Categoria: Pastorale giovanile

  • PELLEGRINAGGIO ASSISI – PREADO 2

    PELLEGRINAGGIO ASSISI – PREADO 2

    “Noi abbiamo il desiderio di essere amati per sempre”. Così suor Chiara Elisabetta presso il monastero di S.Quirico ad Assisi spiegava la sua vocazione e il senso della clausura. Ad ascoltarla un gruppo di una settantina di preadolescenti di seconda media insieme ai loro educatori, accompagnati da Don Pietro e Liliana. Il pellegrinaggio alla città della pace è iniziato la mattina di Venerdì 12 Aprile. La partenza, come sempre, da piazza mercato. Il primo giorno è stato caratterizzato dalla salita all’Eremo delle Carceri dove i ragazzi hanno potuto vedere con i loro occhi i luoghi dove S.Francesco si ritirava per pregare insieme ai suoi compagni. Carcer infatti deriva dal latino e significa luogo solitario/appartato. A spiegarlo un frate francescano che ci ha introdotto alla sacralità del luogo.

    Il pomeriggio, dopo una “tortuosa” discesa verso il centro di Asissi, siamo stati guidati alla tomba di Carlo Acutis presso la Chiesa di Santa Maria Maggiore.

    Il secondo giorno è stato il giorno della ormai tradizionale “caccia al tesoro” per le strade della città sulle orme di S.Francesco e Santa Chiara, durante la quale i ragazzi hanno avuto modo di approfondire alcuni aspetti delle vite di entrambi.

    La celebrazione eucaristica della Domenica nella cappella di Frate Elia ha infine chiuso i tre giorni di pellegrinaggio. Ma come dice il celebre canto dell’Alleluja intonato proprio durante la messa: “La nostra festa non deve finire perché la festa siamo noi che camminiamo verso Te”. Alleluja e buon cammino a tutti (ancora).

  • Preadolescenti a Roma per dire “IO CREDO”

    Preadolescenti a Roma per dire “IO CREDO”

    Dal 1 al 3 aprile scorso 56 ragazzi ed educatori di terza media hanno compiuto il loro pellegrinaggio a Roma in vista della Professione di Fede. Un appuntamento che ogni anno coinvolge oltre 5.000 ragazzi di tutta la Diocesi che si ritrovano con il Papa a pronunciare con gioia il loro “Credo” davanti alla Chiesa riunita in festa. Ecco l’esperienza di un giovane educatore che ha accompagnato i preadolescenti quest’anno.

    “La mia prima esperienza a Roma fu nel 2018, quando il ragazzo di terza media ero io. Sei anni dopo e negli stessi giorni, io e i miei compagni educatori abbiamo ripetuto la stessa esperienza, che però si è rivelata essere completamente diversa. Questa volta i responsabili eravamo noi. Se alla partenza l’entusiasmo era alto, al ritorno era quadruplicato. Abbiamo avuto la possibilità di passare tre giorni con un gruppo di stupendi ragazzi al nostro fianco, i nostri “bambini” (come amorevolmente li chiamavamo), che per gli ultimi tre anni abbiamo visto un’ora alla settimana e che adesso erano sempre con noi. Nonostante la pioggia e la fatica, sono sempre riusciti a strapparci un sorriso con le loro battute. Oltre ai mille sorrisi e alle risate, però, uno dei sentimenti che ci rimane più a cuore è la preoccupazione: l’amore per i ragazzi che avevamo con noi che ci spingeva a preoccuparci della loro sicurezza anche quando erano a due passi da noi, un po’ come dei genitori alle prime armi.

    Quando si inizia il percorso di educatori si prova un sentimento di paura, di non essere all’altezza di trasmettere ai preadolescenti a noi affidati tutti i messaggi e gli insegnamenti che i nostri educatori hanno passato a noi.

    Questo pellegrinaggio è stata la conferma che ciascuno di noi è riuscito a lasciare qualcosa a questi ragazzi, e che loro hanno lasciato molto anche a noi. Non cambierei una virgola di quello che è successo durante questo viaggio, dai racconti simpatici davanti ai tanti monumenti, agli ombrelli che si piegavano sotto la pioggia, perché in ognuno di questi momenti non si era mai soli.

    Siamo stati nelle prime file sia durante la celebrazione della messa con il Vescovo Delpini che all’udienza del Papa, che, nonostante la stanchezza per la sveglia alle 5, hanno avuto un impatto importante su tutti noi, educatori e ragazzi! È un pellegrinaggio che merita di essere vissuto da entrambi i punti di vista, spero che abbia lasciato ai ragazzi tanto quando ha lasciato a noi edu! Un saluto a tutti!”.

    Paolo Colombo

  • Promozione umana

    Promozione umana

    Gli adolescenti che frequentano il percorso di catechesi stanno affrontando il tema delle dipendenze; lunedì 11 marzo don Massimo Bellotti ha offerto la sua testimonianza in merito alle attività che svolge in aiuto ai tossicodipendenti nella comunità Promozione Umana. L’incontro, ricco di spunti, è stato in preparazione alla visita che verrà fatta in occasione del ritiro di quaresima del 17 marzo alla comunità nella sede di Siziano.

    Cos’è Promozione Umana?

    Promozione Umana è una comunità terapeutica che offre alle persone che soffrono di dipendenze la possibilità di riconoscere il proprio problema e trovare una soluzione.

    La Comunità è stata fondata negli anni ottanta da don Chino Pezzoli, sacerdote della Diocesi di Milano, Oggi la fondazione ha 13 centri operativi di cui 12 nella regione Lombardia e 1 in Sardegna; dal lunedì al sabato i centri fanno colloqui con persone di tutte le età, dai più giovani di 17 anni, fino ai più anziani con oltre 67 anni, e aiuta circa 300 persone tra uomini e donne.

    Cosa vuol dire usare sostanze?

    Nella vita quotidiana, ci racconta don Massimo, alcune volte il male sembra essere troppo grande per essere superato e così come il male anche il bene e ci si avvicina alle sostanze stupefacenti perché si crede di non riuscire a farcela.

    L’assunzione di sostanze in maniera frequente porta alla dipendenza, cioè alla necessità di assumerne e di non rimanere senza. Le sostanze di contro hanno un’azione debilitante per il corpo delle persone che ne fanno uso o ne abusano.

    Questo fenomeno è in crescita negli ultimi anni l’utilizzo di sostanze stupefacenti è infatti triplicato rispetto al periodo pre-pandemico.

    Chi sono gli utenti della comunità?

    Don Massimo racconta alcune esperienze di tossicodipendenti che ha incontrato in comunità e dei luoghi che ha visitato in cui “vivono”.
    La sostanza fa perdere a chi la utilizza la capacità di prendersi cura di chi sta attorno.
    M. e C. sono due giovani che hanno incominciato ad assumere sostanze stupefacenti quando si sono conosciuti. Ad un certo punto la ragazza rimane incinta e questa cosa, invece che migliorare la loro situazione la peggiora, il loro consumo di sostanze aumenta. Nasce così il loro figlio, in uno stato di astinenza; i due giovani entrano nella comunità per disintossicarsi, ma ormai il loro figlio è perduto, infatti è stato dato in adozione ad un’altra famiglia, in quanto i genitori ritenuti non in grado di poter badare a lui.
    La necessità della sostanza fa perdere ogni rispetto per sé stesso e per gli altri. Il bisogno spesso porta alla vendita del proprio corpo che diventa uno strumento di scambio per ottenere l’oggetto della dipendenza o quello di cui necessitano. Stupisce la storia di J., un tossicodipendente che viveva in strada, che riusciva a farsi la doccia vendendo sé stesso per accedere abusivamente ad uno spogliatoio. La dipendenza porta quindi non solo ad una sofferenza del corpo, ma anche del proprio spirito.

    Riacquistare la consapevolezza di sè

    Non sempre la comunità riesce ad offrire una soluzione per tutti, alcuni riescono a fare solo qualche giorno o qualche settimana.

    Chi riesce a superare la dipendenza riesce a riacquistare la consapevolezza che la propria vita è importante. Alcuni riescono a riallaciare rapporti che aveva perso, come L., che è riuscita a riavvicinarsi a suo figlio, che gli era stato tolto per l’uso di sostanze. Altri riescono dare una svolta alla propria vita, come S. e A. che si sono conosciuti e usciti dalla comunità hanno comprato casa e iniziato una nuova vita. Tanti ancora sono rimasti per aiutare la comunità e altre persone con gli stessi problemi.

    Alessio Malberti

  • TRA PRESENTE E FUTURO

    TRA PRESENTE E FUTURO

    Giovedì 2 febbraio all’oratorio BVI i membri dei consigli degli oratori insieme ad educatori e a coloro che svolgono un ruolo educativo hanno avuto un momento di confronto, con la partecipazione di don Stefano Guidi, direttore della FOM (Fondazione Oratori Milanesi) per dare uno sguardo al futuro degli oratori e dei giovani. Ripercorriamo qui in breve alcuni dei punti salienti trattati da don Stefano durante la serata.

    Da dove parte la nostra Comunità?

    Negli scorsi anni la nostra città ha incominciato un percorso di rinnovamento per quello che riguarda la Pastorale Giovanile. Con l’aiuto di Tonino, un pedagogista, è stato fatto un percorso prima di verifica e poi di elaborazione di una proposta per una nuova pastorale giovani.

    I giovani in letargo

    Don Stefano ha esordito citando l’arcivescovo Mario che ha parlato dei ragazzi come di persone che devono reagire di fronte ad un’ingiustizia data nel nostro tempo: nessuno ormai si fida più dei giovani. I giovani fanno parte di una generazione che “dorme”, devono invece risvegliarsi e riprendere speranza e fiducia.

    Che modello seguire?

    Gesù è il modello di vita per eccellenza, il suo modo di fare e di essere deve ispirare il comportamento di tutti i giorni, compreso quello dei giovani. Agli educatori è quindi dato il compito di vivere il Vangelo e di portarlo ai ragazzi a loro affidati. Gesù ci insegna tre componenti fondamentali ed imprescindibili: predicazione, comunione e cura; tutti e tre questi elementi devono essere egualmente presenti.

    Perchè fare Pastorale Giovanile?

    I giovani fanno parte della Comunità, ma perché fare un sottogruppo per loro? Non tutti nella comunità hanno gli stessi bisogni e le stesse esigenze. Dalla necessità di parlare ai giovani della fede in una maniera a loro comprensibile nasce la Pastorale Giovanile.

    E i nostri oratori?

    Fare pastorale giovanile non vuol dire togliere i giovani dagli oratori. L’oratorio è un ambiente ampio, che accoglie persone di età ed esigenze differenti con uno scopo educativo, tra questi anche i giovani. Ci deve pertanto essere un dialogo tra la pastorale giovanile e gli oratori, perché entrambi concorrono, in modi differenti all’educazione dei giovani. Ma allo stesso tempo i giovani non vivono solo l’oratorio, al contrario si trovano all’interno delle nostre città e spesso vivono gran parte della giornata al di fuori di esse. Fare pastorale giovanile vuol dire anche guardare alle esigenze dei giovani dentro e fuori l’oratorio.

    Come dobbiamo procedere?

    • Attraverso una regia, che con uno sguardo comune, sappia coordinare le attività dei giovani.
    • Lavoro di equipe cittadino, che sappia ragionare non solo sulle attività dell’oratorio ma anche dello sport, della scuola,… di tutti i luoghi che visitano i ragazzi.
    • Attraverso i Consigli degli Oratori, che esprimono la cura verso i ragazzi all’interno degli spazi oratoriani.
    • Attraverso una prospettiva missionaria, che ci permetta di guardare al bene anche di quei ragazzi che non credono.

    Quali sono i nodi fondamentali da tenere a mente?

    • Fede. Punto estremamente importante per la vita dei nostri ragazzi, siamo in una società dove credere in Dio è ritenuto inutile, in cui è normale non credere e così anche i nostri giovani rimangono indifferenti alla fede.
    • Identità. Nella vita di oggi ognuno ha diversi profili (social e non) ma qual è la vera identità dei nostri giovani? Dobbiamo aiutare i nostri ragazzi a diventare soggetti critici dentro una comunità e non rimanere soggetti isolati.
    • Comunità. Dobbiamo riuscire a creare un ambiente favorevole per far compiere ai ragazzi esperienze affettive vere. Un buono stato di salute della Comunità, dato soprattutto dal rapporto degli adulti, può essere di esempio per i giovani.

    Alessio Malberti

  • Alfabetizzazione, gestione, trasformazione.

    Alfabetizzazione, gestione, trasformazione.

    Presentiamo il secondo appuntamento di “Tre passi di danza” con il quale la Dottoressa Stefania Cagliani ci aiuta a mettere a fuoco gli atteggiamenti della crescita educativa nelle sue varie fasi.

    Michele frequenta la Scuola dell’infanzia. La mamma è andata a prenderlo nel pomeriggio e gli ha anticipato che potranno godersi una super merenda con yogurt e biscotti. Michele si mostra felice della proposta: adora quei momenti speciali con la sua mamma…
    Dopo la merenda, Michele si dedica al suo gioco preferito: le costruzioni.
    In men che non si dica realizza scenari per le sue storie con gli animali. Pochi minuti di paradiso.
    Poi arriva la sorella, di 2 anni. Cammina accanto alla costruzione di Michele e – chissà se con intenzione o per sbaglio – la butta a terra: Michele urla, lei scappa, lui la rincorre, la raggiunge e la spinge, lei cade e piange, lui se ne torna su tappeto con le sue costruzioni.

    Eccole: sono le emozioni.
    Apparentemente grandi disturbatrici del nostro equilibrio e della nostra serenità, sono in realtà una straordinaria energia che ci fa avvicinare o allontanare da una situazione, a seconda che il nostro cervello la valuti piacevole o sgradita.
    Le emozioni consentono al bambino di raccontare il proprio mondo interiore: è la gioia di fronte alla visita dei nonni, è la rabbia scaturita dal compagno che strappa dalle sue mani un gioco, è la tristezza del non essere preso sul serio, è il disgusto di fronte ai piselli, è la sorpresa di una visita inattesa, è la paura dello sconosciuto a 9 mesi, dei ragni a 3 anni e del buio a 5 anni…
    Possiamo pensare che ogni bambino abbia le sue specifiche emozioni, in realtà ci sono alcune emozioni primarie che sono universalmente presenti già in ogni neonato (gioia, rabbia, tristezza, disgusto, paura, sorpresa). Certamente ciò che contraddistingue e rende unico il bambino è il suo specifico modo di esprimere le sue emozioni.

    Ricordiamo due concetti fondamentali:
    ➊ Non esistono emozioni positive ed emozioni negative: ci sono piuttosto emozioni adeguate o non adeguate al contesto (sarebbe adeguato il comportamento di Michele che, di fronte alla frustrazione della distruzione del suo gioco, si dimostrasse pieno di gioia?)
    ➋ Nessuna emozione va negata, derisa, repressa, poiché ciascuna ha una sua ragione d’essere, anche quando non ci è chiara nell’immediato (per noi adulti il gioco di Michele non è una questione così rilevante, ma per lui in quel momento è tutto)
    Possiamo affermare che una intelligenza emotiva stabile e strutturale si sviluppa grazie a tre passi:
    ● 1 Alfabetizzazione: è quel processo che porta a conoscere le emozioni, a saper dare loro un nome ben preciso. L’alfabetizzazione emotiva si impara lentamente e occorre dedicarle attenzione e cura, iniziando sin dall’infanzia.
    (“Michele, mi sembra che tu sia davvero molto arrabbiato”)

    ● 2 Gestione: le emozioni spingono per manifestarsi. È bene permettere a questa energia di rivelarsi affinché non si incancrenisca all’interno della persona e le impedisca di dare credito a ciò che vive, crede e sente vero. Certo, la manifestazione deve essere fatta in un modo socialmente accettabile, che mai lede la dignità dell’altro o fa del male alla relazione (“Michele, anche quando sei molto arrabbiato non ti è permesso spingere tua sorella. Devi proprio trovare un altro modo per farle capire che sei molto arrabbiato”)

    ● 3 Trasformazione: le emozioni possono rappresentare una opportunità straordinaria per la crescita. Se, sin dall’infanzia, si allena il bambino a manifestarle in modo costruttivo, si arriverà a riconoscere che anche le emozioni più difficili possono trasformarsi in una esperienza utile alla crescita
    (Michele imparerà nel tempo che è bene talvolta usare tutta l’energia dell’emozione rabbia per lottare contro un’ingiustizia).

    Sono tre tra i passi più importanti del nostro cammino di crescita.
    Dott.ssa Stefania Cagliani
    pedagogista

  • Servire per amore

    Servire per amore

    Giornata per gli adolescenti

    Domenica 10 dicembre gli adolescenti della città hanno partecipato ad un’uscita nella città di Como alla scoperta di due realtà, Eskenosen e Casa Nazareth, che sono al servizio di chi ha più bisogno.

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  • “La vita è vocazione ad amare”

    “La vita è vocazione ad amare”

    Tre sere di esercizi spirituali per i giovani della Diocesi di Milano

    Lunedì 27, martedì 28 e mercoledì 29 novembre si sono svolti a Sovico gli esercizi spirituali per i 18/19enni e giovani della Diocesi di Milano a cui hanno partecipato anche i ragazzi della nostra Comunità.

    Tema delle tre serate è la chiamata di ciascuno di noi ad amare, da cui il titolo “La vita è vocazione ad amare”. Durante la prima sera i ragazzi hanno ascoltato la testimonianza di una coppia di giovani sposi, Roberto e Angela, che hanno raccontato della loro esperienza di vita come coppia e delle loro relazioni.
    La seconda e la terza sera i ragazzi sono stati accompagnati nella riflessione dall’arcivescovo Mario Delpini. Nella seconda sera il vescovo ha aiutato i giovani a considerare le cose che fermano e ostacolano le scelte della vita e sulla vocazione di ogni cristiano. Nell’ultima sera invece la riflessione è stata sullo sguardo di Gesù verso i peccatori e l’invito a prendere iniziativa in risposta alla chiamata.

    Alessio Malberti