apostoli, prega per noi e per tutta la Chiesa all’inizio del Sinodo, in comunione, partecipazione e missione.
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