Categoria: Tra arte e fede

  • Lo stupore della Bellezza

    Lo stupore della Bellezza

    RICORDI E SPUNTI DI RIFLESSIONE PER UNA MUSICA SACRA

    Novembre è il mese dei ricordi. Da bambino era per andare alla Messa del Cimitero delle ore 8.00, in un clima freddo (erano gli anni sessanta), per cantare i brani della liturgia dei defunti. Ricordo il canto all’ingresso. “L’anima mia ha sete del Dio vivente, quando vedrò il suo volto?” E poi il versetto del salmo 42 che recita “la cerva anela”. Il verbo anelare per un bambino di sette anni aveva un significato oscuro, sconosciuto. Per me si trattava della cerva di nome Anela, un nome strano, ma si sa, ai tempi di Gesù questo era possibile, e la cosa si complicava ancora di più nel secondo verso dove si ritrova l’anima anela a Te, o Dio. Conflitti di identità!

    Tutto questo fa sorridere, ma il problema del rapporto tra testo e musica è evidente. La proposta che il Coro Città di Desio fa per sabato 11 novembre in Basilica rimette tutto in ordine: testo, musica, pensiero. Il Requiem op. 9 di M. Duruflè vuole dare uno spunto di riflessione nel ricordo di chi non è più tra noi, ma che rimane vivo nei nostri pensieri.

    Ecco il commento al programma.

    Il Novecento sacro francese è caratterizzato da un linguaggio musicale di rarefazioni armoniche e timbriche che si rifanno alla modalità medievale. Duruflé con Choral varié sur le Veni Creator op. 4 (1930) evidenzia come l’organo, strumento musicale per i francesi determinante per la musica sacra, possa amalgamare il linguaggio antico con la nuova sensibilità musicale del Novecento. Complessità compositiva ed esecutiva dei suoi lavori vanno in conflitto con la semplicità disarmante dell’ultima
    opera pubblicata nel 1977 Padre nostro a 4 voci, dedicato a Marie-Madeleine Duruflé sua moglie. Un mottetto di rara bellezza e di raffinata semplicità che sottolinea il gusto e l’eleganza di un pensiero che tocca l’anima.

    La sua opera più famosa, Il Requiem op. 9, dedicato alla memoria del padre (1947, poi ripreso in versione orchestrale nel 1961) è un capolavoro di bellezza. Il recupero di temi gregoriani dona a tutta l’opera coesione e una forza spirituale che si avverte sin dall’Introito. Duruflé utilizza il canto gregoriano per rileggerlo in una forma moderna, mensuralizzando e armonizzando ciò che in origine era la classica monodia medievale.

    Duruflè

    L’organo è strumento che accompagna e integra il canto con un linguaggio etereo di rara fattura che ben si amalgama con il disegno armonico e melodico delle voci del coro. Il Kyrie è pensato come una rilettura
    della grande scuola polifonica rinascimentale in contrasto con il Domine Jesu Christe dal colore scuro e dallo sfolgorante Libera eseguito dal coro con dinamiche decise e forti. Il Sanctus è un preludio, un’attesa al luminoso Hosanna.

    Pagina sublime il Pie Jesu che ricorda atteggiamenti quasi impressionisti. Così come l’Agnus Dei contemplativo e rasserenante confluisce nella contemplazione del Lux aeterna, il brano successivo riprende la supplica ostinata del Libera me che precede il Dies illa sempre in fortissimo. Ma in chiusura di questa opera si percepisce la serenità dell’ultimo brano, In Paradisum che porta l’ascoltatore in una dimensione di estasi e di serenità, originata dalle armonie al limite dell’atonalismo con i timbri dell’organo vaghi e quasi indefiniti. Un vero capolavoro.

    Enrico Balestrieri

  • Santa Maria Nascente a Sabbioncello

    Santa Maria Nascente a Sabbioncello

    Seraficamente adagiata sull’altura di Sabbioncello, la chiesa dedicata a santa Maria Nascente, sede dal 1540 del convento dei Frati Minori Francescani, domina la città di Merate, a un passo dal tranquillo lago di Sartirana.

    Di fattura cinquecentesca, la chiesa presenta le linee classiche del gotico lombardo. La stradina che sale al convento è costellata di cappelle settecentesche, nelle quali furono collocati, una cinquantina d’anni fa, dei grandi bassorilievi in cotto raffiguranti le stazioni della Via Crucis. All’interno l’altare è dominato da una statua lignea dell’Immacolata risalente al 1741. Ai lati preziosi armadi a muro, ospitanti reliquie di santi. Dietro un coro con pregevoli stalli di ignoto autore, risalenti alla fine del Cinquecento, sovrastato sulla volta da vele decorate raffiguranti gli evangelisti e alcuni dottori della Chiesa. Tra le cappelle tutte
    poste su lato sinistro, è degna di rilevo quella del Crocifisso, nella quale spiccano preziosi affreschi eseguiti nel 1593 dal Fiammenghino . Al centro della cappella un Crocefisso, di scuola Secentesca, già venerato dal card. Federico Borromeo.

    In un’altra cappella è custodito il saio di san Giovanni da Capestrano. La parete destra della chiesa è invece un florilegio di dipinti rinascimentali, pensati come ex-voto, offerti da famiglie nobili del tempo. Interessante il chiostro del convento che conserva frammenti di iscrizioni di epoca romana, nel quale si avverte un’atmosfera di serenità che invita alla meditazione.

  • IL SANTISSIMO NOME DI MARIA

    IL SANTISSIMO NOME DI MARIA

    IL SANTISSIMO NOME DI MARIA
    Invocato come protettrice dai cristiani

    Il 12 settembre è la festa del nome di Maria, Madre di Gesù.

    La tradizione ci indica il motivo per cui festeggiamo il nome di colei che permise l’incarnazione di nostro Signore. In origine, nel XVI secolo la data della festa era il 15 settembre, otto giorni dopo la data della nascita. Questo a rendere evidente come la vita di Maria e di suo figlio Gesù siano direttamente collegate e unite nel cammino della salvezza. Come per Gesù nel vangelo viene detto : “Quando furono compiuti gli otto giorni dopo i quali egli doveva essere circonciso, gli fu posto nome Gesù” (Lc 2,21) secondo il rito ebraico. Anche noi oggi, nel rito Romano, il primo Gennaio (otto giorni dopo la nascita) da 2000 anni, celebriamo il santissimo nome di Gesù. Così anche per sua Madre viene festeggiato allo stesso modo il nome con cui viene presentata a Dio. Nella corso della storia della Chiesa per diversi motivi verrà poi spostata la data della festa liturgica, fino ad essere nuovamente fissata definitivamente da Giovanni Paolo II, il 12 Settembre come era stata fissata nel 1683, dopo che nella battaglia di Vienna l’esercito
    cristiano alla guida del re di Polonia Giovanni III Sobieski, ponendo su tutti i propri stendardi l’immagine di Maria, pur essendo grandemente inferiore come numero rispetto all’esercito turco, lo sconfisse mettendolo in ritirata. Fu allora che Papa Innocenzo XI fissò per la prima volta in quel giorno la data della festa del nome di Maria (Myriam in lingua ebraica), invocata a protezione del popolo cristiano. È un nome
    che nella storia della salvezza del popolo di Dio è dato alle donne importanti. Già in Egitto questo nome era della sorella di Aronne e Mosè. È lei che veglia sul piccolo Mosè lasciato nelle acque del Nilo perché possa essere salvato dalla figlia del faraone e portare poi in salvo il popolo d’Israele. Così Maria
    santissima, allo stesso modo ancora oggi permette che Gesù, suo figlio possa portare tutto il nuovo popolo di Dio alla salvezza. Essa veglia su di lui, e lo affida al nostro cuore perché possa
    crescervi e condurre ognuno di noi verso quella terra promessa che è l’Amore del Padre per ogni suo figlio.

    Buon cammino
    Fabrizio Zo

  • Quel Santuario sopra il Lambro…

    Quel Santuario sopra il Lambro…

    In questo periodo estivo, verrà proposta questa piccola rubrica con alcune chiese della Brianza, per far conoscere alcune peculiarità del nostro territorio e dare qualche spunto su possibili luoghi da visitare.

    Quel Santuario sopra il Lambro…

    Non lontano da casa nostra c’è una chiesa che può divenire spunto per una sosta spirituale tra le colline brianzole. Si tratta del Santuario della Beata Vergine Assunta di Rancate di Triuggio.

    Ci si arriva in un quarto d’ora d’auto da Desio ma la meta può anche trasformarsi in un’idea per una costruttiva scampagnata in bicicletta. Giunti ad Albiate si scende verso il Lambro e passato il ponte si svolta subito a sinistra seguendo la direzione Rancate. Superata la chiesetta di Ponte dedicata a Sant’Antonio Maria Zaccaria, la strada comincia a inerpicarsi con due ampi tornanti, salendo ancora per qualche centinaio di metri, fino ad incontrare sulla sinistra il Santuario di Rancate.

    La costruzione della chiesa risale alla fine del Cinquento, dedicata inizialmente ai SS. Bernardino e Maria. Il campanile è del 1599. Venne elevata a chiesa parrocchiale, con nuova dedica a Santa Maria Assunta nel 1606 dal cardinal Federico Borromeo. All’interno, costituito da tre navate, con volta a botte, si trova una pregevole e venerata pala d’altare mariana del 1507 di autore anonimo. L’opera all’origine era inserita in una cappella situata più a valle sulla sponda del Lambro, sul luogo dove la Vergine Maria era apparsa a due bambini, salvandoli dalla piena del fiume. Da questo miracolo venne la decisione di costruire un Santuario, che, grazie alle generose offerte di alcuni possidenti, si dotò nel tempo di pregevoli opere artistiche. Vi si trovano infatti affreschi di Bartolomeo Roverio detto “il Genovesino” (abside e volta del presbiterio), tele nel presbiterio e nel coro dei cremonesi Campi (Giulio e Antonio) e gli affreschi della volta della navata centrale di Andrea Appiani, raffiguranti episodi biblici, mentre gli stucchi sono dovuti all’opera del ticinese Giocondo Albertolli.

    Nei dintorni del Santuario permangono tracce di un passato ad alta vocazione agricola, come le
    cascine Boffalora, Orsola e Malpighi, quest’ultima oggetto di una felice ristrutturazione eseguita
    sul finire del XX secolo. Si segnala anche la presenza (al civico 9 di via Biffi) dell’edificio che ospitò l’Istituto di coltura del baco da seta, un centro di ricerca di risonanza internazionale, fondato nel 1877
    dall’ing. Guido Susani, che si avvalse della collaborazione del famoso scienziato Louis Pasteur, ospite
    due volte in questo minuscolo borgo brianzolo.

    Beppe Monga

  • ARTE E FEDE – IN DIALOGO COI SANTI PIETRO E PAOLO

    ARTE E FEDE – IN DIALOGO COI SANTI PIETRO E PAOLO

    Cosa sta dicendo Paolo a Pietro in questo dipinto di Guido Reni? E cosa dicono a noi?

    Non sono molti i dipinti che raffigurano insieme i santi Pietro e Paolo. Quasi per caso ne abbiamo trovato uno di questi alla Pinacoteca di Brera di Milano, che tra l’altro è visitabile gratuitamente ogni prima domenica del mese.

    “Paolo rimprovera Pietro penitente” è il titolo dell’opera datata 1609 e attribuita a Guido Reni, bolognese, uno dei maestri del barocco italiano, il “divino Reni” così apostrofato dai suoi contemporanei per la sua capacità di rendere sulla tela il senso del soprannaturale in molti dei suoi capolavori presenti in tantissimi musei in tutto il mondo: un vero peccato che il nome di Reni non attiri l’attenzione delle masse…

    Il titolo dell’opera fa riferimento a un episodio ricordato nella lettera ai Galati, dove Paolo rimprovera Pietro per la sua ipocrisia verso la legge ebraica e per il tradimento di Cristo. Nell’incrocio degli sguardi dei due apostoli è ben visibile l’intensità emotiva, quasi a farci partecipi di un momento di un confronto serrato ma sincero fra i due. Paolo in piedi sembra esprimere pacatezza dal gesto della sua mano, mentre Pietro ha una posizione seduta e contrita, con il braccio che sostiene la testa, e se ne percepisce il suo pentimento. Meritano attenzione anche il piede che tocca la dura roccia e la fronte corrugata del primo apostolo, quasi a ricordare il naturalismo del suo più famoso contemporaneo, Caravaggio.

    Un ultimo dettaglio lo si puo’ cogliere ammirando il paesaggio sullo sfondo, con un castello circondato da alberi e un cielo che passa dai toni plumbei sopra la testa di Paolo a un panorama più chiaro e rasserenante.

    Sono solo alcuni degli elementi che ho colto nell’arte senza tempo di Guido Reni, capace di affascinare e incuriosire chiunque si metta in ricerca della bellezza che ci circonda.

    Vito Bellofatto

  • Le cose da sapere sulla Pasqua

    Le cose da sapere sulla Pasqua

    La Pasqua è la festa più importante per i cristiani ed è il culmine del Triduo pasquale, centro e cuore di tutto l’anno liturgico. È la festa più solenne della religione cristiana che prosegue con l’Ottava di Pasqua e con il tempo liturgico di Pasqua che dura 50 giorni, inglobando la festività dell’Ascensione, fino alla solennità della Pentecoste.

    Cosa significa la parola “Pasqua”?

    Deriva dal greco: pascha, a sua volta dall’aramaico pasah e significa propriamente “passare oltre”, quindi “passaggio”. Gli Ebrei ricordavano il passaggio attraverso il mar Rosso dalla schiavitù d’Egitto alla liberazione. Per i cristiani è la festa del passaggio dalla morte alla vita di Gesù Cristo.

    Quali sono le origini di questa festa?

    Presso gli ebrei la Pasqua (Pesach) era in origine legata all’attività agricola ed era la festa della raccolta dei primissimi frutti della campagna, a cominciare dall’orzo.

    In seguito, la Pasqua diventa la celebrazione annuale della liberazione degli ebrei dalla schiavitù, significato che si aggiunse all’altro, come ricordo della fuga dall’Egitto e del fatto che con il sangue degli agnelli si fossero dipinti gli stipiti delle porte affinché l’angelo sterminatore, come dice la Bibbia, passando da quelle case, risparmiasse i primogeniti.

    Ancora oggi, la cena pasquale presso gli Ebrei si svolge secondo un preciso ordine detto Seder. Ci si nutre di cibi amari per ricordare l’amarezza della schiavitù egiziana e lo stupore della libertà ritrovata.

    Per celebrare la Pasqua gli israeliti al tempo di Gesù ogni anno si recavano a Gerusalemme. Anch’egli vi si recava. La sua morte avvenne, infatti, in occasione della pasqua ebraica. Egli per i cristiani è l’agnello pasquale che risparmia dalla morte, il pane nuovo che rende nuovi (cfr 1Cor 5,7-8)

    Quali sono le origini di questa festa?
    Presso gli ebrei la Pasqua (Pesach) era in origine legata all’attività agricola ed era la festa della raccolta dei primissimi frutti della campagna, a cominciare dall’orzo.
    In seguito, la Pasqua diventa la celebrazione annuale della liberazione degli ebrei dalla schiavitù, significato che si aggiunse all’altro, come ricordo della fuga dall’Egitto e del fatto che con il sangue degli agnelli si fossero dipinti gli stipiti delle porte affinché l’angelo sterminatore, come dice la Bibbia, passando da quelle case, risparmiasse i primogeniti.
    Ancora oggi, la cena pasquale presso gli Ebrei si svolge secondo un preciso ordine detto Seder. Ci si nutre di cibi amari per ricordare l’amarezza della schiavitù egiziana e lo stupore della libertà ritrovata.
    Per celebrare la Pasqua gli israeliti al tempo di Gesù ogni anno si recavano a Gerusalemme. Anch’egli vi si recava. La sua morte avvenne, infatti, in occasione della pasqua ebraica. Egli per i cristiani è l’agnello pasquale che risparmia dalla morte, il pane nuovo che rende nuovi (cfr 1Cor 5,7-8)

    Perché la data della Pasqua è mobile?

    Perché è legata al plenilunio di primavera.

    La datazione della Pasqua, nel mondo cristiano fu motivo di gravi controversie fra le Chiese d’Oriente e d’Occidente. La prima, composta da ebrei convertiti, la celebrava subito dopo la Pasqua ebraica e cioè nella sera della luna piena, il 14 Nisan, primo mese dell’anno ebraico; quindi sempre in giorni diversi della settimana.

    Solo con il Concilio di Nicea del 325, si ottenne che fosse celebrata nello stesso giorno in tutta la cristianità adottando il rito Occidentale, fissandola nella domenica che seguiva il plenilunio di primavera.

    Oggi la celebrazione cade tra il 22 marzo e il 25 aprile denominandola così Pasqua bassa o alta, secondo il periodo in cui capita.

    Essendo una festa mobile, determina la data di altre celebrazioni ad essa collegate, come la Quaresima, l’Ascensione, la Pentecoste.

    La Chiesa contempla per i cattolici l’obbligo del Precetto Pasquale, cioè confessarsi e ricevere l’Eucaristia almeno una volta nel periodo pasquale.

    Cosa dicono i Vangeli? Dalla sepoltura “provvisoria” alla risurrezione di Gesù

    Dopo la morte in Croce, la sepoltura di Gesù fu una operazione provvisoria, in quando si approssimava, con il tramonto, il Sabato ebraico, in cui era proibita qualsiasi attività. Il corpo di Gesù fu avvolto in un lenzuolo candido e deposto nel sepolcro nuovo scavato nella roccia, appartenente a Giuseppe d’Arimatea, membro del Sinedrio, ma ormai seguace di Gesù. Le operazioni necessarie per questo tipo di sepoltura, che non era l’inumazione nel terreno, prevedevano di cospargere il corpo con profumi ed unguenti conservativi e l’avvolgimento dello stesso corpo con fasce o bende (ne abbiamo l’esempio nel racconto di Lazzaro risuscitato da Gesù). Queste operazioni, furono rimandate dalle pie donne a dopo il Sabato.

    Dopo la Parasceve (vigilia del Sabato) quindi appena dopo sepolto Gesù, i sacerdoti ed i Farisei si recarono da Pilato dicendogli che si erano ricordati «che quell’impostore quando era ancora in vita, disse: ‘Dopo tre giorni risorgerò’. Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: ‘È risorto dai morti’. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». E Pilato, secondo il solo Vangelo di Matteo, autorizzò il sigillo del sepolcro e dispose alcune guardie per controllarlo.

    Trascorso il Sabato, in cui tutti osservarono il riposo, Maria di Magdala, Maria di Cleofa e Salome, completarono la preparazione dei profumi e si recarono al sepolcro di buon’ora per completare le unzioni del corpo e la fasciatura. Lungo la strada dicevano tra loro, chi poteva aiutarle a spostare la pesante pietra circolare, che chiudeva l’apertura del sepolcro. Questo luogo era composto da due ambienti scavati nella roccia, consistenti in un piccolo atrio e nella cella sepolcrale; quest’ultima conteneva una specie di rialzo in pietra, su cui veniva deposto il cadavere. Quando arrivarono, secondo i Vangeli, vi fu un terremoto, un angelo sfolgorante scese dal cielo, si accostò al sepolcro fece rotolare la pietra e si pose a sedere su di essa; le guardie prese da grande spavento caddero svenute. Ma l’Angelo si rivolse alle donne sgomente, dicendo loro: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete». Proseguendo con il racconto del Vangelo di Matteo, le donne si allontanarono di corsa per dare l’annunzio ai discepoli.

    Va ricordato che la Risurrezione di Gesù viene annunciata da alcune donne, che secondo l’antico Diritto ebraico, erano inabilitate a testimoniare, quindi con questo evento che le vede messaggere e testimoni, viene anche ad inserirsi un evento storico nella socialità ebraica. Quando le donne raggiunsero gli apostoli e riferirono l’accaduto, essi corsero verso il sepolcro, ma Pietro e Giovanni corsero avanti, al sepolcro arrivò per primo Giovanni più giovane e veloce, ma sulla soglia si fermò dopo aver visto il lenzuolo (Sindone) a terra. Pietro sopraggiunto, entrò per primo e constatò che il lenzuolo era per terra, mentre il sudario, usato per poggiarlo sul capo dei defunti, era ripiegato in un angolo, poi entrò anche Giovanni e ambedue capirono e credettero a quanto lo stesso Gesù, aveva detto in precedenza riguardo la sua Risurrezione.

    Perché si mangia l’agnello?

    La tradizione di consumare l’agnello per Pasqua deriva dalla Pesach, la Pasqua ebraica. Infatti l’agnello fa parte dell’origine di questa festività. In particolare si fa riferimento a quando Dio annunciò al popolo di Israele che lui lo avrebbe liberato dalla schiavitù in Egitto dicendo “In questa notte io passerò attraverso l’Egitto e colpirò a morte ogni primogenito egiziano, sia fra le genti che tra il bestiame”. Ordinando, così, al popolo d’Israele di marcare le loro porte con del sangue d’agnello in modo che lui fosse in grado di riconoscere chi colpire col suo castigo e chi no. Inoltre in passato esisteva un comandamento riguardo la Pasqua ebraica che diceva di fare l’offerta dell’agnello il giorno 14 del mese ebraico di Nisan e di consumare quella stessa notte il sacrificio di Pesach.

    Con il Cristianeismo, il simbolo dell’agnello immolato per la salvezza di tutti diventa Cristo stesso e il suo sacrificio ha valore di redenzione.

    Come si compone la liturgia della Veglia pasquale?

    Per Sant’Agostino quella pasquale è “la madre di tutte le veglie sante, durante la quale il mondo intero è rimasto sveglio”. Nel corso di questa notte, la Chiesa celebra la Resurrezione di Cristo, battezzando nuovi cristiani e domandando a coloro che già lo sono, di rinnovare tutti insieme gli impegni del loro Battesimo.
    La Veglia pasquale è una celebrazione complessa ed unitaria, che si svolge in quattro momenti successivi: 1) Liturgia della Luce che inizia con la benedizione del fuoco, la preparazione e accensione del cero quale “luce di Cristo”, e la processione con cui è introdotto nella chiesa buia, che è quindi illuminata dai ceri dei fedeli accesi al cero pasquale. Segue il solenne annunzio pasquale, detto anche dalla parola iniziale latina Exultet; 2) Liturgia della Parola con nove letture, sei tratte dell’Antico Testamento e le ultime tre dal Nuovo; 3) Liturgia Battesimale; 4) Liturgia Eucaristica.
    Il rito si svolge nella notte, simbolo dell’umanità che senza Cristo è immersa nelle tenebre dell’ignoranza e dell’errore, del peccato e della morte.

    Accogliamo la grazia della Risurrezione di Cristo! Lasciamoci rinnovare dalla misericordia di Dio, lasciamoci amare da Gesù, lasciamo che la potenza del suo amore trasformi anche la nostra vita; e diventiamo strumenti di questa misericordia, canali attraverso i quali Dio possa irrigare la terra, custodire tutto il creato e far fiorire la giustizia e la pace.

    Papa Francesco
  • La Crocifissione di Masaccio al Museo Diocesano

    La Crocifissione di Masaccio al Museo Diocesano

    Il Museo Diocesano di Milano propone quest’anno come spunto di riflessione per il tempo di Quaresima e di Pasqua l’esposizione della Crocifissione di Masaccio

    La preziosa tavola, conservata al Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli e, per la prima volta a Milano, è una delle opere più importanti dell’artista toscano che rivoluziona nel suo breve ma folgorante percorso la storia dell’arte.

    La Crocifissione costituisce la cuspide di un grandioso polittico realizzato dal pittore toscano nel 1426, destinato ad una cappella nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Pisa e smembrato già alla fine del XVI secolo. In uno spazio definito dal prezioso sfondo oro e delimitato da un arco ogivale, la tavola raffigura la Madonna, san Giovanni e la Maddalena che piangono il Cristo Crocifisso.

    Masaccio interpreta il dramma raffigurando un dolore profondamente umano, concentrandosi solo su pochi elementi essenziali: le mani contratte che sporgono dal corpo massiccio della
    Madonna, le mani portate al volto del dolente e quasi larvale san Giovanni, ma, soprattutto, le braccia alzate in un incontenibile moto di angoscia di una Maria Maddalena senza volto, inginocchiata di schiena.

    Cristo, raffigurato frontalmente, con la testa incassata sulle spalle, presupponendo quindi una visione dal basso, resa con un sapiente scorcio anche attraverso l’abbreviazione delle gambe, riesce a suggerire l’umanità dolorosa di un corpo abbandonato alla morte. Le figure, modellate con forti contrasti di luce e ombra, si collocano in uno spazio vero nonostante lo sfondo dorato, teatro di un evento drammatico che avviene davanti agli occhi degli spettatori.

    L’esposizione di un’opera su fondo oro, il fondo oro per eccellenza della pittura italiana, vuole essere un omaggio alla memoria del giurista e collezionista Alberto Crespi (1923 -2022), che al Museo ha lasciato la sua preziosa collezione di Fondi Oro.

    La mostra è stata aperta al pubblico il 22 febbraio e rimarrà aperta fino al prossimo 7 maggio a Milano presso il Museo Diocesano Carlo Maria Martini (p.zza Sant’Eustorgio, 3) Per informazioni: tel. 02 89420019; www.chiostrisanteustorgio.it