Categoria: Pastorale giovanile

  • Promozione umana

    Promozione umana

    Gli adolescenti che frequentano il percorso di catechesi stanno affrontando il tema delle dipendenze; lunedì 11 marzo don Massimo Bellotti ha offerto la sua testimonianza in merito alle attività che svolge in aiuto ai tossicodipendenti nella comunità Promozione Umana. L’incontro, ricco di spunti, è stato in preparazione alla visita che verrà fatta in occasione del ritiro di quaresima del 17 marzo alla comunità nella sede di Siziano.

    Cos’è Promozione Umana?

    Promozione Umana è una comunità terapeutica che offre alle persone che soffrono di dipendenze la possibilità di riconoscere il proprio problema e trovare una soluzione.

    La Comunità è stata fondata negli anni ottanta da don Chino Pezzoli, sacerdote della Diocesi di Milano, Oggi la fondazione ha 13 centri operativi di cui 12 nella regione Lombardia e 1 in Sardegna; dal lunedì al sabato i centri fanno colloqui con persone di tutte le età, dai più giovani di 17 anni, fino ai più anziani con oltre 67 anni, e aiuta circa 300 persone tra uomini e donne.

    Cosa vuol dire usare sostanze?

    Nella vita quotidiana, ci racconta don Massimo, alcune volte il male sembra essere troppo grande per essere superato e così come il male anche il bene e ci si avvicina alle sostanze stupefacenti perché si crede di non riuscire a farcela.

    L’assunzione di sostanze in maniera frequente porta alla dipendenza, cioè alla necessità di assumerne e di non rimanere senza. Le sostanze di contro hanno un’azione debilitante per il corpo delle persone che ne fanno uso o ne abusano.

    Questo fenomeno è in crescita negli ultimi anni l’utilizzo di sostanze stupefacenti è infatti triplicato rispetto al periodo pre-pandemico.

    Chi sono gli utenti della comunità?

    Don Massimo racconta alcune esperienze di tossicodipendenti che ha incontrato in comunità e dei luoghi che ha visitato in cui “vivono”.
    La sostanza fa perdere a chi la utilizza la capacità di prendersi cura di chi sta attorno.
    M. e C. sono due giovani che hanno incominciato ad assumere sostanze stupefacenti quando si sono conosciuti. Ad un certo punto la ragazza rimane incinta e questa cosa, invece che migliorare la loro situazione la peggiora, il loro consumo di sostanze aumenta. Nasce così il loro figlio, in uno stato di astinenza; i due giovani entrano nella comunità per disintossicarsi, ma ormai il loro figlio è perduto, infatti è stato dato in adozione ad un’altra famiglia, in quanto i genitori ritenuti non in grado di poter badare a lui.
    La necessità della sostanza fa perdere ogni rispetto per sé stesso e per gli altri. Il bisogno spesso porta alla vendita del proprio corpo che diventa uno strumento di scambio per ottenere l’oggetto della dipendenza o quello di cui necessitano. Stupisce la storia di J., un tossicodipendente che viveva in strada, che riusciva a farsi la doccia vendendo sé stesso per accedere abusivamente ad uno spogliatoio. La dipendenza porta quindi non solo ad una sofferenza del corpo, ma anche del proprio spirito.

    Riacquistare la consapevolezza di sè

    Non sempre la comunità riesce ad offrire una soluzione per tutti, alcuni riescono a fare solo qualche giorno o qualche settimana.

    Chi riesce a superare la dipendenza riesce a riacquistare la consapevolezza che la propria vita è importante. Alcuni riescono a riallaciare rapporti che aveva perso, come L., che è riuscita a riavvicinarsi a suo figlio, che gli era stato tolto per l’uso di sostanze. Altri riescono dare una svolta alla propria vita, come S. e A. che si sono conosciuti e usciti dalla comunità hanno comprato casa e iniziato una nuova vita. Tanti ancora sono rimasti per aiutare la comunità e altre persone con gli stessi problemi.

    Alessio Malberti

  • TRA PRESENTE E FUTURO

    TRA PRESENTE E FUTURO

    Giovedì 2 febbraio all’oratorio BVI i membri dei consigli degli oratori insieme ad educatori e a coloro che svolgono un ruolo educativo hanno avuto un momento di confronto, con la partecipazione di don Stefano Guidi, direttore della FOM (Fondazione Oratori Milanesi) per dare uno sguardo al futuro degli oratori e dei giovani. Ripercorriamo qui in breve alcuni dei punti salienti trattati da don Stefano durante la serata.

    Da dove parte la nostra Comunità?

    Negli scorsi anni la nostra città ha incominciato un percorso di rinnovamento per quello che riguarda la Pastorale Giovanile. Con l’aiuto di Tonino, un pedagogista, è stato fatto un percorso prima di verifica e poi di elaborazione di una proposta per una nuova pastorale giovani.

    I giovani in letargo

    Don Stefano ha esordito citando l’arcivescovo Mario che ha parlato dei ragazzi come di persone che devono reagire di fronte ad un’ingiustizia data nel nostro tempo: nessuno ormai si fida più dei giovani. I giovani fanno parte di una generazione che “dorme”, devono invece risvegliarsi e riprendere speranza e fiducia.

    Che modello seguire?

    Gesù è il modello di vita per eccellenza, il suo modo di fare e di essere deve ispirare il comportamento di tutti i giorni, compreso quello dei giovani. Agli educatori è quindi dato il compito di vivere il Vangelo e di portarlo ai ragazzi a loro affidati. Gesù ci insegna tre componenti fondamentali ed imprescindibili: predicazione, comunione e cura; tutti e tre questi elementi devono essere egualmente presenti.

    Perchè fare Pastorale Giovanile?

    I giovani fanno parte della Comunità, ma perché fare un sottogruppo per loro? Non tutti nella comunità hanno gli stessi bisogni e le stesse esigenze. Dalla necessità di parlare ai giovani della fede in una maniera a loro comprensibile nasce la Pastorale Giovanile.

    E i nostri oratori?

    Fare pastorale giovanile non vuol dire togliere i giovani dagli oratori. L’oratorio è un ambiente ampio, che accoglie persone di età ed esigenze differenti con uno scopo educativo, tra questi anche i giovani. Ci deve pertanto essere un dialogo tra la pastorale giovanile e gli oratori, perché entrambi concorrono, in modi differenti all’educazione dei giovani. Ma allo stesso tempo i giovani non vivono solo l’oratorio, al contrario si trovano all’interno delle nostre città e spesso vivono gran parte della giornata al di fuori di esse. Fare pastorale giovanile vuol dire anche guardare alle esigenze dei giovani dentro e fuori l’oratorio.

    Come dobbiamo procedere?

    • Attraverso una regia, che con uno sguardo comune, sappia coordinare le attività dei giovani.
    • Lavoro di equipe cittadino, che sappia ragionare non solo sulle attività dell’oratorio ma anche dello sport, della scuola,… di tutti i luoghi che visitano i ragazzi.
    • Attraverso i Consigli degli Oratori, che esprimono la cura verso i ragazzi all’interno degli spazi oratoriani.
    • Attraverso una prospettiva missionaria, che ci permetta di guardare al bene anche di quei ragazzi che non credono.

    Quali sono i nodi fondamentali da tenere a mente?

    • Fede. Punto estremamente importante per la vita dei nostri ragazzi, siamo in una società dove credere in Dio è ritenuto inutile, in cui è normale non credere e così anche i nostri giovani rimangono indifferenti alla fede.
    • Identità. Nella vita di oggi ognuno ha diversi profili (social e non) ma qual è la vera identità dei nostri giovani? Dobbiamo aiutare i nostri ragazzi a diventare soggetti critici dentro una comunità e non rimanere soggetti isolati.
    • Comunità. Dobbiamo riuscire a creare un ambiente favorevole per far compiere ai ragazzi esperienze affettive vere. Un buono stato di salute della Comunità, dato soprattutto dal rapporto degli adulti, può essere di esempio per i giovani.

    Alessio Malberti

  • Alfabetizzazione, gestione, trasformazione.

    Alfabetizzazione, gestione, trasformazione.

    Presentiamo il secondo appuntamento di “Tre passi di danza” con il quale la Dottoressa Stefania Cagliani ci aiuta a mettere a fuoco gli atteggiamenti della crescita educativa nelle sue varie fasi.

    Michele frequenta la Scuola dell’infanzia. La mamma è andata a prenderlo nel pomeriggio e gli ha anticipato che potranno godersi una super merenda con yogurt e biscotti. Michele si mostra felice della proposta: adora quei momenti speciali con la sua mamma…
    Dopo la merenda, Michele si dedica al suo gioco preferito: le costruzioni.
    In men che non si dica realizza scenari per le sue storie con gli animali. Pochi minuti di paradiso.
    Poi arriva la sorella, di 2 anni. Cammina accanto alla costruzione di Michele e – chissà se con intenzione o per sbaglio – la butta a terra: Michele urla, lei scappa, lui la rincorre, la raggiunge e la spinge, lei cade e piange, lui se ne torna su tappeto con le sue costruzioni.

    Eccole: sono le emozioni.
    Apparentemente grandi disturbatrici del nostro equilibrio e della nostra serenità, sono in realtà una straordinaria energia che ci fa avvicinare o allontanare da una situazione, a seconda che il nostro cervello la valuti piacevole o sgradita.
    Le emozioni consentono al bambino di raccontare il proprio mondo interiore: è la gioia di fronte alla visita dei nonni, è la rabbia scaturita dal compagno che strappa dalle sue mani un gioco, è la tristezza del non essere preso sul serio, è il disgusto di fronte ai piselli, è la sorpresa di una visita inattesa, è la paura dello sconosciuto a 9 mesi, dei ragni a 3 anni e del buio a 5 anni…
    Possiamo pensare che ogni bambino abbia le sue specifiche emozioni, in realtà ci sono alcune emozioni primarie che sono universalmente presenti già in ogni neonato (gioia, rabbia, tristezza, disgusto, paura, sorpresa). Certamente ciò che contraddistingue e rende unico il bambino è il suo specifico modo di esprimere le sue emozioni.

    Ricordiamo due concetti fondamentali:
    ➊ Non esistono emozioni positive ed emozioni negative: ci sono piuttosto emozioni adeguate o non adeguate al contesto (sarebbe adeguato il comportamento di Michele che, di fronte alla frustrazione della distruzione del suo gioco, si dimostrasse pieno di gioia?)
    ➋ Nessuna emozione va negata, derisa, repressa, poiché ciascuna ha una sua ragione d’essere, anche quando non ci è chiara nell’immediato (per noi adulti il gioco di Michele non è una questione così rilevante, ma per lui in quel momento è tutto)
    Possiamo affermare che una intelligenza emotiva stabile e strutturale si sviluppa grazie a tre passi:
    ● 1 Alfabetizzazione: è quel processo che porta a conoscere le emozioni, a saper dare loro un nome ben preciso. L’alfabetizzazione emotiva si impara lentamente e occorre dedicarle attenzione e cura, iniziando sin dall’infanzia.
    (“Michele, mi sembra che tu sia davvero molto arrabbiato”)

    ● 2 Gestione: le emozioni spingono per manifestarsi. È bene permettere a questa energia di rivelarsi affinché non si incancrenisca all’interno della persona e le impedisca di dare credito a ciò che vive, crede e sente vero. Certo, la manifestazione deve essere fatta in un modo socialmente accettabile, che mai lede la dignità dell’altro o fa del male alla relazione (“Michele, anche quando sei molto arrabbiato non ti è permesso spingere tua sorella. Devi proprio trovare un altro modo per farle capire che sei molto arrabbiato”)

    ● 3 Trasformazione: le emozioni possono rappresentare una opportunità straordinaria per la crescita. Se, sin dall’infanzia, si allena il bambino a manifestarle in modo costruttivo, si arriverà a riconoscere che anche le emozioni più difficili possono trasformarsi in una esperienza utile alla crescita
    (Michele imparerà nel tempo che è bene talvolta usare tutta l’energia dell’emozione rabbia per lottare contro un’ingiustizia).

    Sono tre tra i passi più importanti del nostro cammino di crescita.
    Dott.ssa Stefania Cagliani
    pedagogista

  • Servire per amore

    Servire per amore

    Giornata per gli adolescenti

    Domenica 10 dicembre gli adolescenti della città hanno partecipato ad un’uscita nella città di Como alla scoperta di due realtà, Eskenosen e Casa Nazareth, che sono al servizio di chi ha più bisogno.

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  • “La vita è vocazione ad amare”

    “La vita è vocazione ad amare”

    Tre sere di esercizi spirituali per i giovani della Diocesi di Milano

    Lunedì 27, martedì 28 e mercoledì 29 novembre si sono svolti a Sovico gli esercizi spirituali per i 18/19enni e giovani della Diocesi di Milano a cui hanno partecipato anche i ragazzi della nostra Comunità.

    Tema delle tre serate è la chiamata di ciascuno di noi ad amare, da cui il titolo “La vita è vocazione ad amare”. Durante la prima sera i ragazzi hanno ascoltato la testimonianza di una coppia di giovani sposi, Roberto e Angela, che hanno raccontato della loro esperienza di vita come coppia e delle loro relazioni.
    La seconda e la terza sera i ragazzi sono stati accompagnati nella riflessione dall’arcivescovo Mario Delpini. Nella seconda sera il vescovo ha aiutato i giovani a considerare le cose che fermano e ostacolano le scelte della vita e sulla vocazione di ogni cristiano. Nell’ultima sera invece la riflessione è stata sullo sguardo di Gesù verso i peccatori e l’invito a prendere iniziativa in risposta alla chiamata.

    Alessio Malberti

  • VOCAZIONE AD AMARE:L’EDUCAZIONE AFFETTIVA

    VOCAZIONE AD AMARE:
    L’EDUCAZIONE AFFETTIVA

    In questi giorni, oltre ai fatti tragici che sono accaduti, mi rattrista ciò di cui non si parla.

    Tutte le parole che ho ascoltato si possono riassumere in due questioni: come difendere meglio chi è in
    pericolo e come affrontare, finalmente, il tema dell’educazione.

    Mi pare però che la questione dell’educazione venga ridotta al rispetto. E che questo venga inteso come: il cosa non si deve fare per evitare di prevaricare la libertà dell’altro. Di comportamenti positivi non se ne parla. L’attuale cultura dominante, anche se non vuole importi nulla, ti spinge in due direzioni: devi continuare a cercare il tuo appagamento; non devi ledere la libertà degli altri.Riconoscete la schizofrenia? E lo smarrimento che essa genera in chi cresce in questa società? Notate il grande assente? È l’identificazione di uno stile buono e propositivo col quale possiamo rapportarci con gli altri, è l’amore.

    Gesù, Sant’Ignazio di Loyola e Don Bosco (per citarne solo tre) ci sono testimoni che non è sufficiente
    scacciare il Nemico (il diavolo) ed evitare le azioni negative per non arrivare a compiere il male.

    Nel vuoto che si genera dobbiamo metterci il bene, altrimenti il male ritorna più forte di prima. Nella nostra società l’affermazione di cosa è bene e di cosa si possa fare di buono agli altri non la vuole sentire nessuno, non è economicamente conveniente, non è culturalmente accettata.

    Io solo decido cosa mi rende felice: nessuno mi può dire cosa devo fare e come mi devo comportare con gli altri, tanto meno Dio o ancor peggio la Chiesa. A casa mia comando io, neanche Dio ha più diritto di parola. Non ti curare degli altri, pensa a te stesso, prevali sugli altri, pretendi quello che vuoi e quando vuoi. Non devi esercitare la pazienza. Non devi fare fatica e non devi affrontare le frustrazioni. Gli
    altri se non sono al servizio del tuo ego sono da combattere. Non c’è più spazio per l’altro, né per il suo
    bene. Di conseguenza non impariamo più a riconoscere l’altro come persona, a volergli bene anche quando costa, ad accettare e a elaborare le frustrazioni che nascono da un fallimento o da un “no” ricevuto.

    Per fortuna, anche se siamo in una cultura che spinge all’individualismo, Dio e il nostro cuore ci dicono
    che noi siamo fatti per amare ed essere amati. Continuando a rifiutare Dio rifiutiamo la verità della nostra
    vita. Dio desidera la nostra felicità, ce ne indica la strada, e ci dà la forza per viverla.

    L’educazione affettiva di cui parla il nostro vescovo Mario è l’educazione alla vita. Essa ci aiuta a
    comprendere e a vivere la vita come vocazione: la vita è chiamata ad amare. E cosa significa amare ce lo
    insegna Gesù: “non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”; e ce lo insegna “perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.

    Per imparare a vivere amando abbiamo innanzitutto bisogno di essere amati, e poi di qualcuno che
    ci aiuti a capire come ridonare l’amore che abbiamo ricevuto o che avremmo avuto bisogno di ricevere.

    Quello che proponiamo oggi ai più giovani è molto lontano da una educazione affettiva perché è molto
    lontano da ciò che ci permette di realizzare la nostra vocazione all’amare.

    L’educazione affettiva è il cammino che ci permette di riconoscere i nostri affetti, i nostri sentimenti,
    le nostre pulsioni, i nostri desideri e di volgerli tutti all’amore. È un cammino che ci rende sinceri, veri e
    liberi, soprattutto da noi stessi, per diventare capaci di amare in ogni nostra relazione nella verità e nella
    libertà.

    don Pietro

  • Cittadinanza attiva per 18/19enni

    Cittadinanza attiva per 18/19enni

    Un modo per mettersi al servizio della città: inizia con una pulizia del parco e continuerà tutto l’anno.

    Il gruppo dei 18/19enni della comunità pastorale sta mettendo in pratica l’ideale di cittadinanza attiva nel corso del loro anno di formazione sotto la guida di don Pietro Cibra, responsabile dell’equipe di pastorale giovanile. Quest’anno, il gruppo educatori ha sviluppato nuove esperienze al di fuori degli spazi dell’oratorio, incoraggiando i giovani a partecipare attivamente alla vita della città. Un esempio tangibile di questa iniziativa è stata la partecipazione di una quindicina di ragazzi con i loro educatori alla pulizia
    del parco nella zona dei Santi Pietro e Paolo, avvenuta la mattina di domenica 22 ottobre.

    Arianna Mingotto, educatrice del gruppo, ha condiviso la sua soddisfazione riguardo all’attività, sottolineando come “i ragazzi hanno accolto l’attività con entusiasmo, apprezzando l’opportunità di pensare e agire in modo attivo, sviluppando un senso di umiltà”. Ha aggiunto che “L’iniziativa ha contribuito a sensibilizzare i giovani sull’importanza della cura del bene comune, un aspetto spesso trascurato”. Chiara Resini, un’altra educatrice coinvolta, ha evidenziato l’impegno e la dedizione dei partecipanti, anche se in numero limitato: “Mettersi in gioco per la loro comunità ha messo in luce
    la loro voglia di fare del bene e speriamo di replicare l’esperienza in altre zone di Desio, come il parco Tittoni”.

    Franco Castoldi, responsabile ed educatore, ha espresso gratitudine al Comune di Desio e all’ufficio ecologia per il loro sostegno all’iniziativa. La nuova ausiliaria di San Pio X, Liliana Rivolta, ha partecipato all’evento.

    A fine mese, il gruppo organizzerà un’attività presso La Nostra Famiglia di Bosisio Parini, coinvolgendo persone con disabilità. Nel mese di dicembre, è previsto un incontro sulla legalità in collaborazione con l’associazione Libera.